La crisi dell’utopia

Canfora, pur cogliendo tutte le ragione dell’uomo del corso del mondo che coglie, a ragione, tutti i limiti dello spirito dell’utopia, mostra al contempo che il motore dello sviluppo e del progresso storico vada ricercato necessariamente nell’ideale e nei tentativi di realizzare l’uomo nuovo.


La crisi dell’utopia

La crisi dell’utopia. Aristofane contro Platone di Luciano Canfora, pubblicato da Laterza a partire dal 2014, è un’opera che va assolutamente letta e meditata. Innanzitutto perché affronta in modo estremamente dialettico questioni decisamente sostanziali, in primis lo spirito dell’utopia da cui sono sorti e si sono sviluppati i movimenti storici rivoluzionari. Canfora inoltre, da buon filosofo della praxis, affronta costantemente il decisivo snodo del rapporto dialettico fra teoria e prassi, senza mai cadere in un estremo, o nell’altro. In altri termini, non parte dal presupposto che la prassi tradisca sempre necessariamente la teoria, né che la prassi sia necessariamente uno sviluppo, un inveramento della teoria. Piuttosto, affronta in modo dialettico tutte le necessarie contraddizioni anche della più radicale teoria rivoluzionaria e non nasconde tutti i limiti dei tentativi storici di praticarla. D’altra parte, pur evidenziandone limiti e contraddittorietà, ne mostra al contempo la funzione decisiva dal punto di vista storico e teorico. Dunque, pur cogliendo tutte le ragione dell’uomo del corso del mondo che coglie, a ragione, tutti i limiti dello spirito dell’utopia, mostra al contempo che il motore dello sviluppo e del progresso storico vada ricercato necessariamente nell’ideale di realizzare l’uomo nuovo.

Perciò dopo aver analizzato nel modo più dialettico questo eccezionale e paradigmatico scontro fra titani, ovvero il decisivo confronto-scontro fra il padre dello spirito dell’utopia e il padre della sua demolizione ironica – dal punto di vista del corso del mondo – prende decisamente, al contrario di Hegel, le difese del primo, piuttosto che del secondo. Ma, esattamente come faceva Platone – e al contrario di quanto faceva un altro gigante del pensiero politico contemporaneo, Domenico Losurdo – non mette in evidenza i soli punti deboli della posizione dell’avversario, ma ne pone esemplarmente in luce i punti di forza. Comprendendo che occorre necessariamente confrontarsi con un avversario che sia alla propria altezza, se si intende far emergere, in modo del tutto non ideologico, le proprie convinzioni.

A questo scopo affronta la questione, come necessario, da un punto di vista squisitamente scientifico, corroborando con un’acutissima acribia filologica le proprie tesi. Certo, in tal modo, l’opera – peraltro scritta benissimo – diviene necessariamente di non agevole lettura. Soprattutto per chi ha un’impostazione filosofica e tende a perdere un po’ la pazienza quando si va troppo nei particolari. Anche perché – e questo è forse l’unico parziale difetto di questo ottimo libro – talvolta le questioni sostanziali emergono, ma non vengono debitamente affrontate e approfondite, proprio per la necessità del filologo classico di fare fino in fondi i conti con le fonti, i documenti e le diverse interpretazioni.

D’altra parte, un altro grande pregio dell’opera di Canfora è che – anche in questo caso seguendo l’impostazione di Socrate-Platone – più che dare delle soluzioni già belle e pronte, che chiudono le problematiche, tende ad aprire le grandi questioni sostanziale, lasciando al lettore il compito di provare a trovare delle risposte, necessariamente parziali e provvisorie.

Fra le grandi questioni sollevate, tutte incredibilmente di stringente attualità, vi è la problematica e contraddittoria relazione fra democrazia e comunismo. Una questione ancora oggi aperta e di difficilissima soluzione. Da questo punto di vista molte delle critiche alla democrazia sollevate da Socrate-Platone e alcune di quelle denunciate, in una prospettiva opposta, da Aristofane sono, ancora oggi, di stringente attualità. Peccato che in tal caso il libro di Canfora non affronti come meriterebbe la questione, dal momento che il libro è incentrato sul confronto-scontro fra Platone e Aristofane che, pur da posizioni antitetiche, giungono a critiche non di rado comuni ai necessari limiti, teorici e pratici, della democrazia.

