Religione popolare vs cristianesimo nel giovane Hegel

Non si può scuotere l’ortodossia – osserva il giovane #Hegel anticipando #Marx – finché la sua professione, legata con temporali vantaggi, è intessuta in tutto il sistema dello Stato. Un tale interesse è troppo forte perché essa possa essere tralasciata così presto, ed esso inoltre agisce senza che se ne sia nell’insieme chiaramente coscienti.


Religione popolare vs cristianesimo nel giovane Hegel

“I greci (e i romani) – osserva Georg, Wilhelm, Friedrich Hegel – lasciarono che Aristofane (e Plauto) deridessero i loro dèi e che attribuissero loro le azioni più ridicole, purché lasciassero loro le loro più proprie forme di rappresentazione: Giove poteva anche sbagliare di grosso o apparire, nei confronti di Prometeo, come un tiranno, purché si lasciassero le sue folgori; i greci conservarono con ciò le loro tradizioni e i loro dèi così come li avevano conosciuti nella tradizione, dalle loro feste ricorrenti, dalle loro quotidiane usanze religiose, dai loro cantori popolari, dai grandi artisti pubblici della levatura di uno Zeusi; ma ad un Socrate o ad un Aristotele non perdoneranno di aver indicato tòn teòn in una pura idea innalzata al di sopra delle folgori e del Lete” [1]. Qui non si tratta, come pur è stato sostenuto, soltanto di una contrapposizione della tolleranza religiosa degli antichi al cristianesimo; in effetti, Hegel sembra ricercare un’analogia fra gli eventi della Grecia e l’accusa di ateismo rivolta da Friedrich, Heinrich Jacobi alla moderna filosofia razionalista [2]. In entrambi i casi il tentativo di trasformare le credenze costituite nel senso di una loro razionalizzazione è considerato – da chi non è in grado di elevarsi al piano puro della ragione – un attentato alla religione statutaria e, più in generale, all’ordine esistente, costituito in quanto rimette radicalmente in discussione le credenze tradizionali della religione popolare su cui si fonda lo spirito di un popolo e, di conseguenza, la sua stessa struttura statale. Ecco perché una considerazione puramente razionale, filosofica delle rappresentazioni religiose è stata sempre temuta dal popolo, in Grecia come nell’epoca moderna. Nelle rappresentazioni tradizionali della religione, per quanto irrazionali dovessero apparire a uno sguardo illuminato e progressista “erano legati tutti i sentimenti di sottomissione e di riconoscenza, tutte le speranze, e questa trama di sensazioni viene demolita e distrutta se quelle rappresentazioni vengono mutate” [3].

Se anche da questa pagina emerge la superiorità accordata da Hegel alla religione naturale di Gotthold Ephraim Lessing e alla religione razionale kantiana di contro alla forma rappresentativa, superstiziosa, popolare – qualora non si fondi su di una idea filosofica, ma su semplici rappresentazioni poetiche [4] – l’attenzione rivolta dal giovane filosofo agli effetti delle questioni teologiche sulle credenze popolari e sugli stessi assetti dello Stato viene allo stesso tempo confermata. Come del resto per Platone e Rousseau, tale problematica religiosa sottende una tematica politica: la trasformazione delle credenze religiose diffuse nel popolo, in quanto intimamente connesse alla eticità [Sittlichkeit] – dunque legate ai costumi e alle istituzioni di una civiltà storica – implica l’idea di una nuova compagine statale che, in netta rottura con la tradizione, si fondi su di una costituzione non positiva, ma ricondotta a princìpi razionali-morali, sulla cui base sarebbe possibile riorganizzare radicalmente i costumi e le rappresentazioni tradizionali della divinità. Si tratta di una problematica presente già nella Repubblica di Platone – opera che Hegel conosce sin da Stoccarda – e destinata a rimanere cogente anche in questo scorcio di secolo, proprio a causa della diatriba sull’ateismo [Atheismus-Streit]. Tuttavia, a differenza di autori che, pur cercando di ricondurla alla religione razionale, avevano considerato la religione esistente, il cristianesimo, come un orizzonte non valicabile, Hegel sembra ritenere possibile – ancora sulla scia di Platone e anche di Rousseau – rivoluzionare le stesse rappresentazioni religiose, partendo proprio dalla religione naturale-razionale.

