L’imperialismo fase suprema del capitalismo

L’imperialismo crea la possibilità economica di corrompere gli strati superiori del proletariato e, in tal modo, di alimentare, forgiare e rafforzare l’opportunismo


L’imperialismo fase suprema del capitalismo Credits: https://www.lacittafutura.it/cultura/la-critica-di-lenin-al-nazionalismo-borghese

 

Le profonde trasformazioni ancora oggi in atto nei paesi a capitalismo avanzato sempre più divenuti parassitari dei paesi in via di sviluppo sono state ampiamente previste da Lenin: “lo Stato rentier è lo Stato del capitalismo parassitario in putrefazione. Questo fatto necessariamente influisce, in generale, su tutti i rapporti politici-sociali dei relativi paesi, e sulle due correnti principali del movimento operaio, in particolare” [1].

Arriviamo così al più grave problema che ha impedito e continua a impedire la Rivoluzione in occidente, cioè la questione dell’aristocrazia operaia. Come notava già allora Lenin: “per rendere economicamente possibile tale opera di corruzione – in qualsiasi forma attuata – sono necessari alti profitti monopolistici” (148). Ancora più degno di nota è come già Hobson, citato da Lenin, era in grado di prevedere quelle dinamiche dell’imperialismo europeo che ancora oggi tanti marxisti e comunisti non sembrano in grado di comprendere. “Ecco quale possibilità sarebbe offerta da una più vasta lega delle potenze occidentali, da una federazione europea delle grandi potenze. Essa non solo non spingerebbe innanzi l’opera della civiltà mondiale, ma potrebbe presentare il gravissimo pericolo di un parassitismo occidentale, quello di permettere l’esistenza di un gruppo di nazioni industriali più progredite, le cui classi elevate riceverebbero, dall’Asia e dall’Africa, enormi tributi e, mediante questi, si procurerebbero grandi masse di impiegati e di servitori addomesticati” (149). Dunque, al contrario di tutti gli ancora attuali sostenitori da sinistra di una Europa sempre più connessa nella prospettiva di uno stato federale unitario, Lenin fa notare come nella denuncia di Hobson “è poto nel suo vero valore il significato degli «Stati Uniti d’Europa» nella odierna congiuntura imperialista” (150).

Tornando a come l’aristocrazia operaia, resa possibile dai sovraprofitti imperialisti, sia uno dei principali fattori che spiega l’affermarsi di tendenze revisioniste e riformiste nello stesso movimento dei lavoratori, osserva Lenin: “l’imperialismo che significa la spartizione di tutto il mondo e lo sfruttamento non soltanto della Cina, che significa alti profitti monopolistici a beneficio di un piccolo gruppo di paesi più ricchi, crea la possibilità economica di corrompere gli strati superiori del proletariato, e, in tal guisa, di alimentare, foggiare e rafforzare l’opportunismo” (150).

Le politiche anche economiche imperialiste sono alla base del generalmente frainteso motivo per cui tanti abitanti di paesi poveri cerchino di emigrare nei paesi a capitalismo avanzato. Come fa notare Lenin: “una delle particolarità dell’imperialismo, collegata all’accennata cerchia di fenomeni, è la diminuzione dell’emigrazione dai paesi imperialisti e l’aumento dell’immigrazione in essi di individui provenienti da paesi più arretrati, con salari inferiori” (152).

Del resto, nell’imperialismo è insita questa tendenza a separare i subalterni, a creare delle lacerazioni nel fronte avverso, differenziando le condizioni di vita dei proletari autoctoni da quelle degli immigrati e dei lavoratori dei paesi che vivono nell’area di influenza delle potenze imperialiste. Dunque, come osserva lucidamente Lenin: “l’imperialismo tende a costituire anche tra i lavoratori categorie privilegiate e a staccarle dalla grande massa dei proletari” (153). In tal modo si tende a creare una situazione con analogie a quella della plebe nell’epoca dell’impero romano, che non era una classe rivoluzionaria perché le proprie condizioni di vita erano superiori a quelle degli schiavi. In tal modo tanto la plebe, quanto l’aristocrazia operaia tendono a non essere più delle classi che non hanno più niente altro da perdere dalla rivoluzione che le proprie catene, in quanto vivono in una situazione, per quanto misera, di privilegio.

