La proposta del volume Inchiesta su Gramsci è sorta nella redazione della rivista «Historia magistra» ed è stata trasformata in progetto da Angelo D’Orsi con la collaborazione di Francesca Chiarotto. È stato redatto un questionario, a cui sono stati invitati a rispondere i più significativi studiosi italiani di Gramsci. La prima domanda riguarda quali sono le tesi prive di fondamento che gravano sul dibattito pubblico su Gramsci e se dietro di esse vi sia un intento di politica culturale con delle finalità. La seconda domanda verte sul contrasto Gramsci-Togliatti del 1926 e ci si chiede se abbia portato a una opposizione radicale o se è da interpretare all’interno di un rapporto più complesso fra i due. Si domanda inoltre se il contrasto sia interno al PCd’I o abbia dei risvolti internazionali, influenzando gli sviluppi successivi del comunismo, italiano in particolare, e la stessa diffusione dell’opera di Gramsci. La terza questione riguarda se l’arresto di Gramsci nel 1926 poteva essere evitato e se ne fu corresponsabile qualche settore del partito, o dipendesse da dilettantesca disorganizzazione. Si chiedi inoltre se, in seguito, ci siano stati dirigenti del PCd’I ostili a Gramsci. La quarta questione riguarda il ruolo della famiglia russa della moglie di Gramsci e se essa possa essere in qualche modo ricondotta al regime staliniano. Nel quinto quesito si domanda se sia plausibile l’ipotesi di un quaderno occultato, che potrebbe contenere una abiura gramsciana del comunismo. Nel sesto si domanda se Sraffa agisse per conto di Togliatti e se abbia contribuito a occultare il presunto quaderno scomparso. Ha basi teoriche o fattuali la presunta conversione di Gramsci al liberalismo? La lettura in chiave di metafora politica che si sta affermando delle Lettere dal carcere è legittima? Si domanda poi quanto abbiano influenzato sulla ricezione di Gramsci i tagli e le omissioni della prima edizione delle opere del carcere. La contrapposizione Gramsci Turati riproposta di recente ha valore dal punto di vista storico? L’interpretazione di Gramsci e del Pci quanto è condizionata dalla “storia sacra” e in che senso quest’ultima può considerarsi legittima? A che condizioni una storia “indiziaria” può essere considerata valida?
Nell’introdurre il volume D’Orsi chiarisce: “l’intento mio personale, e di quanti hanno raccolto l’invito, è quindi quello di fare un po’ di luce su problemi reali delle ricostruzioni biografiche su Antonio Gramsci, sulle interpretazioni del suo pensiero, senza posizioni pregiudiziali, ma anche di sgomberare il campo dalle troppe inutili erbacce che inceppano la ricerca storica, la quale è volta incessantemente ad aggiungere, correggere, «revisionare»: e la revisione, vale la pena di ribadirlo, è anima stessa della storiografia, suo inevitabile e necessario strumento di lavoro, che si differenzia e anzi si contrappone al revisionismo, che non è invece una pratica storiografica, bensì ideologica” [1]. La polemica contro Gramsci, considerato nume tutelare della cultura marxista e, più in generale, di sinistra, mira da un lato a condannarlo come tipico esponente del comunismo e, quindi, di una ideologia e una pratica totalitaria, dall’altra parte si punta a farne un revisionista, sempre più liberale. In quest’ultimo caso, però, si devono supporre delle manomissioni o sottrazioni di scritti di Gramsci a opera dei suoi stessi compagni di partito. A parere di D’Orsi la contrapposizione tra Gramsci e Togliatti e, più in generale, con la direzione del suo partito dipende dall’attitudine antimachiavellica e critica del primo di contro al realismo del secondo. Dunque, secondo D’Orsi, “sia Togliatti, sia Gramsci adattarono il loro comunismo alle circostanze storiche, solo che il secondo fece un poderoso e innovativo sforzo teorico di allargamento e arricchimento del quadro marxistico, mentre il primo si limitò, come era del resto ovvio, alle problematiche della strategia e della tattica politica” (XVII).
Dal punto di vista metodologico, secondo D’Orsi “quando il giudizio storico affronta temi di grande rilievo la cautela diventa necessaria, tanto più ove tali giudizi si fondino su ricostruzioni nelle quali la storia fattuale arretra davanti a quella congetturale. Il problema è anche la superfetazione mediatica: il fatto che ipotesi seriamente e in assoluta buona fede messe in campo dagli studiosi, finite nelle mani di rapaci professionisti del gossip e dello scoop, si sono trasformate quasi sempre in «casi» buoni soltanto a riempire pagine di carta stampata o di programmi televisivi” (XIX). Ancora a tal proposito D’Orsi aggiunge: “è lecita la lettura metaforica, e in certi casi indispensabile, purché sia condotta con misura, in particolare, relativamente soltanto ad alcuni dei testi del detenuto, e a specifici loro passaggi. Altrimenti si corre il rischio di gravi fraintendimenti” (XXVII).
