Beata la società che non ha bisogno di eroi

Come fa notare acutamente Bertolt Brecht: se le istituzioni sono buone, l’uomo non deve essere particolarmente buono. Certo, allora gli si offre la possibilità di esserlo. Egli può essere libero, giusto e valoroso senza che egli o altri abbia a soffrirne.


Beata la società che non ha bisogno di eroi Credits: https://liosite.com/poesie/bertolt-brechtgermania/

A chi si preoccupava della salvezza dell’“eredità” culturale, della capacità stessa di comprendere l’arte Bertolt Brecht amava rispondere: “sono le arti stesse che la preservano (la producono). La musica di Schönberg rende comprensibile quella di Beethoven” [1]. L’artista, dunque, non deve rinunciare del tutto a quel suo animo poetico che gli permette di tenere in vita quei valori ideali di cui non può che mettere in dubbio l’assolutezza sul piano dell’intelletto, di cui denuncia l’astrattezza e l’inadeguatezza di fronte alle contraddizioni che lacerano il mondo reale.

La stessa opera drammatica di Brecht è profondamente segnata dalla contraddizione insuperabile nell’epoca moderna tra l’assolutezza del dovere morale e la singolarità sperduta in un mondo divenuto ad essa estraneo. Tuttavia quest’opera è, allo stesso tempo, attraversata dall’aspirazione, dal compito infinito della ricerca di una qualche mediazione tra il compito universale dato dall’imperativo categorico e la limitatezza del singolo.

La stessa opera drammatica di Brecht è profondamente segnata da tale contraddizione inaggirabile. Si pensi, ad esempio, alla nota poesia A coloro che verranno [An die Nachgeboren]: “Vorrei anche essere un saggio. / Nei libri antichi è scritta la saggezza: / lasciar le contese del mondo e il tempo breve / senza tèma trascorrere. / Spogliarsi di violenza, / rendere bene per male, / non soddisfare i desideri, anzi / dimenticarli, dicono, è saggezza. / Tutto questo io non posso: / davvero, vivo in tempi bui!” [2]. O si pensi, in riferimento a un altro esempio paradigmatico, a un dramma come L’anima buona del Sezuan [Der gute Mensch von Sezuan] in cui a essere tematizzato è proprio lo scontro tra gli dèi – che rappresentano la decadenza a “filisteismo borghese” dell’imperativo morale che condanna a priori l’agire dell’individuo empirico – e la “cattiveria dei poveri”, o meglio la loro miseria materiale e, quindi, anche spirituale che li spinge a seguire una morale prettamente utilitaristica, vale a dire ad “anteporre le esigenze dello stomaco alla morale”. A trovare una mediazione tra queste due inconciliabili posizioni era chiamata Shen Te, “prostituta-francescana” che, condannata dagli dèi a vivere secondo i dettami dell’imperativo categorico, vi riusciva solo al prezzo di una continua lacerazione interna. Ella, per sfuggire la rovina cui l'avrebbe condotta inevitabilmente la sua anima buona in una società in cui imperava il principio dell’homo homini lupus, era costretta sempre più spesso a trasformarsi nell’implacabile cugino Shui Ta, che poneva rimedio a ogni slancio di generosità aumentando lo sfruttamento sugli stessi beneficiari delle elargizioni. All’ipocrisia del lieto fine proposto dagli impotenti dèi, che pur di non rinunciare all’astrattezza dell’imperativo categorico erano disposti a chiudere un occhio sulle malefatte compiute da Shen Te nei panni del cugino, Brecht aveva aggiunto un pressante invito al pubblico a trovare una conclusione migliore; a trovare una qualche soluzione a questa mancanza di soluzione.

L’opera di Brecht, così, pur mirando a smascherare tutta la vanità e l’ipocrisia di una società che continua a dotarsi di ideali per nascondere la radicale mancanza di ideali su cui si fonda, pur denunciando impietosamente l’illusorietà di ogni assolutezza dei valori, non può fare a meno di tutti quei valori, non può fare a meno di fondarsi proprio su di essi, non può rinunciare a mostrare come queste pietose illusioni, queste “vane immaginazioni” siano però indispensabili all’uomo moderno per costruire quell’orizzonte di radicale finitezza in cui è condannato a vivere e che è chiamato a rendere abitabile.

Si pensi alle prime strofe del Canto tedesco [Deutsches Lied]: “Riparlano di grandi tempi: / (Anna non piangere) / il droghiere ci farà credito. / Riparlano di onore: / (Anna non piangere) / nell’armadio non c’è niente da rubare” [3]. Brecht, del resto, ha implacabilmente denunciato in tutta la sua opera la paradossale condizione dell’individuo nella moderna società borghese, in cui il fine individuale è contrapposto all’universale e, quindi, le “coperture ideologiche” fornite dall’etica tradizionale sono destinate immancabilmente a infrangersi contro gli interessi del singolo. Si pensi, ad esempio, oltre ai noti drammi L’anima buona del Sezuan e Il signor Puntilla ed il suo servo Matti, al meno noto progetto di dramma su Henry Dunant, il fondatore della Croce Rossa: “si potrebbe rappresentare DUNANT come una specie di sant’Antonio che tenta invano di resistere alla seduzione della voluttuosa caritas, essa per lui è una donna fatale, lo tiene lontano dai suoi affari, lo manda in rovina. La famiglia, conoscendo il suo stato, fa di tutto per riportarlo sulla retta via, lo spinge a confessarsi, a promettere di emendarsi, a mortificarsi, ma lui ricade sempre nel pantano della bontà d’animo fino a che non lo lasciano perdere definitivamente. [4]. Come denuncia Brecht, infatti, “nella società attuale lo spirito umanitario è un vizio e non uno di quelli su cui si possa chiudere un occhio” [5]. Tuttavia “se le istituzioni sono buone, l’uomo non deve essere particolarmente buono. Certo, allora gli si offre la possibilità di esserlo. Egli può essere libero, giusto e valoroso senza che egli o altri abbia a soffrirne” [6]. Del resto, però: “l’amore della libertà, il senso della giustizia, il valore, l’incorruttibilità, lo spirito di sacrificio, la disciplina, tutto ciò è necessario per trasformare un paese in modo che per vivere non siano più necessarie virtù particolari” [7]. 

In conclusione possiamo dire che per Brecht, il compito paradossale cui l’artista moderno deve, dunque, adempiere con la sua opera è quello della mediazione infinita, sempre provvisoria e mai realizzabile fino in fondo, di immaginazione e critica, di ironia e dover essere del senso: paradigmi contraddittori su cui deve fondarsi l’arte nella modernità.

Note:

[1] Brecht, Bertolt, Arbeitsjournal, a cura di W. Hecht, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1973, 2 voll., tr. it. di Zagari, B., Diario di Lavoro, Einaudi, Torino 1976, p. 595.

[2] Brecht, B., Poesie e canzoni, tr. it. di Leiser, R., e Fortini, F., Einaudi, Torino 1959, p. 217.

[3] Ivi,  p. 227.

[4] B. Brecht, Diario…op. cit., p. 427.

[5] Ibidem.

[6] Brecht, B., Me-ti. Libro delle svolte, tr. it. di Cases, C., Einaudi, Torino 1970, p. 115.

[7] Ibidem.

20/01/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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