Incontro con Aristotele

Vegetti mira a favorire una ricomprensione critica delle problematiche affrontate da Aristotele, in una prospettiva straniante rispetto alla sistematizzazione che ne ha dato la scolastica.


Incontro con Aristotele

Senza dubbio un libro su Aristotele è meno problematico di una monografia dedicata a Platone. Di Aristotele ci sono rimasti diversi trattati che espongono in modo sistematico il pensiero del filosofo che, peraltro, dà numerose indicazioni sull’ordine con cui affrontare il suo lascito. D’altra parte limitarsi a una trattazione sistematica delle sue opere, “tuttavia, non renderebbe giustizia né allo stile del pensiero aristotelico, né alle domande più rilevanti che intorno a esso dobbiamo porci. Dal primo punto di vista, un’esposizione che segua meramente l’ordine dei trattati e delle relative discipline finisce inevitabilmente per dare di Aristotele un’immagine eccessivamente sistematica – finisce, in altri termini, per ripetere ancora una volta l’operazione di «sistemare» il filosofo” [1]. Aristotele è certamente un filosofo sistematico, ma non nel senso che abbia l’assurda pretesa di consegnare un sapere definitivo e chiuso una volta per tutte. L’intento sistematico era solo funzionale a esporre le sue ricerche sulle diverse branche del sapere naturale e umano. D’altra parte, è lo stesso Aristotele a sottolineare problematiche non ancora risolte o la cui soluzione non gli appare del tutto soddisfacente. Allo stesso modo esistono vere e proprie contraddizioni fra un trattato e un altro e, in più di un caso, il tentativo di Aristotele o dell’interprete di sanare tali contraddizioni finiscono per non accontentare né l’autore, né l’esegeta.

Proprio per questo Vegetti e Ademollo non hanno mirato ad appianare e a risolverle, forzando le contraddizioni incontrate, ma le hanno – al contrario – sottolineate per far emergere le problematiche esegetiche che necessariamente s’incontrano nell’analizzare ed esporre Aristotele.

Vegetti e Ademollo non si sono, inoltre, limitati a riportare i diversi aspetti dell’enciclopedia del sapere predisposta da Aristotele, ma si sono interrogati sulle modalità della sua stesura, sull’importanza che ha avuto per lo stagirita la disamina critica di chi aveva affrontato in precedenza problematiche analoghe e su quanto la forma scelta di trattati e lezioni, dati ai risultati delle proprie ricerche, abbia potuto influire su di essi.

L’intento è di consentire al lettore una fruizione critica e non passiva del pensiero aristotelico. In quanto il fine dei due interpreti è di “disporre il lettore a un ascolto non pregiudicato e non «scolastico» della lezione di Aristotele: una lezione che, per la potenza del suo pensiero, è ancora in grado di parlarci, di suscitare consenso o dissenso, in ogni caso di non lasciarci indifferenti di fronte a quello che è stato uno dei maggiori sforzi filosofici di comprensione del mondo che la nostra tradizione ci abbia trasmesso” (IX).

Si tratta, inoltre, di favorire una ricomprensione critica delle problematiche affrontate dall’autore, in una prospettiva straniante rispetto alla sistematizzazione che ne ha dato, nel corso di molteplici secoli, la scolastica. Ciò ha, infatti, portato a far divenire le posizioni di Aristotele senso comune, con il rischio così di finire con l’accettare in modo passivo anche gli aspetti più discutibili della sua visione del mondo, come la considerazione tendente a naturalizzare le problematiche sociali, credendo di poter prescindere dal loro processo storico di costituzione. Infine gli autori del volume mirano a restituire l’emozione dinanzi a uno sforzo così maestoso di soddisfare quella sete di conoscenza che, da Aristotele stesso, è posta alla base della filosofia.

Stagira era una colonia greca di modeste dimensioni che, nella prima metà del IV secolo, si trovata a metà strada fra l’area di influenza ateniese e della potenza macedone. Vi viveva Nicomaco, che pare sia stato medico personale del re di Macedonia. Da questo colto e benestante provinciale, non aristocratico, nacque nel 384-383 Aristotele. Dal padre ereditò l’interesse per la medicina e le scienze naturali. Dopo la sua prematura morte fu cresciuto da Prosseno, uomo influente alla corte di Ermia, tiranno di una regione occidentale dell’impero persiano. Questi due personaggi ebbero una notevole influenza su Aristotele, che entrò in relazione con Platone in quanto amico di Prosseno, di cui adottò il figlio dopo la morte del padre, e sposò una parente di Ermia.

Ci sono diverse fonti sulla vita di Aristotele, della cui austerità è testimone il suo testamento. A soli diciassette anni, nel 367, Aristotele giunse ad Atene per entrare nell’Accademia. Non era certo facile accedervi, in particolare per un provinciale non aristocratico. Tanto più che nell’Accademia la passione per la filosofia e la scienza era indissolubilmente connessa con un impegno politico in prima persona dei suoi membri. “Aristotele restò nella scuola per i successivi vent’anni, fino alla morte del maestro, dando prova tanto di una straordinaria fedeltà, quanto di un altrettanto straordinario spirito di indipendenza” (5). A quest’ultimo proposito, Aristotele si distingueva nella scuola per lo scarso entusiasmo per le matematiche e l’attività politica, allora molto in voga nell’Accademia.

Peraltro, in quanto meteco, Aristotele era privo dei diritti politici. Praticò e teorizzò la necessaria separazione fra filosofo-scienziato e il politico e la superiorità della vita contemplativa sulla vita attiva. Aristotele fu il primo a “costruire, e consultare sistematicamente, bibliografie disciplinari in vista della stesura dei suoi scritti” (6).

