Proseguiamo nella recensione analitica del libro: Inchiesta su Gramsci, a cura di Angelo d’Orsi, Accademia University Press, Torino 2014. La prima parte è uscita nel numero scorso di questo settimanale. La presente recensione si può leggere anche autonomamente, in quanto si riportano in maniera sintetica gli aspetti più salienti delle risposte di altri significativi studiosi di Gramsci.
Emiliano Alessandroni ritiene che l’interpretazione di Gramsci abbia pesantemente risentito di due grandi eventi storici, in primis il rapporto Kruscev e, in secondo luogo, l’affermarsi del postmodernismo. Ciò ha portato gli intellettuali a cercare di preservare Gramsci non solo dal suo partito, ma persino dalla sua ideologia, facendone un eroe solitario che si è opposto al potere. Inoltre. la necessità di salvarlo dalle rovine prodotte dal rapporto Kruscev ha portato a perdere di vista che, in primo luogo Gramsci, è sempre stato critico dal punto di vista politico del trotzkismo.
Per quanto riguarda lo scontro con Togliatti nel 1926 secondo Alessandroni esso dipendeva dal fatto che Gramsci in Italia non si rendeva conto di quanto la situazione fosse trascesa e che, di conseguenza, la ricomposizione dell’unità del partito e del centralismo democratico non sarebbe stata possibile. Se Togliatti avesse inoltrato la lettera di Gramsci il PCd’I, investito dalla durissima repressione del fascismo, sarebbe stato travolto.
Ciò non toglie che, anche in seguito, Gramsci abbia mantenuto il proprio sostegno alla linea maggioritaria del partito più realista e abbia continuato a prendere le distanze politicamente dalle posizioni della sinistra capeggiate da Trotskij.
Secondo Derek Boothman le leggende, che mirano a distruggere quanto di buono resta del comunismo, fanno di Gramsci un socialdemocratico abbandonato dal Comintern.
Boothman ritiene che nel Pc italiano ci sia sempre stato il centralismo democratico e che senza Togliatti l’eredità di Gramsci sarebbe andata perduta.
I dirigenti del Partito non hanno mai tramato contro Gramsci, è il suo arresto era inevitabile dal momento che riteneva che il capitano dovesse abbandonare per ultimo la nave. Inoltre la presenza di qualche infiltrato non ha inciso sulla linea del Partito e sui suoi rapporti con Gramsci.
Anche il fatto che la famiglia di Gramsci o Sraffa agisse come agente dell’Urss contro di lui non ha fondamento. Secondo Boothman potrebbe esistere un quaderno fantasma, ma in ogni caso non conterrebbe una abiura di Gramsci. Non c’è nessun fondamento per affermare che Gramsci sia divenuto socialdemocratico e tanto meno liberaldemocratico.
Inessenziali sarebbero le manomissioni degli scritti del carcere. Occorre dissacrare tutto e gli indizi andrebbero sempre riscontrati.
Secondo Alessandro Carlucci, esperto in materia, la filosofia del linguaggio di Gramsci non sarebbe in contrasto con il suo marxismo, anche perché non si capirebbe altrimenti perché gli interessi in materia gramsciani non solo non furono messi in sordina, ma posti in rilievo da Togliatti. Del resto nemmeno sul piano degli interessi linguistici di Gramsci non c’è nulla che consenta di interpretarli in opposizione al marxismo. Gli interessi linguistici hanno contribuito a sviluppare una concezione innovativa ed eterodossa del marxismo, a partire dall’importanza riconosciuta all’egemonia.
Dal momento che il quaderno fantasma non è mai esistito o è andato per sempre perduto, nulla si può asserire con certezza sul suo contenuto.
Ciò non toglie che, in generale, ipotesi formulate in modo rigoroso possono favorire ulteriori approfondimenti degli studi. Peraltro in diversi casi è necessario formulare delle ipotesi per cercare di ricostruire la storia. Le concezioni revisioniste su Gramsci, se portate avanti in modo serio, non vanno tanto smontate dal punto di vista metodologico, quanto come ha fatto Carlucci nel merito.
Francesca Chiarotto ritiene che il dominio odierno di una ideologia anti o a-marxista favorisca il sorgere di leggende sempre più revisioniste e rovesciste su Gramsci e il Pc.
I normali contrasti tra Gramsci in Italia e Togliatti in Urss nel 1926 sono stati sfruttati in senso revisionista, anche perché per motivi oggettivi non poterono essere sanati.
Non solo non c’è nulla che testimoni una abiura consegnata da Gramsci a un quaderno fantasma, ma anche tutte le serie ricerche fatte in proposito attestano che la sua stessa esistenza è largamente improbabile.
Per quanto Gramsci in carcere dinanzi alla sconfitta abbia rielaborato criticamente il marxismo, non ci sono tracce di un suo approdo liberale. Questa tesi si basa su equivoci e ipotesi interpretative troppo disinvolte.
Pur con qualche limite, per altro esplicito, della prima edizione delle Lettere l’attitudine del partito è stata certamente più quella di far conoscere il pensiero gramsciano, piuttosto che censurarlo in ossequio allo stalinismo.