Questa componente “privilegiata” del proletariato ha maggiori difficoltà a sviluppare uno spirito rivoluzionario e tende così, più docilmente, a farsi guidare dallo strato superiore dell’aristocrazia operaia, composta da dirigenti e burocrati sindacali che sono, di fatto, sulla busta paga del nemico di classe. Così già Lenin osservava a tal proposito il progressivo “imborghesimento di una parte del proletariato” dei paesi imperialisti, di modo che tale componente “si fa guidare da capi che sono comprati o almeno pagati dalla borghesia” (154).

Al contempo Lenin coglie un aspetto sempre più caratteristico della nostra epoca, cioè la capacità che ha l’imperialismo di essere egemone non solo nel blocco sociale dominante, fra i ceti medi, ma anche nei settori privi di coscienza di classe dei ceti sociali subalterni. “Entusiasmo «universale» per le prospettive offerte dall’imperialismo; furiosa difesa ed abbellimento di esso: ecco i segni della nostra età. L’ideologia imperialista si fa strada anche nella classe operaia, che non è separata dalle altre classi da una muraglia cinese” (156).

La tendenza a formare una aristocrazia all’interno delle stesse classi subalterne, consente di comprendere perché proprio nei paesi a capitalismo avanzato si stabilisce una tragica spirale per cui l’affermarsi delle pratiche imperialiste favorisce lo sviluppo del revisionismo all’interno delle stesse masse popolari. “Così sorge un legame tra l’imperialismo e l’opportunismo; fenomeno questo che si manifestò in Inghilterra prima e più chiaramente che altrove perché ivi, molto prima che in altri paesi, apparvero certi elementi imperialistici” (176). Da qui, se ne deduce, un altro aspetto centrale dell’interpretazione dell’imperialismo, per cui una reale battaglia contro quest’ultimo non può mai prescindere dalla lotta senza quartiere a ogni forma di revisionismo. “la lotta contro l’imperialismo, se non è indissolubilmente legata con la lotta contro l’opportunismo, è una frase vuota e falsa” (177).

Nella sua magistrale e ancora estremamente intellettuale introduzione a l’opera di Lenin: L’imperialismo fase suprema del capitalismo, Domenico Losurdo osserva a ragione che “l’oblio o la rimozione della categoria di imperialismo ha prodotto effetti devastanti sul piano culturale, compromettendo gravemente l’intelligenza critica di intellettuali anche assai prestigiosi” (7). In realtà il termine imperialismo, se non riferito all’epoca di inizio del ventesimo secolo quando era stato introdotto ed era utilizzato da economisti liberali borghesi o se non utilizzato come epiteto offensivo per denigrare gli avversari del mondo occidentale, come la Russia, è divenuto un concetto inutilizzabile all’interno della “comunità scientifica” del sedicente “mondo libero”. Naturalmente tale occulta censura è indispensabile in primo luogo per far scomparire l’opera di Lenin e la sua sconcertante attualità, in quanto, ad esempio, ha evidenziato che una “caratteristica essenziale dell’imperialismo è l’egemonismo che si esprime anche nell’orgogliosa autoproclamazione delle grandi potenze di essere le interpreti esclusive della Civiltà col compito quindi di impartire periodiche lezioni e punizioni ai barbari, cioè ai popoli e ai paesi riluttanti a subire il gioco imposto dagli eletti dal Signore” (8).

