Proseguiamo nella recensione analitica del libro: Inchiesta su Gramsci, a cura di d’Orsi, Angelo, Accademia University Press, Torino 2014. La seconda parte è uscita nel numero 457 di questo settimanale. La presente recensione si può leggere anche autonomamente, in quanto si riportano in maniera sintetica gli aspetti più salienti delle risposte di altri significativi studiosi di Gramsci sulle questioni [1] poste dagli ideatori del volume. Nel riportare le posizioni dei singoli interpreti daremo meno importanza alla lettera delle loro risposte, cercando di coglierne e riassumerne lo spirito.
Alessandro Hobel ritiene ormai assodato che l’attacco decennale a Gramsci debba essere inquadrato nel più ampio attacco alla storia dei partiti comunisti. La principale leggenda è che proprio Gramsci, che ha sempre rivendicato il suo essere partigiano, avrebbe abbandonato la sua parte politica. La dialettica fra Gramsci il suo partito e l’Internazionale dimostrano piuttosto quanto il pensatore sardo si sentisse a tutti gli effetti parte integrante di entrambi.
Peraltro, data la difficoltà nell’attaccare Gramsci per la sua storia e la fortuna del suo pensiero si preferisce isolarlo dal suo contesto, storico, politico e ideologico, contrapponendolo a Togliatti che rappresenterebbe tutti gli aspetti negativi del comunismo. Si realizza, così, un’operazione rovescista per cui, proprio chi ha permesso la conoscenza e diffusione dell’opera di Gramsci, diviene nel migliore dei casi il suo censore, nel peggiore il responsabile della sua morte. In tal modo, l’ideologia dominante punta a convincere che sia ancora lecito occuparsi di Gramsci esclusivamente se lo si contrappone e lo si utilizza per attaccare la sua parte politica, alla quale il sardo ha dimostrato di tenere più che alla sua stessa vita.
Per quanto riguarda l’unica dissonanza esplicita fra i due dirigenti del Pci, essa è interna al dibattito internazionale e dipende sia dal fatto che Gramsci a Roma non poteva sapere, come Togliatti a Mosca, quanto le contraddizioni all’interno del Pc sovietico fossero divenute inconciliabili. Inoltre Gramsci ha un’attitudine più critica e antidogmatica, rispetto a Togliatti, un’attitudine che diverrà tipica del Pci. Tanto che lo stesso Togliatti approfondirà sempre più la sua dissidenza, per quanto interna, all’impostazione stalinista dominante nella Internazionale.
La mancata pubblicazione al tempo delle critiche non può essere considerata espressione della doppiezza di Togliatti, in quanto sarà fatta propria dalla stessa direzione del PCd’I per conto della quale Gramsci aveva avanzato i suoi rilievi, sui quali il rivoluzionario non farà nessun passo indietro. Anche in questo caso isolato di dissonanza fra i due comunisti si tratta di una differenza tattica, che non mette in questione la consonanza strategica. Tanto che lo stesso Togliatti non solo si spese da subito dopo la morte di Gramsci per rendere pubblica la riflessione svolta in carcere dal compagno e amico ma, non appena lo stalinismo perderà la propria ferrea egemonia sull’Internazionale, sarà lo stesso “Migliore” a far pienamente conoscere il confronto-scontro avuto con il pensatore sardo.
La conversione al liberalismo e l’abiura del comunismo non hanno nessuna base documentata, mentre tutte le testimonianze mostrano che Gramsci, una volta finita di scontare la pena, pensava di emigrare in Unione sovietica e che, fino all’ultimo, si interessava alle ricadute delle politiche dell’Internazionale sul Pc italiano.
Il Pci si è caratterizzato in uno sforzo, più unico che raro, nel documentare il proprio dibattito interno, che sempre, anche negli anni del PCd’I e della clandestinità sono stati sempre aperti, franchi e persino duri, senza che questo provocasse rotture insanabili.
Guido Liguori denuncia il fiorire di interpretazioni prive di reale fondamento, come quelle che sostengono un Gramsci liberale e vere e proprie leggende, come quella del quaderno scomparso o della conversione religiosa di Gramsci. Si tratta di tesi che non hanno successo nella comunità scientifica, ma hanno grande risalto a opera dell’ideologia dominante.
Il contrasto fra Gramsci e Togliatti si sviluppa nel 1926, quando il secondo è a Mosca. D’altra parte è stato Togliatti a far conoscere gli scritti del carcere e, in seguito, ha assunto posizioni politiche che hanno contribuito a dare un’impronta gramsciana al Pci.
L’arresto di Gramsci è il prodotto della sottovalutazione della svolta totalitaria del fascismo e della decisione del segretario del PCd’I di non abbandonare il paese. Per il resto vi sono una serie di congetture, che non avendo basi rischiano di scadere nel complottismo. Anche l’accusa alle sorelle Schucht di essere agenti incaricate di controllare Gramsci sono delle del tutto fantasiose e interessate congetture.
