La notte del 12 di Dominik Moll, thriller, Francia 2022, voto: 7,5; ancora un bel film francese che tocca delle tematiche sostanziali. Gli intellettuali francesi e in particolare i registi dimostrano ancora una volta di essere decisamente più avanzati dei colleghi italiani. Non deve quindi stupire la condizione socio-politica della Francia anch’essa decisamente più avanzata della catastrofica situazione italiana. Il film stravolge finalmente la solita logica reazionaria del genere thriller, poliziesco, giallo, noir, non c’è l’eccezione del criminale da eliminare o arrestare da parte di un sistema buono, impersonato dagli apparati repressivi dello Stato, ma è sono il machismo e il patriarcato ancora dominanti nella società capitalista a essere messi sotto accusa. La questione non è tanto, quindi, di individuare un colpevole particolare, ma di mettere sotto accusa l’attitudine violenta dell’uomo verso la donna e un sistema e un apparato repressivo quasi completamente controllato da maschi, che finiscono, in modo più o meno consapevole, per trasferire almeno una parte della colpa dal criminale alla vittima. Peccato che non si critichi a sufficienza la tendenza degli apparati repressivi dello Stato a incriminare ogni sospettato, cercando d’incastrarlo, piuttosto che ricercare quantomeno il reale colpevole e magari anche il diretto o indiretto mandante.
Le Buone stelle - Broker di Kore Eda Hirokazu, drammatico, Corea del sud, Giappone 2022, voto: 7,5; film certamente godibile e che lascia non poco da pensare agli spettatori sulle condizioni sociali alla base dei crimini. Anche l’idea di rivoluzionare la famiglia tradizionale resta molto significativa. Peccato per la conclusione, in cui non manca certo la catarsi, ma appare del tutto inverosimile il ruolo di deus ex machina svolto dagli apparati repressivi dello Stato.
Dirty difficult dangerous di Wissam Charaf, Francia, Italia, Libano 2022, premio Label Europa cinema, voto: 7; storia neorealistica e melodramma alla Douglas Sirk e alla Fassbinder sull’amore clandestino fra una domestica etiope, cui sono stati sottratti i documenti, e un profugo siriano ferito dalle bombe. Significativa la denuncia del razzismo e dello sfruttamento. La catarsi finale, con i due che realizzano il sogno d’amore e fuggono verso Occidente, lascia alquanto a desiderare in quanto non si tratta certo di una massima universalizzabile.
Siccità di Paolo Virzì, drammatico, Italia 2022, con Valerio Mastandrea e Silvio Orlando, voto: 6,5; il film è di fatto una ripresa di America oggi di Altman, inizialmente pare fiacco e noioso ma nella seconda parte si rianima e diviene interessante, divertente e anche commovente. Film tutto sommato ben fatto, con una trama che sfiora alcuni aspetti sostanziali, anche se appare del tutto avulso dal conflitto sociale e dalla lotta di classe, a differenza dei migliori film di Virzì.
Love life di Kôji Fukada, drammatico, Giappone 2022, voto: 6,5; film alla Ozu, molto lento, minimal, ma intenso. Il film evidenzia quanto il Giappone sia patriarcale e, quindi, l’importanza della lotta per l’emancipazione della donna, anche se questo aspetto dirimente non appare facilmente al pubblico occidentale che, generalmente non conosce quanto sia ancora lunga la strada che porta al raggiungimento delle pari opportunità fra i generi nella conservatrice società giapponese.
La vita è una danza di Cédric Klapisch, commedia, drammatico, Francia, Belgio 2022, voto: 6,5; film certamente godibile, ben confezionato e piuttosto emozionante. Notevole il contributo di provetti ballerini, che consente al film di trasmettere amore per la danza nei suoi diversi aspetti. Nonostante le anche notevoli coreografie il film non scade mai in una serie di siparietti piuttosto estemporanei. Interessante la prospettiva di una ripartenza che non miri a una perfezione astratta per sempre perduta, ma capace di valorizzare anche le debolezze e gli aspetti anche tragici dell’esistenza. Peccato che dal film sia completamente cancellata la realtà con i suoi conflitti sociali e politici.
Winning time – L’ascesa della dinastia dei Lakers, serie televisiva statunitense ideata da Adam McKay, Jim Hecht e Max Borenstein per HBO, in Italia trasmessa nel 2022 da Sky Atlantic, voto: 6+; serie certamente godibile, ben confezionata e senza cadute nel postmoderno. Nella serie vi sono alcuni spunti significativi sulla discriminazione degli afroamericani negli Stati uniti. Interessante anche il confronto scontro fra le generazioni cresciute nelle lotte degli anni sessanta e settanta e quelle già fuori dal mondo e dalla storia che maturano negli anni ottanta. Peccato che la serie sia una sostanziale apologia di quest’ultima generazione. Altro grande limite è lo sguardo soggettivo sullo squalo che, sfruttando di fatto la prostituzione, si è acquistato la squadra e che non è praticamente mai presentato in modo realistico, ma sempre in forma edulcorata. Infine, per quanto a tratti anche avvincente la tematica sportiva al centro della serie è priva di elementi realmente sostanziali.
La syndicaliste di Jean-Paul Salomé, con Isabelle Huppert, thriller, Francia 2022, voto: 6; ennesimo film costruito intorno alla grande protagonista Isabelle Huppert, dimostra ancora una volta l’attenzione del cinema francese alle tematiche socio-economiche. Il film contiene anche una significativa denuncia della violenza dei politicanti e dei dirigenti di aziende pubbliche vicini alla destra e del maschilismo dominante negli apparati repressivi dello Stato, ma ben piazzato anche all’interno della magistratura. Peccato che si idealizza una sindacalista di un sindacato sostanzialmente di destra e si porti avanti la solita campagna sinofoba, funzionale alla nuova guerra fredda portata avanti dall’imperialismo occidentale.