La negazione della realtà imperialista è funzionale a nascondere il profondissimo razzismo dominante in occidente e più in generale in Europa, da qui tutta l’importanza e la attualità della denuncia da parte di Lenin della “abitudine degli europei e degli occidentali a non considerare guerre quelle che si svolgono fuori dell’Europa e dell’Occidente e che tuttavia comportano massacri a danno di popoli inermi o comunque in condizione di netta inferiorità militare” (10). Non solo la spirito, ma persino la lettera della nostra Costituzione è stata completamente stravolta per consentire all’Italia “di partecipare attivamente alle sempre più frequenti «operazioni di polizia internazionale che di fatto sono guerre non dichiarate» e il cui obiettivo è, come ormai sappiamo, la redistribuzione delle colonie. In quanto condotta come operazione di polizia internazionale, «ora la guerra non la si dichiara più»” (18).

Ancora estremamente attuale – se solo si pensi al sabotaggio del gasdotto Nord Stream 2 – quanto osservava Losurdo: “mentre i rapporti di forza sul piano economico tendono a spostarsi a favore di Giappone e di Germania, l’amministrazione americana si preoccupa di ricordare ai suoi rivali di essere detentrice di una schiacciante superiorità militare capace di tagliare a ogni momento i rifornimenti di materie prime da cui dipendono la loro industria ed economia” (20). Tale dinamica oggi resta di fatto inalterata se si sostituiscono alle ormai decotte economie tedesca e giapponese, quella sempre più emergente e dominante della Cina.

Estremamente attuale è la critica di Lenin allo pseudoconcetto elaborato da Kaursky di ultra-imperialismo, oggi ripreso tanto da chi parlava di impero, quanto da chi parla di capitale transnazionale. Al contrario, come ricorda Losurdo sulla base della lezione di Lenin, anche da questo punto di vista estremamente attuale, “il crescente processo di internazionalizzazione dell’economia non impedisce alle multinazionali di far riferimento alla potenza politica e militare di un determinato Stato o gruppo di Stati al fine di meglio condurre la gara per la conquista dei mercati, delle materie prime e delle sfere d’influenza” (25). Senza contare che l’imperialismo, “agendo congiuntamente al trionfo del neoliberismo”, che porta con sé “la sconfitta di ogni progetto di solidarietà”, “la nuova costellazione internazionale tende a rimettere all’ordine del giorno la questione nazionale anche nei paesi che sembravano averla da lungo tempo definitivamente risolta” (26), come sta avvenendo, in modo esemplare, nel nostro stesso paese la cui unità è sempre più a rischio a opera della secessione delle regioni ricche del nord, da quelle povere e arretrate del meridione. Molto interessante e attuale questa riflessione in quanto permette di comprendere il motivo per il quale la classe dominante italiana non si oppone alle spinte secessioniste alimentate – in primo luogo – dall’imperialismo tedesco e, più in generale, perché le classi dominanti dell’Unione europea restano così prone alla volontà di potenza statunitense, anche quando tale codismo provoca degli evidentissimi danni all’economia dei principali paesi dell’Ue. Dunque, per dirla ancora con Losurdo, “non si comprenderebbe nulla di Lenin se si staccasse la denuncia della politica di aggressione della borghesia imperialistica dalla denuncia della politica di capitolazione (e di perseguimento miope di interessi immediati) propria della borghesia nei paesi oggetto di tale aggressione” (27). In conclusione Losurdo osservava che “mentre si profilano nuove spedizioni coloniali contro questo o quel paese del Terzo mondo e si aggravano le rivalità e le contraddizioni tra le stesse grandi potenze imperialiste, si assiste al proliferare di molteplici e variegate ideologie della guerra, col loro seguito, funesto e inevitabile, di razzismi e fondamentalismi più o meno camuffati e di quelle devastazioni anche culturali, di cui” le più recenti aggressioni imperialiste, a partire dalla cosiddetta Guerra del Golfo ci hanno “fornito un saggio preoccupante” (28).

Note:

[1] Lenin, Vladimir, Ilic, L’imperialismo fase suprema del capitalismo, Laboratorio politico, Napoli 1994, p. 147. D’ora in poi indicheremo direttamente nel testo, per i brani citati da quest’opera, il numero di pagina di questa edizione fra parentesi tonde.

11/08/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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