Per Hegel, allora, il riassorbimento della rivoluzione nel pensiero operata dalla filosofia critica da parte della teologia tubinghese [che aveva presieduto alla sua formazione], costituisce un’ulteriore conferma che non ci si può limitare alla critica condotta da Schelling sul piano astratto della filosofia – qui ancora intesa come idealismo soggettivo, filosofia della riflessione [5], intelletto incapace di assurgere alla ragione – ma occorre porsi su di un piano più concreto, in seguito definito spirito oggettivo. “Non c’è da meravigliarsi – scrive Hegel a Schelling – per quanto mi dici dell’indirizzo teologico-kantiano (si diis placet) della filosofia a Tübingen. Non si può scuotere l’ortodossia finché la sua professione, legata con temporali vantaggi, è intessuta in tutto il sistema dello Stato. Un tale interesse è troppo forte perché essa possa essere tralasciata così presto, ed esso inoltre agisce senza che se ne sia nell’insieme chiaramente coscienti” [6].

Ora, proprio la Rivoluzione francese sembra fornire a Hegel, e a diversi pensatori dell’epoca, una sorta di prova positiva che l’ideale già platonico di una compagine statale rifondata su princìpi razionali non era destinata a restare una semplice utopia, un puro ideale regolativo, ma poteva essere realizzata anche storicamente. Bisogna, in effetti, tener presente che Hegel, come molti altri intellettuali tedeschi dell’epoca, vedeva nella Rivoluzione Francese solo la prima, tanto inattesa quanto esemplare, rottura sul piano storico del dominio della positività. Entrava così in crisi l’intera tradizione precedente, non ancora vagliata di fronte al tribunale della ragione, una tradizione che, con tutto il suo portato di credenze appunto positive, teneva ancora legata la stragrande maggioranza dell’umanità, in particolare il popolo, ai ceppi del dispotismo, impedendo il libero sviluppo dell’individuo fondato sull’autonomia della ragione [7]. Il giovane critico della teologia poteva così avvertire la sua opera come parte integrante di un più generale rivolgimento del pensiero che, almeno in Germania, è stato certamente di natura epocale, in quanto ne condivideva il fondamento nell’ideale di una società umana libera, edificata su princìpi razionali, di cui la Rivoluzione Francese rappresentava la possibilità di una realizzazione storica e, proprio perciò, problematica. Questo aspetto costituisce l’immediato legame tra gli eventi storico-politici e la riflessione filosofica, sia per quanto riguarda la ripresa critica della tradizione illuminista – depurata tramite il magistero di Rousseau [8] dai pesanti fardelli del dispotismo illuminato degli anni di Stoccarda – sia per ciò che concerne l’adesione alla nuova tendenza costituita dalla filosofia di Kant e, a partire dal 1792, di Fichte.

Note:

[1] Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, Gesammelte Werke, In Verbindung mit der Deutschen Forschungsgemeinschaft, a cura della Rheinisch-Westfälischen Akademie der Wissenschaften, Hamburg, Meiner dal 1968, vol. I, p. 78, Id., Scritti giovanili I, tr. it. di Mirri, E., Guida, Napoli 1993, p. 163.

[2] Per quanto riguarda la diatriba sull’ateismo, scatenata dalla pesante accusa di Jacobi, si veda Hegel e la diatriba sull’ateismo.

[3] Hegel, G.W.F., Gesammelte…, op. cit. vol. I, p. 78; Scritti…, cit., p. 163.

[4] Nel passo citato si affaccia inoltre l’idea, destinata ad avere ampi sviluppi nell’opera hegeliana, che siano stati i poeti stessi a dare le divinità ai greci.

