Il corposo volume Filosofia dell’Ottocento di Vladimiro Giacché – il primo di una serie volta a esporre la storia del pensiero dall’inizio del XIX secolo ai nostri giorni [1] – riesce pienamente nella difficilissima sfida di realizzare un’esposizione decisamente rigorosa di una fase essenziale della storia della filosofia, alla base del dibattito filosofico contemporaneo, nel modo più chiaro e accessibile a tutti, evitando banalizzazioni, forzate attualizzazioni e un gergo specialistico accessibile ai soli “addetti ai lavori”. Una così preziosa e rara qualità è necessariamente la prova che l’autore ha realmente compreso e pienamente fatti propri i concetti e i principali aspetti delle più significative tendenze filosofiche indispensabili a una reale comprensione della filosofia contemporanea. Anche perché, come a ragione sottolineato da una preziosa osservazione di G.W.F. Hegel – che giustamente spicca nella quarta di copertina del volume – “il patrimonio di razionalità autocosciente che oggi ci appartiene non si è sviluppato soltanto dal terreno del presente. Esso è essenzialmente un’eredità. La nostra attuale filosofia è il risultato del lavoro di tutti i secoli” e, in particolare, dei due più recenti, oggetto principale dello studio di Giacché.
D’altra parte la difficilissima impresa di tenere insieme rigore e chiarezza espositiva dipende anche dalle caratteristiche straordinarie dell’autore che riesce a coniugare le conoscenze specialistiche della disciplina scientifico-filosofica oggetto di questo studio, con una capacità di spaziare nella sua ricca produzione teorica, sempre con la massima competenza, in ambiti del sapere e della ricerca scientifica estremamente variegati: dagli studi economici, alla scienza politica, dalle opere storiche, alla critica dell’ideologia dominante, dagli studi di geopolitica, alle opere militanti, sempre realizzate con un ammirevole classe e spirito critico.
Non a caso, del resto, in questa sua preziosa storia della filosofia del diciannovesimo secolo l’autore non si è occupato esclusivamente di esporre criticamente la visione del mondo dei principali filosofi, ma anche di grandi scienziati, letterati, economisti e poeti.
Dalla breve ma essenziale introduzione dell’autore, ci si rende conto di quanto la possibilità stessa di continuare a insegnare filosofia e addirittura storia nelle scuole del nostro paese sia una conquista estremamente preziosa da difendere, in quanto recentissimamente persino in Spagna lo studio della filosofia è divenuto opzionale e si pretende di insegnare persino la storia senza seguire più un ordine cronologico.
Da qui l’importanza di partire da una dimostrazione, in primo luogo, dell’importanza dello studio della filosofia, in secondo luogo della necessità di mantenere il metodo divenuto classico nel nostro paese di utilizzare il metodo storico nell’esposizione della filosofia. Purtroppo questa sostanziale identificazione di matrice hegeliana fra storia e storia della filosofia, che da noi è da almeno un secolo un dato di fatto, è messa sempre più in questione dell’ideologia dominante e in particolare dal postmodernismo.
Naturalmente anche questa tendenza ideologica è figlia del proprio tempo, cioè è il prodotto della sconfitta storica subita a livello internazionale dalle forze progressiste e rivoluzionarie. Non a caso, come osserva Hobsbawm, a ragione citato da Giacché, “la maggior parte dei giovani” a partire proprio dalla fine del secolo breve, “è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il tempo storico del passato in cui essi vivono” [2]. Del resto non a caso tanto Marx quanto Engels sostenevano che l’unica vera scienza, a cui tutte le altre sono riconducibili, è la storia. Proprio per questo l’irrazionalismo, oggi ideologicamente imperante, non può che avere come obiettivo la fine dell’insegnamento, prima ancora che della filosofia, della stessa storia. Come obiettivo intermedio, le forze della reazione mirano alla separazione fra la storia e la filosofia, con il risultato di rendere entrambe di fatto inintelligibili e, dunque, sostanzialmente inutili.
Tanto più che conoscere il passato – e per questo c’è bisogno oltre che della storia anche della filosofia o, meglio, della storia della filosofia – è essenziale per potersi orientare in modo autonomo e critico nel presente. Da qui l’importanza e la stringente attualità di un’opera come questa volta alla conoscenza critica della filosofia dell’ottocento, necessaria per avere una effettiva “consapevolezza circa l’orizzonte concettuale del presente e i suoi presupposti”, rendendo al contempo disponibile “alla nostra riflessione orizzonti teorici diversi” [3], indispensabili in un’epoca in cui appare sempre più incontrastato il pensiero unico dominante, prodotto di quella “fabbrica del falso” i cui lineamenti fondamentali sono stati brillantemente scoperchiati proprio da Giacché, in un suo decisivo libro [4].
Perciò lo studio di questa storia della filosofia (ma, anche, della scienza e delle dottrine politiche) ci renderà finalmente consapevoli, conoscendone la storia, di molti dei modelli con cui, in modo inconsapevole, interpretavamo il mondo.
L’opera mira, inoltre, a mettere in rapporto diretto il lettore con i testi degli autori più significativi che verranno affrontati e, perciò, ogni capitolo è corredato di una significativa parte antologica in cui, oltre a pagine delle principali opere affrontate, si potranno leggere anche alcuni dei brani più significativi della letteratura critica.
