Inchiesta su Gramsci 4

Proseguiamo nella recensione analitica del libro: Inchiesta su Gramsci, a cura di Angelo d’Orsi, Accademia Univerity Press, Torino 2014. La presente recensione si può leggere anche autonomamente, in quanto si riportano in maniera sintetica gli aspetti più salienti delle risposte di altri significativi studiosi di Gramsci sulle questioni poste dagli ideatori del volume.


Inchiesta su Gramsci 4

Proseguiamo nella recensione analitica del libro: Inchiesta su Gramsci, a cura di d’Orsi, Angelo, Accademia University Press, Torino 2014. La terza parte è uscita nel numero scorso di questo settimanale. La presente recensione si può leggere anche autonomamente, in quanto si riportano in maniera sintetica gli aspetti più salienti delle risposte di altri significativi studiosi di Gramsci sulle questioni [1] poste dagli ideatori del volume. Nel riportare le posizioni dei singoli interpreti daremo meno importanza alla lettera delle loro risposte, cercando di coglierne e riassumerne lo spirito.

Lo Piparo cerca di difendere la sua interpretazione di un Gramsci liberale che, facendo autocritica, avrebbe abbandonato il comunismo. Per sostenere tale tesi attribuisce al liberalismo solo i suoi aspetti ancora oggi progressisti, cassando gli aspetti, almeno oggi, conservatori se non reazionari. In secondo luogo attribuisce a Gramsci le posizioni che quest’ultimo riporta parlando della concezione politica di Croce in contrapposizione a quella di Gentile. Quest’ultima posizione, sebbene Gentile sia un viscerale anticomunista, viene interpretata come comunista! Perciò Gramsci riportando le posizioni di Croce, che naturalmente preferisce a quelle di Gentile, sarebbe diventato liberale condannando, come totalitario, il comunismo. In terzo luogo indentifica il comunismo con i peggiori aspetti dello stalinismo, secondo l’interpretazione dell’ideologia oggi dominante. Perciò Gramsci non condividendo i peggiori aspetti dello stalinismo e considerando, diremo noi hegelianamente, il comunismo come un superamento dialettico del liberalismo, avrebbe ripiegato su una posizione che oggi si definirebbe “socialista”. Infine, Lo Piparo sostiene che la sua concezione di un Gramsci che avrebbe superato il comunismo in senso liberale equivarrebbe alla definizione che danno gli studiosi di sinistra che lo definiscono un “comunismo critico”, per distinguere la concezione gramsciana principalmente dalla impostazione stalinista.

Sulla sua tesi riguardo i presunti quaderni scomparsi, Lo Piparo sostiene che dal momento che non si conoscono le vicissitudini dei quaderni gramsciani sia necessario procedere con una storia indiziaria. I quaderni oggi noti sarebbero due in meno dei quaderni effettivi, in quanto Tania Schucht dopo la morte di Gramsci li avrebbe rinominati. Dal momento che nella rinumerazione gli ultimi quaderni sarebbero stati indicati con un numero di due unità inferiore alla prima, due ne risulterebbero soppressi. Pur non potendo conoscere il loro contenuto è evidente che la loro eliminazione dovrebbe essere legata al fatto che Gramsci fosse giunto alla conclusione di abbandonare il comunismo, che si sarebbe inverato nello stalinismo, per una concezione liberale nel senso più progressista del termine. Del resto lo stesso Togliatti nell’annunciare i Quaderni di Gramsci, che saranno di lì a poco pubblicati, parla di 34 quaderni invece dei 33 oggi disponibili. Resta a questo punto in noi lettori il dubbio del perché i comunisti che avrebbero ordito questo complotto si tradiscono così palesemente annunciando pubblicamente un quaderno in più di quelli pubblicati e mantenendo nei quaderni originali da loro per molti anni conservati, sotto la seconda numerazione di Tania, la etichetta della prima numerazione, di due numeri inferiore. Difficilmente chi vuole nascondere le tracce di un proprio delitto lascia per pura sciatteria così tanti evidentissimi indizi.