Di contro alle tesi che sostengono che Gramsci avrebbe finito col rompere con il comunismo, D’Orsi scrive: “Gramsci non abbandona il perimetro del comunismo internazionale, anche se per cultura, profondamente italiana, per vocazione fortemente pedagogica, per indole, intrisa di eticità, e per una maturazione politica, egli in qualche modo anche all’interno di quel perimetro si differenzia. Come sul piano teorico egli finisce per allargare le coordinate del marxismo, superandolo ma mai voltandogli le spalle” (XXIV).
Agosti e Albetaro ritengono che le leggende su Gramsci mirano a dipingerlo o come un pensatore politico totalitario o come un pentito che avrebbe abiurato il comunismo. Tali leggende mirano a demonizzare la storia del comunismo e sono funzionali a diversi ex comunisti per giustificare le loro abiure in senso liberale.
Secondo i due storici Togliatti aveva ragione rispetto a Gramsci nel ritenere per il momento chiusa l’opzione rivoluzionaria, anche se Gramsci aveva ragione nel mettere in guardia la maggioranza del PC russo dal porre fine al centralismo democratico, con il proprio atteggiamento intollerante verso la minoranza. D’altra parte il mancato inoltro della lettera di Gramsci è considerato necessario in quel drammatico frangente storico, anche perché non avrebbe potuto frenare la deriva in atto. Purtroppo il dialogo fra i due si interruppe subito dopo per l’arresto di Gramsci. Togliatti si richiamò in seguito alla lezione di Gramsci costantemente, a eccezione del difficile periodo in cui si era affermata la concezione estremista di sinistra del socialfascismo.
Le tesi sulle responsabilità soggettive del Partito nell’arresto di Gramsci sono dei meri “pettegolezzi”, anche se non sono mancate delle corresponsabilità oggettive nel non comprendere per tempo la gravità e la radicalità della repressione messa in atto dai fascisti per mettere fuori gioco i comunisti.
Quasi certamente leggendaria è la tesi di un quaderno scomparso, che si fonda esclusivamente sulle incertezze e i ripensamenti della cognata di Gramsci nel numerare i quaderni. Mentre pura fantasia è la tesi che il presunto quaderno conterrebbe una abiura del comunismo.
La tesi che Sraffa agisca per conto del Comintern è priva di fondamento; egli svolse il suo incarico di tramite fra Gramsci e il Partito per il saldo rapporto di reciproca fiducia che aveva con il prigioniero e Togliatti.
Non esiste nessun passaggio degli scritti gramsciani del carcere che attesti, nemmeno in modo implicito, una presa di distanza dal comunismo per un approdo liberale. Le tesi addotte da chi sostiene queste leggende pretendono di fondarsi su singoli passaggi e isolati in cui Gramsci, evidentemente, riassume le posizioni di un liberale come Croce.
Altrettanto assurdo è il tentativo di interpretare in chiave politico-metaforica le lettere private di Gramsci sulla base della tesi precostituita che Gramsci intenderebbe abiurare il comunismo. Risibile così è il tentativo che è stato fatto, ad esempio, di interpretare i passi in cui Gramsci parla della moglie come una metafora dell’Unione sovietica.
I due storici ritengono che nelle prime pubblicazioni delle Lettere siano state omesse le missive che mostravano il dissidio fra Gramsci e alcune prese di posizione del Partito, mentre anche la prima pubblicazione dei Quaderni è priva di questa forma di censura. Peraltro si fa notare che l’unica alternativa a far pubblicare dal Pci le opere del carcere, sarebbe stato ricorrere al Comintern, il che avrebbe comportato delle censure decisamente più significative.
Per quanto la storia sacra ha perso del tutto la funzione positiva che aveva potuto svolgere nelle prime fasi di sviluppo del socialismo, occorre dire che riguardo all’interpretazione di Gramsci già a partire dalla metà degli anni sessanta questa lettura non scientifica è stata definitivamente abbandonata, mentre continuano a fiorire, anche ai nostri giorni, le demonologie.
La storia indiziaria ha senso in quanto spesso lo storico inizia una ricerca sulla base di un indizio, ma poi per raccontare la storia è indispensabile suffragare le proprie tesi su documenti e non su mere congetture.
Alessandroni parte dalla constatazione che i grandi intellettuali sono quelli che, come Machiavelli e Marx, vengono utilizzati dalle più diverse ideologie, in quanto ciò che sostengono ha una validità oggettiva. Tale discorso vale in particolare per Gramsci utilizzato da tutte le forze politiche, il che però comporta il rischio di una interpretazione in senso postmoderno del suo pensiero, che rischia di apparire adattabile alla bisogna.
Secondo Alessandroni la ricezione di Gramsci è fortemente condizionata dall’ideologia dominante postmoderna che vede nell’intellettuale il critico anarcoide del potere e non il partigiano. Questo porta a perdere di vista la contraddizione oggettiva, che rappresenta il concetto centrale del pensiero di Gramsci.
Note:
[1] D’Orsi, Angelo, a cura di, Inchiesta su Gramsci, Accademia university press, Torino 2014. D’ora in avanti indicheremo dopo le citazioni da questo libro, direttamente nel testo, fra parentesi tonde, il numero della pagina da cui sono tratte.