D’altra parte i governi aristocratici, che assumono talvolta aspetti totalitari – per quanto animati da spirito dell’utopia anche comunista – finiscono per far ritenere meno peggio la soluzione democratica, come finisce per riconoscere lo stesso Platone della VII lettera. Da questo punto di vista decisamente più significativo è il confronto-scontro fra Platone e il suo più geniale allievo, Aristotele, che Canfora schizza cogliendone diversi spunti sostanziali, ma che naturalmente non può approfondire, come meriterebbe, per non andare troppo fuori tema.

Il problema di fondo che emerge è che, paradossalmente, i sistemi più avanzati – in qualche modo i più democratici, o realmente democratici – tendono storicamente a configurarsi come una Herrenvolk democracy, ossia come una democrazia per il popolo dei signori, come nel modello spartano. Inoltre, per realizzare un tale modello su un piano più universale, fino a che non si formi l’uomo nuovo e le leggi non divengono costumi etici, ci sarà in qualche modo bisogno di un sistema normativo decisamente più pesante e di forme di controllo più stringenti, che rischiano di trasformare lo Stato rivoluzionario in uno Stato di polizia, o addirittura in uno Stato “tirannico” o “totalitario” per la necessità di ricorrere al terrore, soprattutto quando si tratta di resistere, in una situazione di stato di eccezione, alla preponderanza delle forze controrivoluzionarie interne ed esterne.

Per quanto riguarda il modello di comunismo platonico e, più in generale, il suo spirito utopistico è indubbio che ricerchi degli antecedenti storici in forme di Stato decisamente più arcaiche di quella “democratica” ateniese, come l’arcaica società spartana, più o meno idealizzata, o addirittura la società castale dell’antico Egitto.

Da qui le critiche – da un punto di vista progressista – che La repubblica di Platone riceverà, di cui Canfora purtroppo non si occupa. Da questo punto di vista, occorre ricordare in primo luogo la critica di Hegel. Secondo quest’ultimo, con la sofistica, culminata con Socrate, era emersa la contraddizione fondamentale che avrebbe portato al crollo la civiltà ellenica, ovvero il primo affacciarsi della libertà dell’individuo dinanzi all’eticità immediata, da cui si svilupperà la libertà dei moderni. Da questo punto di vista, per Hegel le critiche di Aristofane alla democrazia che condanna a morte Socrate e quella implicita ne La repubblica platonica vanno tutte, fondamentalmente, nella stessa direzione, pur provenendo da posizioni decisamente antitetiche. Tutte e tre, in effetti, colgono quell’elemento sovversivo sorto con la sofistica e che ha raggiunto il suo massimo sviluppo in Socrate, ossia il punto di vista soggettivo, che sarà poi alla base del pensiero moderno. Quindi, per Hegel, l’attacco di Aristofane e la condanna a morte di Socrate da parte della democrazia restaurata sono legittimi, in quanto comprendono in pieno la gravità della contraddizione sollevata dalla posizione socratica. D’altra parte, sono delle critiche essenzialmente conservatrici, che non possono arrestare lo sviluppo dello spirito dell’uomo nel corso della storia mondiale. Il problema è che tale sviluppo sarà possibile solo attraverso il tragico tramonto del mondo ellenico, di cui Aristofane e la democrazia restaurata costituiscono due momenti fondamentali. Il terzo momento, quello de La Repubblica di Platone costituirebbe, nell’interpretazione di Hegel, l’ultimo grande tentativo di impedire il compiuto esaurimento della spinta propulsiva della civiltà ellenica. Perciò, La Repubblica, per Hegel, non avrebbe proprio nulla di utopistico, ma sarebbe un ultimo vano tentativo – ancora più conservatore – di restaurare lo spirito della polis classica, prima del suo definitivo entrare in crisi, la cui manifestazione e progressiva presa di coscienza avviene con la sofistica, quale illuminismo ellenico. Da questo punto di vista avrebbe, secondo Hegel, ragione Aristofane a interpretare Socrate come colui che porta a compimento l’illuminismo ellenico rappresentato dalla sofistica e non a vedervi – come farà Platone – il nemico di tale spirito dissolutore. In effetti, dal punto di vista di Hegel la critica alla sofistica è opera di Platone e non di Socrate, come appare dai dialoghi del suo più geniale allievo. Dunque, La repubblica di Platone sarebbe un ultimo disperato tentativo di salvare, dalla sua necessaria tragedia, il bel mondo etico greco, cercando di dimostrare come la comunità etica immediata potesse sopravvivere solo escludendo l’emergere del valore assoluto della soggettività, dell’individuo. Si tratterebbe, dunque, di una impresa sostanzialmente donchisciottesca dal momento che una volta emersa definitivamente con Socrate la crisi del mondo ellenico era ormai irreversibile, ma anche necessaria al successivo sviluppo della storia universale attraverso l’affermarsi dell’ellenismo. Non a caso Platone muore proprio quando i macedoni hanno ormai esteso, di fatto, la loro egemonia sull’intera Grecia.