Se l’edizione tematica fu dettata dalla necessità di rendere fruibile l’opera di Gramsci, fu lo stesso partito a progettare e realizzare l’edizione critica, anche per sfatare le accuse di censura o manipolazioni.
Lo studio comparativo di Gramsci e Turati ha senso dal punto di vista storico, non dal punto di vista politico e ancora meno ha valore il tentativo di attualizzarlo.
Antonio di Meo ritiene che la principale leggenda sia l’attribuire la persecuzione di Gramsci ai comunisti, piuttosto che ai fascisti.
Lo scontro Gramsci Togliatti riguardava una critica dell’esecutivo del PCd’I al Pcr più nel metodo che nel merito. Mentre Gramsci sembra intuire la tragedia della degenerazione dei rapporti interni al gruppo dirigente sovietico, Togliatti ne sarebbe stato in qualche modo complice.
La tesi del quaderno fantasma è molto improbabile e ancora più remota è la possibilità che possa ricomparire. Del tutto fantasiosa l’abiura e la conversione gramsciana. Lo scontro con Grieco e Togliatti riguarda il fatto che mentre i primi vi si rapportavano come al proprio dirigente preso prigioniero, Gramsci vedeva la sua vicenda dal punto di vista del prigioniero.
Francamente assurda l’accusa a Sraffa, membro dell’esecutivo del Comintern e responsabile dei rapporti fra Gramsci e il Partito di essere una spia.
Naturalmente un pensatore rivoluzionario doveva autocensurarsi ed esprimersi anche in modo criptico. Ma questo non può portare all’assurdo che ogni scritto sia da intendere in senso metaforico e tantomeno che è lecito in questo modo far esprimere a Gramsci le convinzioni o le impostazioni ideologiche dell’interprete.
Particolarmente assurdo è imputare a Togliatti, colui che si è più speso per far conoscere e diffondere il pensiero di Gramsci, di essere stato il maggior ostacolo alla comprensione di quest’ultimo. Altrettanto assurda è la critica ai dirigenti del Pci di non aver diffuso immediatamente tutti i materiali a loro disposizione nella prima edizione delle Lettere, senza prendere delle indispensabili precauzioni nei confronti dei possibili danni a persone in gran parte viventi, in piena guerra fredda.
La storia sacra rispetto a Gramsci e anche più in generale non è stata mai alimentata dal Pci. La storia indiziaria necessita che ci siano reali indizi significativi e che siano poi vagliati con rigoroso metodo critico.
Secondo Ruggero Giacomini il pregiudizio anticomunista ha portato a un fiorire di leggende in particolare sulla biografia di Gramsci. Tali letture tutte ideologiche e ascientifiche sono addirittura preponderanti rispetto agli studi rigorosi. Del resto l’attacco del fascismo a Gramsci e al Pci ha conosciuto continue riprese, soprattutto negli ultimi anni. L’opera di Gramsci è più considerata dal punto di vista politico-ideologico, per esorcizzare una possibile ripresa della rivoluzione in occidente, piuttosto che considerata in modo rigoroso e scientifico.
Da parte di Gramsci non vi è nessun riferimento al contrasto epistolare con Togliatti, che non è stato oggetto di dibattito né nel PCd’I né nell’Internazionale. Tale scambio è stato pubblicato dopo la morte di Gramsci per attaccare Togliatti. Tali attacchi non tengono conto che la direzione del partito comunista è collegiale e che confronti anche aspri tra esponenti del gruppo dirigente non sono certo una eccezione.
L’arresto di Gramsci dipese dal fatto che nessuno immaginava che la corona avrebbe acconsentito al colpo di Stato attuato da Mussolini nel novembre del 1926, consentendogli di arrestare gli oppositori parlamentari. Così i parlamentari del PCd’I come Gramsci rimasero fino all’ultimo a difendere la tribuna parlamentare dalle tendenze totalitarie del fascismo.
Sia la moglie che la cognata di Gramsci avevano lavorato per lo Stato sovietico, il che non comporta che fossero delle spie tanto più che furono entrambe licenziate, la prima per motivi di salute, la seconda per assenteismo, avendo speso troppo energie a sostegno del prigioniero.
Le congetture su un quaderno fantasma sono pretestuose e non hanno basi reali, come l’accusa a Sraffa di essere un agente segreto del Comintern e la presunta conversione di Gramsci.
Nella prima edizione si trattava di lettere esplicitamente scelte e in ogni caso i passi omessi erano debitamente segnalati. Mentre l’edizione tematica dei Quaderni seguiva un’impostazione suggerita dallo stesso Gramsci, che fino a quando ha potuto ha riordinato le sue note sparse in quaderni tematici.
Il confronto fra Gramsci e Turati avrebbe senso e interesse se impostato in termini scientifici e non biecamente ideologici, come è avvenuto anche recentemente.
La storia non può fondarsi su indizi, che possono solo essere degli spunti per ricerche ulteriori e non possono essere spacciati per delle prove.