Non ci sono elementi per suffragare la congettura di un quaderno scomparso. Anche nel remoto caso che sia esistito, non conterrebbe una abiura rispetto ai 33 quaderni precedenti, anche perché negli ultimi due anni di vita dell’autore, il Comintern aveva abbandonato le tesi settarie, criticare da Gramsci, e aveva sviluppato una concezione più vicina a quella del rivoluzionario sardo con la politica dei Fronti popolari. Peraltro la tesi del quaderno scomparso ne sostiene l’eliminazione quando Togliatti sarebbe tornato in Italia. Non si capisce, quindi, perché un quaderno così scottante non sia stato eliminato quando Togliatti era in Urss. Peraltro non si capisce perché, se si trattava di far sparire i dissidi interni, non siano state distrutte le lettere in cui Gramsci critica e avanza addirittura sospetti su dirigenti del suo partito.
Sraffa, simpatizzante comunista, amico e sostenitore della linea di Gramsci, in accordo con Togliatti tiene i contatti con il prigioniero. La congettura che sia un agente del Comintern è completamente campata in aria.
Bisognerebbe indagare le peculiarità del comunismo critico e originale di Gramsci piuttosto che forzarne la lettura verso l’ideologia oggi dominante liberaldemocratica, come fanno gli ex comunisti italiani finiti nel Pd. Per quanto soprattutto le Lettere e in parte anche i Quaderni si prestino a una lettura metaforica, questo strumento è stato incredibilmente abusato, per mettere nella bocca di Gramsci concezioni a lui totalmente estranee. Forzature assurde sono le letture per cui quando Gramsci parlerebbe della moglie si riferirebbe alla sua presunta abiura del comunismo.
Al di là del fatto che i primi editori delle opere del carcere non avevano a disposizione tutte le lettere e che dovettero tagliare parti troppo private, vi sono state omissioni e tagli. Il Pci voleva costruire una sua teoria e storia indipendente da quella stalinista dominante e per questo ha forzato l’interpretazione nel senso di una continuità fra Gramsci e Togliatti, in seguito smentita anche da quest’ultimo. Questa limitata attitudine censoria era, all’epoca, in qualche modo necessaria, visto l’imperante stalinismo, da cui il Pci, per quanto intendesse prenderne le distanze, non poteva completamente prescindere.
Completamente arbitraria e faziosa è la recente contrapposizione, in termini manicheistici, fra il riformismo di Turati e il presunto massimalismo di Gramsci.
Il concetto di “storia sacra” è utilizzato, in modo ideologico, da chi vuole a priori porre fuori gioco le interpretazioni marxiste e/o comuniste non eretiche di Gramsci. Quando tale accusa viene rivolta a studiosi del calibro di Spriano e Gerratana diviene pregiudiziale e, persino, ridicola. Senza contare che tale infamante accusa è rivolta esclusivamente a studiosi deceduti.
Liguori chiede, infine, una moratoria della storia indiziaria su Gramsci in quanto, per quanto in determinati casi potrebbe essere lecita, se ne è ampiamente abusato. Da qui la necessità di tornare a studiare Gramsci per quanto ha scritto e fatto, su basi verificabili nelle opere e nei documenti a disposizione.
Note:
[1] La prima domanda riguarda quali sono le tesi prive di fondamento che gravano sul dibattito pubblico su Gramsci e se dietro di esse vi sia un intento di politica culturale con delle finalità. La seconda domanda verte sul contrasto Gramsci-Togliatti del 1926 e ci si chiede se abbia portato a una opposizione radicale o se è da interpretare all’interno di un rapporto più complesso fra i due. Si domanda inoltre se il contrasto sia interno al PCd’I o abbia dei risvolti internazionali, influenzando gli sviluppi successivi del comunismo, italiano in particolare, e la stessa diffusione dell’opera di Gramsci. La terza questione riguarda se l’arresto di Gramsci nel 1926 poteva essere evitato e se ne fu corresponsabile qualche settore del partito, o dipendesse da dilettantesca disorganizzazione. Si chiedi inoltre se, in seguito, ci siano stati dirigenti del PCd’I ostili a Gramsci. La quarta questione riguarda il ruolo della famiglia russa della moglie di Gramsci e se essa possa essere in qualche modo ricondotta al regime staliniano. Nel quinto quesito si domanda se sia plausibile l’ipotesi di un quaderno occultato, che potrebbe contenere una abiura gramsciana del comunismo. Nel sesto si domanda se Sraffa agisse per conto di Togliatti e se abbia contribuito a occultare il presunto quaderno scomparso. Ha basi teoriche o fattuali la presunta conversione di Gramsci al liberalismo? La lettura in chiave di metafora politica che si sta affermando delle Lettere dal carcere è legittima? Si domanda poi quanto abbiano influenzato la ricezione di Gramsci i tagli e le omissioni della prima edizione delle opere del carcere.
La contrapposizione fra Gramsci e Turati, riproposta di recente, ha valore dal punto di vista storico? L’interpretazione di Gramsci e del Pci quanto è condizionata dalla “storia sacra” e quanto e in che senso quest’ultima può considerarsi legittima? A che condizioni, infine, una storia “indiziaria” può essere considerata valida?