Nonostante la sua attitudine riservata e appartata, Aristotele con il suo spirito critico diede un significativo apporto alle discussioni nell’Accademia, criticando la concezione politica de La Repubblica, la cosmologia del Timeo e la stessa dottrina delle idee. Inoltre Aristotele criticò aspramente i successori di Platone nella direzione della scuola e sviluppò presto la consapevolezza della propria grandezza.

Nell’Accademia Aristotele si dedicò in particolare allo studio della dialettica come arte dell’argomentare e alla retorica, criticando la potente scuola di Isocrate. Nel 347, morto Platone, Aristotele non poté succedergli in quanto meteco. Nel frattempo tornati al potere i democratici di Demostene, si sviluppò una dura polemica antimacedone, che convinse Aristotele ad abbandonare Atene e a vivere nei possedimenti di Ermia, dove due accademici collaboravano al governo.

In seguito conobbe Teofrasto, che sarebbe divenuto il suo principale collaboratore e successore, con cui iniziò i suoi importanti studi di scienze naturali. Intorno ai quarant’anni fu chiamato nel 342 da Filippo di Macedonia a educare suo figlio Alessandro, allora tredicenne. Aristotele svolse il ruolo di pedagogo per sette anni. Seguì la tradizionale paidèia greca, spingendo Alessandro a trattare da capo i greci e da padrone i barbari. L’allievo avrebbe superato il maestro eliminando questa netta distinzione fra greci e barbari.

Quando iniziò la sua spedizione in oriente Alessandro fu seguito dal nipote di Aristotele che avrebbe dovuto svolgere attività di ricerche naturalistiche a suo vantaggio. Tuttavia, quando Alessandro introdusse l’usanza orientale di genuflettersi dinanzi al sovrano, il nipote di Aristotele, considerandolo un traditore, cercò di spodestarlo, ma rimase ucciso.

Aristotele, anche per non compromettersi, non citerà mai Alessandro nelle sue opere. Quest’ultimo fu associato dal padre al trono nel 340, ponendo fine all’attività pedagogica di Aristotele. Nel 336 Alessandro divenne re, mentre nel 335 Aristotele tornò ad Atene, dal 338 sotto controllo macedone. Nel 335 Aristotele fondò la sua scuola, il Liceo. La suola non era ancora istituzionalizzata, ma era di certo ben attrezzata, anche per la presenza della ricca biblioteca di Aristotele e delle raccolte dossografiche che introdusse. 

Aristotele vi raccolse i suoi collaboratori, filosofi, scienziati e politici. Ognuno si specializzò in un ramo del sapere. Aristotele portò avanti dei corsi altamente specializzati. Solo con Teofrasto nacque un insegnamento aperto alla cittadinanza, che avrebbe anticipato quello universitario. Aristotele trascorse nel Liceo i tredici anni più produttivi e felici della sua vita

La morte di Alessandro nel 328 spinse Aristotele, per il timore di un processo per empietà, a lasciare Atene dove le forze antimacedoni contavano di riprendere il potere. Rifugiatosi presso la madre, Aristotele morì l’anno successivo a 63 anni. Il testamento ci mostra un “borghese” agiato e retto, secondo i dettami della sua etica, desideroso di affrancare, appena possibile, i suoi schiavi.

Con Aristotele si afferma un nuovo tipo di intellettuale laico, tutto dedito allo studio, alla ricerca e all’insegnamento che avrebbe avuto grande fortuna. Aristotele, che considerava il divino puro pensiero, vedeva nel filosofo l’uomo che più si approssimava al modello divino.

Nel secondo capitolo Vegetti indaga in modo molto acuto la decisiva questione del rapporto fra Aristotele e Platone. A tale proposito cita un importante storico della filosofia, il positivista Gomperz, che a fine ottocento interpretava Aristotele come affetto da una doppia personalità, da un lato derivante dal padre medico, che lo portava ad assumere posizioni empiriche e scientifiche, e dall’altra influenzata da Platone che lo porterebbe su una strada metafisica e antiscientifica che, in ultima istanza, risulterebbe prevalente.

Tale presunta doppia personalità era sciolta in senso storico, negli anni venti del secolo scorso, da un altro autorevole interprete di Aristotele: Jaeger che interpreta il passaggio dalle posizioni metafisiche di Platone a quelle empiriste come lo sviluppo interno del pensiero dello stagirita.

D’altra parte tale interpretazione si basava su una datazione di fatto arbitraria delle opere di Aristotele. Si tratta in realtà di opere di difficile datazione per la scarsità di riferimenti storici, per cui molti interpreti sono caduti nel circolo vizioso di considerare opere della maturità, quelle che più si confacevano alla loro lettura di Aristotele, generalmente la più favorevole alla loro ideologia, considerando come opere giovanili quelle più distanti.

Peraltro troppo spesso si è dimenticato che prima dell’invenzione della stampa non esiste un anno di pubblicazione di un’opera. Gli scritti erano spesso rivisti e riscritti nel corso del tempo dagli stessi autori. Tanto più che le opere di Aristotele erano pensate per gli studenti ed è probabile che Aristotele le abbia riviste nel corso degli anni rifacendo uno stesso corso. Infine, i rimandi interni hanno un valore più logico-sistematico che storico-cronologico. Peraltro i più recenti tentativi di ordinare cronologicamente i testi aristotelici giungono a conclusioni opposte a quelle ipotizzate da Jaeger.

Note:

[1] Vegetti, Mario e Ademollo, Francesco, Incontro di Aristotele. Quindici lezioni, Einaudi, Torino 2016, p. VIII. D’ora in avanti citeremo quest’opera direttamente nel testo, inserendo fra parentesi tonde le pagine dei brani riportati.

04/11/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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