Un altro mondo di Stéphane Brizé, drammatico, Francia 2021, voto: 7+; la Francia si conferma uno dei Paesi più avanzati, non solo fra le nazioni europee e imperialiste, per quanto riguarda i rapporti di forza nel conflitto di classe al livello delle idee e per la capacità delle forze critiche del neoliberismo di metterne seriamente in discussione l’egemonia sul piano sovrastrutturale all’interno della società civile. Proprio al contrario di quanto avviene nel miserrimo panorama italiano, in diversi film francesi si pone al centro della rappresentazione il tema centrale del conflitto sociale e si porta avanti una serrata critica al pensiero unico neoliberista. C’è, dunque, poco da stupirsi se nel nostro povero Paese anche in campagna elettorale i programmi siano pressoché integralmente neoliberisti e non si affronti mai il conflitto di classe, dal momento che da anni questi temi sono praticamenti espunti dal nostro cinema, quasi completamente allineato, critica cinematografica compresa, all’ideologia dominante, funzionale agli interessi conservatori se non reazionari della classe dominante. Un altro mondo pur affermando in modo realistico aspetti sostanziali del conflitto sociale, ha alcuni significativi difetti piuttosto comuni in Francia, anche a sinistra. Innanzitutto l’intollerabile nazionalismo, del tutto fuori luogo in un Paese ormai da secoli imperialista e lontanissimo dalla difesa della nazione insurrezionale della Rivoluzione francese. Così abbiamo, come generalmente accade, che il personaggio tipico che incarna il neoliberismo e la classe dominante è uno straniero, nel caso specifico uno statunitense. Per cui ritorna la retorica della difesa nazionalista dinanzi al neoliberismo. Vi è anche la contrapposizione, non certo di sinistra, fra la provincia e la capitale, che sarebbe un cavallo di Troia dell’affermazione in Francia del neoliberismo statunitense. Infine vi è il mito interclassista di una sostanziale comunanza di intenti fra manager e lavoratori e anche la conclusione è alquanto discutibile, in quanto il protagonista manager fa un’autocritica, ma accetta il licenziamento per non aver sostenuto le politiche neoliberiste senza dar battaglia e finiscono con il trovare rifugio nel privato.
The boys, serie televisiva statunitense ideata da Eric Kripke per conto di Amazon, terza stagione, voto: 7; la serie si conferma di ottimo livello, anche se permangono a fianco dei grandi meriti i notevoli limiti già individuati nelle precedenti stagioni. Prosegue e si approfondisce la destrutturazione e critica radicale dei super eroi. Tale efficace, pungente e divertente critica va di pari passo con una critica radicale della politica statunitense, da cui, in modo esemplare, emerge come i servizi di questo paese per finanziare i narcos contras nicaraguensi oltre a vendere armi in segreto all’Iran, hanno distribuito l’eroina nei quartieri abitati dalle minoranze razziali, i quartieri più poveri e ribelli, per anestetizzarli. D’altra parte dal momento che non vi sarebbe nessun modello migliore da contrapporre ai crimini dell’imperialismo statunitense ben simbolizzato dai supereroi, parrebbe non restare altro che operare, come i protagonisti “positivi” della serie, al servizio della Cia, che costituirebbe, comunque, la sola alternativa ai super eroi o alla Russia.
Halston è una miniserie televisiva statunitense del 2021, prodotta da Ryan Murphy e basata sulla vita dell'omonimo stilista, distribuita da Netflix, voto: 6+; rappresentazione realistica della visione del mondo di uno stilista di successo, il problema, naturalmente, è che la sua visione distorta e soggettiva viene presentata come la sola e, quindi, come se si trattasse di una realtà oggettiva. Così sparisce dalla rappresentazione completamente il mondo dei lavoratori salariati, degli sfruttati, dei subalterni, naturalmente cancellati da una merce, come Halston, dell’industria culturale della potenza imperialista più retriva, aggressiva e reazionaria, sebbene si tratti di una merce sofisticata e di qualità. Altrettanto naturalmente si tratta di una merce ben confezionata e certamente piacevole, che ha il consueto effetto droga, cioè tende a portare lo spettatore a vedere tutti gli episodi, quando già uno è più che sufficiente per fare tesoro di quel poco di sostanziale che è in grado di mediare.
Esterno notte, miniserie tv, presentata in anteprima al cinema, di Marco Bellocchio, dramma storico, Italia 2022, con Fabrizio Gifuni, Margherita Buy, Toni Servillo, voto: 6-; opera davvero deludente, anche perché le recensioni lette e il precedente Buongiorno notte avevano lasciato ben sperare. Al contrario Bellocchio si conferma uno dei registi più assurdamente sopravvalutati della storia del cinema. Anche i pochi aspetti critici e significativi nella ricostruzione cinematografica del caso Moro, vengono meno. Il film diviene una apologia indiretta dei protagonisti politici della classe dominante che, proprio al contrario, erano significativamente criticati in Buongiorno notte. La ricostruzione storica, in particolare nel rappresentare una società polarizzata per cui vi sarebbe stata una sinistra apologetica del terrorismo e un centro-destra, supportato anche da Berlinguer, schierato a difesa del sistema, appare del tutto inverosimile dal punto di vista storico. Peraltro se appare lodevole il non aver ceduto alle troppe teorie complottistiche nella ricostruzione storica, manca sicuramente una seria analisi delle azioni e reazioni sul piano politico nazionale e internazionale dinanzi a una vicenda di indubbio rilievo. Colpisce, infine, come fossero di fatto già presenti in nuce allora i difetti capitali dell’attuale sinistra, la cui componente moderata è divenuta l’ala di centro-sinistra dello schieramento filo-imperialista, mentre la sinistra radicale resta prigioniera di una logica minoritaria, settaria e avventurista.