Il signore delle formiche di Gianni Amelio, Italia 2022, drammatico, biografico, voto: 6; il film rappresenta l’ennesima conferma del successo dell’ideologia dominante, imperialista, nello spostare l’attenzione dalle problematiche socio-economiche – connesse al conflitto sociale, compresa la contrapposizione alle politiche imperialistiche – alle questioni legate ai diritti civili e, in particolare, alla lotta alla discriminazione delle minoranze. Non è un caso che almeno tre dei film italiani presentati alla Mostra di Venezia insistono sulla lotta per la libertà sessuale delle minoranze e la totalità dei film italiani al Lido si disinteressano dell’opposizione all’imperialismo e dei conflitti economici e sociali. Quindi il film di Gianni Amelio, per quanto apprezzabile nel mostrare come prima della rivoluzione della fine degli anni sessanta anche in Europa occidentale ci fosse una dura repressione degli omosessuali, si disinteressa completamente di comprendere come tale questione si inserisca nel contesto socio-politico. In tal modo, paradossalmente, a essere messo alla berlina, dopo la religione, è il Partito comunista, cioè la forza politica che più ha contribuito a superare tali discriminazioni nei paesi in cui è riuscito a incidere sulla realtà.
Maigret di Patrice Leconte, drammatico, Francia 2022, con Gérard Depardieu, voto: 6; siamo infine stati costretti, a causa dei tempi oscuri in cui siamo costretti a vivere, a vedere e recensire un film di un regista espressione dell’industria culturale. L’occasione è stata la trasposizione cinematografica di un’opera del grande Georges Simenon. Perciò il plot del film, aspetto peraltro essenziale, è decisamente una sicurezza, mentre la trasposizione cinematografica è senza infamia né lode. Valida la scelta come protagonista di Depardieu, che interpreta in modo lodevole e naturale il protagonista. Certo al di là degli spunti di critica sociale offerti dal testo di Simenon, il film non lascia molto su cui riflettere allo spettatore.
L’opera da tre soldi, di Brecht, regia di Barrie Kosky, Berliner Ensemble, Teatro Argentina, Romaeuropa Festival 2022, voto: 5; una messa in scena provocatoriamente anti brechtiana. L’opera è ridotta a uno di quei prodotti meramente gastronomici dell’industria culturale contro cui Brecht si è costantemente battuto. Certo l’opera resta comunque pienamente godibile e come merce è certamente ben confezionata. Peccato che tutti gli aspetti più significativi e rivoluzionari non solo dell’adattamento brechtiano ma, persino, dell’originaria Opera del mendicante, sono omessi o passano del tutto in secondo piano. Occasione importante sprecata considerata la grande affluenza di pubblico che, purtroppo, applaude un po’ a tutto in modo sostanzialmente acritico.
Corro da te di Riccardo Milani, commedia, Italia 2022, con Pierfrancesco Favino, Miriam Leone, nastro d’argento per la migliore commedia, voto: 5-; se questa è la migliore commedia, allora il cinema italiano è messo veramente male. La commedia, a tratti divertente e ben curata nel montaggio, non ha nulla di significativo da comunicare e si limita a sfiorare il tema dell’inclusione, ma con un lieto fine sostanzialmente scontato sin dall’inizio. D’altra parte quantomeno evita le cadute nel postmodernismo.
Emily in Paris serie televisiva creata da Darren Star e distribuita sulla piattaforma Netflix, seconda stagione, voto: 4,5; serie certamente piacevole, ma che non ha nulla di significativo da aggiungere alla già modesta prima stagione. Si tratta di una merce ben confezionata dell’industria culturale, di mero intrattenimento, che fa apparire bizzarri i lavoratori francesi che, al contrario degli statunitensi, hanno ancora dei diritti da far rispettare per limitare lo sfruttamento della forza lavoro. Al contrario, il personaggio principale, con cui il pubblico è spinto in ogni modo a identificarsi, pur occupandosi di marketing di beni di lusso, appare sempre naturalmente prona a ogni forma di autosfruttamento.
Finale a sorpresa di Mariano Cohn, Gastón Duprat, commedia, Spagna 2021, con Penélope Cruz e Antonio Banderas, voto: 4; film decisamente mediocre da tutti i punti di vista, nonostante i grandi interpreti. Riesce a mantenere l’interesse solo nei primi momenti di confronto scontro fra il grande attore di teatro e la star del cinema. Poi scade nei cliché e accentua le cadute nel postmoderno che lo rendono sempre più insopportabile e soporifero. È una pura perdita di tempo, peraltro nemmeno piacevole.
La casa di carta è una serie televisiva spagnola ideata da Álex Pina distribuita su Netflix in cinque stagioni dal 2027 al 2022, voto: 3,5. La serie ha avuto uno straordinario successo internazionale del tutto immotivato e davvero difficilmente comprensibile. Ha un plot che avrebbe permesso al massimo di realizzare un lungometraggio che, spalmato in ben cinque interminabili stagioni, è talmente diluito da far sparire ogni traccia di contenuto sostanziale. Peraltro anche dal punto di vista formale è di mediocrissima qualità, i personaggi sono inverosimili, del tutto atipici e i dialoghi spesso sconclusionati. Siamo all’ennesima epigonale ripresa dei Masnadieri di Schiller, con la rappresentazione tanto cara all’infantilismo piccolo borghese del giovane che per protestare contro il corso del mondo diviene un fuorilegge.