Da questo punto di vista la critica a La repubblica di Platone del più grande hegeliano di sinistra, ovvero di Karl Marx, non poteva che essere ancora più radicale. In altri termini, Marx non poteva che sviluppare ulteriormente gli aspetti critici già messi in luce, in modo rivoluzionario, da Hegel. Anche dal punto di vista di Marx La Repubblica non solo non può esser considerata un’utopia, ma andrebbe denunciata come una distopia, in quanto mirerebbe a impedire lo sviluppo storico-sociale dalle antiche caste – dominanti nel mondo orientale – alla loro progressiva sostituzione con le classi sociali, in cui diviene possibile il passaggio molecolare da un gruppo sociale a un altro. Come già Hegel, Marx denuncia come distopico l’aspetto de La Repubblica di Platone per cui non è l’individuo a scegliere la propria funzione nella divisione sociale del lavoro, ma tale decisione spetta alla casta dominante dei re-filosofi. Da tale punto di vita, La Repubblica sarebbe per Marx un tentativo di restaurare le antiche caste chiuse della civiltà egiziana.

Senza contare, come mette in luce in questo caso Canfora, un altro aspetto decisamente reazionario de La Repubblica, ovvero il programma di eugenetica, che si affermerà nel mondo moderno in contesti decisamente reazionari, dagli Stati Uniti, alla Germania nazista, all’Australia etc. Anche tale aspetto, andrebbe interpretato – come non appare ne La crisi dell’utopia – come un tentativo di impedire il porsi per sé della soggettività. Sempre in questa prospettiva andrebbe inteso l’altro punto del programma platonico – anch’esso per alcuni aspetti decisamente distopico – della comunanza delle donne, almeno all’interno dei ceti dirigenti. Anche in questo caso – come di nuovo non coglie Canfora – s’intende impedire l’affermarsi della soggettività nella scelta del proprio compagno o compagna. Peraltro, in parte perché necessariamente legato alla critica di Aristofane, in parte perché sembra esserne affascinato, Canfora si dilunga molto, troppo su questo aspetto. Sembrando non intendere come si tratti di uno degli argomenti più deboli e discutibili dell’utopia platonica, non a caso preso di mira, in modo satirico, da Aristofane e diversi altri comici.

Anzi, dal punto di vista di Canfora tale prospettiva, pur nei suoi limiti, rappresenterebbe uno degli aspetti più radicali e rivoluzionari dell’utopia socratico-platonica. Dunque, invece di cogliere – come farà il socialismo scientifico – nella messa in comune delle donne l’aspetto più caratteristico del socialismo volgare, Canfora vi vede uno di quegli aspetti a tal punto avanzati della prospettiva rivoluzionaria da non essere compiutamente realizzato nella prassi.

30/07/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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