Infine Lo Piparo considera un fatto che Gramsci, avendo una cella individuale e la possibilità di leggere e scrivere, avrebbe avuto un trattamento di favore rispetto agli altri detenuti. Inoltre, considera un altro dato di fatto incontrovertibile che i quaderni sarebbero finiti nelle mani dei comunisti italiani in esilio per volere dei fascisti e presumibilmente dello stesso Mussolini. Quest’ultimo, ipotizza Lo Piparo, non solo stimava Gramsci, ma riteneva che le sue posizioni eterodosse avrebbero nociuto piuttosto che avvantaggiare i comunisti. Dunque, i fascisti invece di pubblicare questi quaderni, li avrebbero consegnati ai comunisti, senza registrare in nessun modo il numero degli scritti gramsciani, lasciando così la possibilità a questi ultimi di pubblicare i primi 33, in cui Gramsci di fatto conferma il proprio comunismo diverso da quello del peggior stalinismo, e di far scomparire gli ultimi due, in cui Gramsci avrebbe fatto autocritica, abbandonando il comunismo per il liberalismo.

Antonia Lovecchio si sofferma, in particolare, sulla leggenda di Gramsci che, abbandonato dai comunisti alla deriva, dopo un progressivo avvicinamento, si sarebbe in punto di morte convertito al cattolicesimo, abiurando il comunismo. Peccato che a suffragio di tale tesi, riportata non di rado nei quotidiani, si avrebbe esclusivamente la testimonianza di una suora, mentre tutti gli scritti di Gramsci testimoniano la sua visione del mondo non solo comunista, ma anche atea.

Lovecchio inoltre denuncia la leggenda della rivalità fra un Gramsci critico dello stalinismo, che avrebbe duramente pagato questa coraggiosa presa di posizione, e un Togliatti opportunista e conformista che, al contrario, avrebbe sostenuto la deriva staliniana. Innanzitutto Lovecchio mostra come Gramsci e Togliatti condividessero la strategia di fondo sulla cui base si sarebbe sviluppata la divergenza tattica, dovuta principalmente alla differente valutazione dei rapporti di forza, necessariamente diversa chi operava nel contesto italiano e chi ragionava a partire dal ben differente contesto moscovita. Per entrambi non si doveva mettere in discussione, al contrario di quanto faceva Bordiga, principale oppositore della loro direzione collettiva, l’egemonia dei bolscevichi rispetto all’Internazionale. Anzi la netta presa di posizione di Gramsci contro gli scontri intestini del comunismo sovietico potrebbero essere letti in relazione alla lotta ideologica contro le posizioni di Bordiga. Dall’altra parte la decisione di Togliatti di non rendere pubbliche le dure reprimende di Gramsci rispetto allo scontro interno al Pcus, non solo era stata condivisa dagli altri membri della direzione del partito, ma il Migliore avrebbe in seguito rifondato il Partito comunista italiano proprio seguendo l’impostazione critica di Gramsci, in evidente contrasto con l’impostazione prevalente dello stalinismo sovietico.

Lovecchio denuncia la tendenza oggi imperante degli studiosi di non porsi più come interlocutori del potere politico, ma come puri accademici, salvo poi scadere troppo spesso nel sensazionalismo richiesto dall’ideologia dominante. Questo ha portato, in modo esemplare, a una schematica e manichea contrapposizione fra i buoni riformisti esemplificati da Turati e i cattivi rivoluzionari della tradizione gramsciana. In tal modo l’opinionismo richiesto dell’industria culturale prende il posto della seria e critica ricerca storica. Allo stesso modo, il bollare in modo semplicistico come storia sacra le opere di storici anche grandi legati al Pci come Spriano, impedisce un superamento dialettico delle loro posizioni da parte di molti storici odierni.

Saverio Luzzi denuncia la leggenda liberale volta a fare di Gramsci una pecorella smarrita, che avrebbe finito con il ripudiare il comunismo, da contrapporre al male radicale rappresentato da Togliatti al servizio di Stalin, colpevoli, di fatto, di non aver abiurato.