[5] Così, ad esempio – nelle Lettere filosofiche su dommatismo e criticismo – Schelling reagiva ai tentativi di riassorbimento dogmatico della filosofia kantiana: “più di una circostanza ha convinto l’autore di queste lettere che i confini dalla Critica della Ragion Pura tracciati tra dommatismo e criticismo, per molti amici di questa filosofia, non sono ancora determinati abbastanza nettamente. Se egli non si inganna, si è in procinto di edificare coi trofei del criticismo un nuovo sistema del dommatismo, in luogo del quale ogni onesto pensatore dovrebbe desiderare di nuovo la vecchia costruzione” Schelling, F.W.J., Lettere filosofiche su dommatismo e criticismo [1795], tr. it. di Semerari, G., Laterza, Bari 1995, p. 3. E ancora: “chi mi dice che queste obiezioni non toccano il criticismo non mi dice nulla che io non abbia da me stesso pensato. Esse valgono non per il criticismo, ma per certi interpreti, che – io non voglio dire dallo spirito di questa  filosofia, ma – anche solo dalla parola adoperata da Kant: «Postulato» (il cui significato doveva essere noto almeno dalla matematica!) avrebbe potuto imparare che l’idea di Dio nel criticismo in generale è posta non come oggetto di verità, ma solo come oggetto dell’azione.” Ivi, p. 9 in nota.

[6] Hegel, G.W.F., Briefe von und an Hegel a cura di Hoffmeister, Johannes, 4 voll., Amburgo 1952 (2. ed. 1977-1981), vol. I, p. 16, tr. it. parziale di Manganaro, Paolo, Epistolario I (1785-1808), Guida, Napoli 1983, p. 109. Le modifiche di chi scrive alla traduzione sopra citata non vengono segnalate.

[7] Il clima politico e culturale, che si doveva vivere all’epoca, è così descritto da Rosenkranz: “un elemento dominante dei vivaci rapporti sociali era la Rivoluzione. Quando scoppiò, quasi nessuno prevedeva il corso del suo sviluppo. Lo spettro sanguinoso del terrorismo non disturbava l’abbandonarsi allo spettacolo di uno Stato che si realizza dalla sua idea e dal concetto delle forze necessarie alla sua esistenza, dopo aver lacerato, con un atto di festosa rinuncia, la pelle avvizzita di un passato trasformatosi in menzogna e in ingiustizia. Con entusiasmo infinito, con i cuori più puri, i più nobili fra i tedeschi si rivolsero verso questo spettacolo schiettamente filosofico. Dopo la dichiarazione dei diritti dell’uomo personalità come Klopstock, Schiller, Kant, Forster, (…) e Jacobi si trovarono uniti nell’ardente attesa di una rinascita etica dell’Europa” Rosenkranz, Karl, Georg Wilhelm Friedrich Hegels Leben [1844], tr. it. a cura di Bodei, Remo, La vita di Hegel, Vallecchi, Firenze 1966, p. 53.

[8] Non bisogna dimenticare che la maggior parte dei giovani studenti dello Sitft [il seminario teologico in cui era stato costretto a formarsi Hegel], in questi anni, tendeva immediatamente ad affiancare il nome di Rousseau a quegli ideali cosmopolitici di rigenerazione dell’umanità da cui era sorta la Rivoluzione Francese. Rousseau veniva considerato un vero e proprio “maestro dell’umanità”, che aveva annunciato nella sua opera – in cui si esprimeva tanto l’invettiva contro il dispotismo, quanto l’invocazione carica di pathos rivoluzionario per un’umanità rigenerata – quella rivoluzione francese che, portando a compimento il processo apertosi con l’illuminismo [Aufklärung], aveva segnato il definitivo “trionfo della filosofia”, per servirci ancora una volta di un detto di Schiller [in Neue Thalia, vol. I, 1792, p. 77], esprimente il sentire comune di molti giovani intellettuali tedeschi in quelli anni.

27/01/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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