La seconda parte del film segna una decisa svolta e la serie recupera diversi degli aspetti critici presenti nel film da cui è tratta e ne inserisce alcuni nuovi. Per quanto ancora inverosimile la quarta puntata offre un salutare cambio di prospettiva, analizza le contraddizioni interne alla lotta armata e, finalmente, presenta una alternativa reale fra la “sinistra” ultra opportunista e questurina e la “sinistra” avventurista e di fatto anarchica. Ciò apre la strada anche alla possibilità di una conclusione diversa, che porti a compimento la tragedia del rapimento Moro, con cui si apre e di fatto si chiude la serie. La quinta puntata, dal punto di vista della moglie e più in generale della famiglia Moro è la più intensa e a tratti anche la più critica. In essa spicca in particolare l’ottima interpretazione di Margherita Buy, che si affianca alla molto valida prova attorica di Gifuni. Nell’ultimo episodio spicca, in particolare, la contestazione di massa a Cossiga.
Russian Doll è una serie televisiva statunitense (commedia drammatica, giallo) del 2019-2022 ideata da Natasha Lyonne, Leslye Headland e Amy Poehler, distribuita da Netflix. La prima stagione è composta di otto episodi: voto: 3,5; la serie non parte certo nel migliore dei modi, con un primo episodio tutto incentrato su una trovata per cui la protagonista rivive continuamente la sera del suo trentaseiesimo compleanno che si conclude altrettanto inevitabilmente con la sua morte violenta. A rendere la serie ancora più noiosa, oltre all’eterno ritorno dell’identico, vi è che in questa sera costantemente ripetuta non avviene proprio nulla di significativo.
Il film vuole essere smart e porta lo spettatore a impersonarsi con un personaggio che appare estremamente smart. In tali modo, però, si rischia di finire con il normalizzare delle pratiche di vita davvero pericolose e deplorevoli, come cercare costantemente di sballarsi bevendo e drogandosi. Mentre tutti gli aspetti lodevoli mancano del tutto alla protagonista con cui lo spettatore è portato a immedesimarsi. La protagonista, in effetti, si guarda bene dal battersi per l’emancipazione del genere umano, di schierarsi a favore dei subalterni, di impegnarsi nel conflitto sociale, di assumere un’attitudine di solidarietà nei confronti degli altri sfruttati, etc.
La serie, con il passare degli episodi, finisce con il perdere qualsiasi motivo d’interesse, diviene ripetitiva, sempre più inverosimile e, dunque, la cosa più sana è certamente smettere di perdere tempo a vederla e recensirla.
The Serpent è una miniserie televisiva britannica del 2021, realizzata da Mammoth Screen per BBC One e Netflix, voto: 3. La serie contribuisce vergognosamente alla mitizzazione di uno squallidissimo assassino seriale di giovani hippie, facendo il gioco di questo vigliacco e squallidissimo tagliagole. Quest’ultimo, in effetti, dopo aver scontato il carcere in India per i suoi atroci delitti, con la complicità della società dello spettacolo e dell’industria culturale, ha costruito la sua fortuna in occidente, vendendo i diritti del proprio personaggio mediatico quale presunto e sedicente genio del male assoluto. Si riproduce così su piccola scala l’aberrazione dell’ideologia dominante borghese che ha fatto degli stessi nazisti dei geni del male addirittura affascinanti. Con un’attitudine molto simile a quella nazista, il serial killer in questione trucida senza pietà le proprie vittime indifese e innocenti, ingannandole subdolamente, per la sua reazionaria ideologia che lo porta a odiare gli hippie a causa del loro pacifismo e anticonformismo. La serie, occultando questo aspetto, e riconducendo in maniera davvero criminale tali orrendi delitti alla temperie antimperialista del tempo, rende The Serpent del tutto inverosimile e insostenibile. Nascondendo il reale movente, gli spaventosi omicidi finiscono con l’apparire del tutto gratuiti e fini a loro stessi. Inoltre facendo interpretarne il ruolo a un attore di successo, senza un briciolo di effetto di straniamento, l’assassino diviene addirittura affascinante. Inoltre si occultano di fatto le responsabilità degli Stati occidentali, in primo luogo attraverso le loro ambasciate, che si disinteressano di questa sanguinaria serie di crimini, in quanto colpiscono gli odiati capelloni. Allo stesso modo si occulta il ruolo di fatto connivente della dittatura militare tailandese, intenta a portare avanti una politica di terrore preventivo per impedire lo sviluppo del comunismo. Nascondendo tutti gli aspetti sostanziali e che avrebbero potuto dare un qualche rilievo a questa turpe faccenda, l’unica sedicente morale del film è che gli hippie, con la loro fiducia nel prossimo, in qualche modo si sarebbero andati a cercare gli spaventosi eventi che li travolgono.
Senza fine di Elisa Fuksas, documentario, Italia 2022, voto: 1; film assolutamente insostenibile, tutto incentrato sulla esposizione sfacciata del corpo attuale di Ornella Vanoni la quale ricorda, naturalmente in modo acritico, alcuni aspetti inessenziale del suo passato. La trovata di paragonare costantemente la cantante oggi con i suoi successi giovanili poteva essere utile come introduzione al documentario, ma alla lunga non può che divenire insopportabile. Già il genere film biografico è molto discutibile, ma diviene del tutto da evitare se si parla della vita privata di un personaggio che ha inciso, per quanto marginalmente, nella vita pubblica nel passato. Abbiamo così esclusivamente la documentazione della vanità e dell’egocentrismo spropositato non solo della cantante, ma ancora di più della regista.