La contrapposizione fra Gramsci e Togliatti è inconsistente. Sia prima che dopo il contrasto del 1926 i due uomini politici sono fondamentalmente concordi. Il contrasto del 1926 è dovuto al fatto che al momento i contrasti fra maggioranza e minoranza del Pc sovietico tendevano a ricomporsi e, perciò, la missiva di Gramsci che li denunciava fu ritenuta in quel momento inopportuna. I dissapori da parte di Gramsci continuarono in quanto per il suo arresto e l’esilio di Togliatti non si giunse mai a un chiarimento, ma nemmeno a una rottura.

Certo Gramsci avrebbe voluto che i suoi scritti fossero trasmessi alla moglie, ma Togliatti pubblicandoli non solo non ha censurato il pensatore sardo, ma lo ha reso immortale. Peraltro la pubblicazione e il sostegno agli scritti di Gramsci fu anche un importante manifestazione di autonomia in quegli anni di stalinismo.

L’arresto di Gramsci fu un errore del Pcd’i e anche il prodotto della volontà di Gramsci, convinto che il capitano deve essere l’ultimo ad abbandonare la nave. Sicuramente pesò l’infiltrazione di spie fasciste nel partito, a cominciare da Silone. Mentre non c’è realmente nulla che provi una volontà politica del suo partito di non fare di tutto per mettere in salvo Gramsci.

Ci furono ulteriori errori del Partito dopo l’arresto di Gramsci, a partire dalla lettera di Grieco che accreditata Gramsci come massimo dirigente dei comunisti italiani. Non ci sono prove dell’accusa a quest’ultimo di essere una spia fascista e, certamente, proprio nulla dimostra la volontà di Togliatti di tenere in carcere Gramsci, come dimostrato persino da Vacca.

Prive di fondamento sono le accuse alla moglie, alla cognata e più in generale alla sua famiglia di essere spie sovietiche. Ciò non toglie che ci furono anche aspri dissidi interni alla famiglia.

L’ipotesi di un quaderno scomparso, in quanto in esso Gramsci avrebbe abbandonato il marxismo, è priva di ogni fondamento e si fonda unicamente sui diversi errori della cognata nel numerare i quaderni.

Sraffa faceva da tramite fra Gramsci e Togliatti è ha avuto sempre la piena fiducia di entrambi. Sraffa ha sempre negato la sua affiliazione al Comintern e niente prova il contrario. Priva di ogni fondamento è l’accusa a Sraffa di aver sottratto il presunto quaderno scomparso.

Non sussistono elementi per accreditare lo sviluppo da parte di Gramsci di una concezione liberaldemocratica. Più plausibile, ma non dimostrata, l’ipotesi di un Gramsci che sarebbe giunto all’idea di una transizione democratica, senza bisogno di una rivoluzione, alla società comunista.

Le lettere di Gramsci dal carcere vanno certamente lette anche fra le righe, ma cum grano salis, cioè non possono essere interpretate “oltre le righe”.

I tagli operati alle prime edizioni delle opere di Gramsci, per quanto discutibili, non hanno di fatto in alcun modo alterato il pensiero e la elaborazione intellettuale di Gramsci, non fosse altro perché sono quantitativamente estremamente limitati rispetto all’enorme mole delle pagine messe a disposizione di tutti.

Tipica della peggiore ideologia di destra è l’astratta contrapposizione fra un riformismo buono, incarnato da Turati, e un socialismo marxista cattivo, la cui icona sarebbe Gramsci.

La storia ufficiale del Pci non può essere considerata una storia sacra, tanto più se con tale termine si intende una storia falsa. Certo oggi va, come tutta la storia del passato revisionata, ma ciò non significa in nessun modo avvalorare concezioni revisioniste, da contrastare in ogni modo.

Marcello Montanari ritiene che le leggende su Gramsci derivino dalla pigrizia intellettuale che tende a ricondurre un pensiero di spiazzante attualità a schematismi noti. Anche il contrasto fra Gramsci e Togliatti andrebbe ridimensionato, considerando che in quel caso specifico Togliatti avrebbe avuto più il polso della situazione di Gramsci.

12/11/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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