Dalla lettura del volume non si potrà che prendere atto dell’innegabile rilevanza delle teorie che sono state discusse, non solo dal punto di vista storico, ma anche per l’altrettanto innegabile capacità che hanno avuto di segnare in profondità il pensiero successivo. Da questo punto di vista di indubbia rilevanza è la prima parte dell’opera volta a fare i conti con una delle epoche decisive della storia del pensiero filosofico, forse la più rilevante in assoluto, cioè con la filosofia classica tedesca che, da Kant a Hegel, costituisce il fondamento e il punto di approdo da cui si svilupperà il marxismo, che sarà al centro del prossimo volume dell’autore in via di pubblicazione. Non a caso buona parte della filosofia successiva, di cui dà ampio conto il presente volume, costituisce un tentativo di progressiva distruzione di quella principale corrente filosofica moderna razionale, aperta da Cartesio e portata al suo più ampio sviluppo da Hegel, che costituisce l’apice della riflessione di quella classe borghese che, ancora in quell’epoca, costituiva la principale forza politica e sociale rivoluzionaria.
Una volta conquistato stabilmente il potere politico, le successive visioni del mondo elaborate dalla borghesia assumeranno una tendenza sempre più apertamente conservatrice se non reazionaria. Non a caso alla progressiva critica da prospettive irrazionaliste o scientiste della filosofia dialettica hegeliana, faranno da pendant le critiche, che si svilupperanno soprattutto in Francia, alla più significativa rivoluzione politica borghese: la Rivoluzione francese. D’altra parte, sviluppando e radicalizzando la rivoluzione francese e/o la filosofia classica tedesca, culminata con la dialettica hegeliana, si affermeranno le prime concezione socialiste premarxiste ancora, fondamentalmente, utopiste non essendo maturate le condizioni per un reale superamento dialettico della società capitalistica.
L’opera affronta anche il primo sviluppo della filosofia italiana moderna, ancora in larga parte debitrice delle principali correnti del pensiero sviluppate nei paesi europei in questo periodo storico maggiormente avanzati. Così, accanto ai pensatori illuministi e spiritualisti, troviamo l’importante presenza di intellettuali che si richiamano proprio a Hegel per gettare le basi culturali dell’unificazione nazionale. In questo periodo storico, in cui il nostro paese ha in generale una posizione ancora marginale rispetto ai paesi in cui si è già affermato il modo capitalistico di produzione, spicca un autore il cui rilievo filosofico è stato riscoperto solo diversi anni dopo la sua morte: Giacomo Leopardi, anche perché diverse delle sue riflessioni erano troppo avanzate rispetto al clima culturale del suo paese.
Il volume, nella sua parte conclusiva, si occupa della principale ideologia della borghesia una volta divenuta oltre che classe economicamente dominante, anche politicamente dirigente: il positivismo. Una ideologia non a caso non solo contrapposta alla filosofia classica tedesca, ma anche fondamentalmente già indirizzata a depotenziare l’importanza della stessa filosofia per la comprensione del mondo e il suo ulteriore sviluppo. Del resto il positivismo considera la libertà dell’individuo un residuo metafisico e ideologico da eliminare e, perciò, intende sostituire la filosofia con le scienze naturali e matematiche in cui non vi è spazio per la libertà. Inoltre il positivismo considera la stessa democrazia un residuo metafisico da abbandonare, per far spazio a un governo tecnico che dovrebbe assicurare la scomparsa della stessa lotta di classe. Tutti motivi che spiegano perché secondo questa cultura ideologica la scienza della storia e la filosofia debbano cedere il passo alle scienze “esatte”. Perciò, per il positivismo è il metodo delle scienze naturali, di fatto deterministico, a dover presiedere all’interpretazione della società e alle sue necessarie riforme, al posto del metodo storico-filosofico.
Nell’opera, poi, si dà il giusto spazio all’importanza dell’evoluzionismo nella rivoluzione delle scienze della natura e agli influssi che ha avuto anche sulle scienze sociali e la stessa filosofia. Si pensi soltanto quanto sia importante il richiamo a Darwin tanto per Marx quanto per Engels. D’altra parte l’autore procede a una giusta e serrata critica delle concezioni improntate al darwinismo sociale e, più in generale, alle “cosmologie positivistiche” [5] che segnano un pericoloso ritorno a concezione “ingenue” del mondo “precritiche” e prekantiane.
Del resto sarà ben presto l’esplodere della crisi di sovrapproduzione e i tentativi di aggirarla con la guerra mondiale a discreditare le concezioni positivistiche secondo le quali il semplice sviluppo scientifico e tecnologico avrebbe presto superato tutte le problematiche sociali, politiche ed economiche. Anche in questo caso, quindi, come nota a ragione Giacché, l’ideologia del superamento della filosofia porta inevitabilmente con sé il regresso a metafisiche di carattere pseudoreligioso.
Dunque, proprio a partire dalle critiche alla ideologia dominante positivista si svilupperanno le principali concezioni filosofiche della seconda metà dell’ottocento che, come quella di Marx e di Nietzsche, avranno poi grande influenza sulla storia e la filosofia del ventesimo secolo. Tutto ciò a ulteriore dimostrazione di quanto possa essere utile conoscere i fondamenti storico filosofici del passato, per intendere realmente e criticamente le concezioni del mondo che sono alla base del mondo contemporaneo.
Note:
[1] Sebbene si tratti del primo volume di un’opera più complessa, è necessario sottolineare che il presente testo è non solo autonomo, ma in sé decisamente concluso. Il che non toglie la sua importanza per comprendere veramente i successivi sviluppi del pensiero filosofico che verranno esposti nei prossimi volumi.
[2] Giacché, Vladimiro, Filosofia dell’Ottocento. Dall’idealismi al positivismo, Diarkos, Reggio Emilia 2022, p. 7.
[3] Ivi, p. 8.
[4] Giacché, Vladimiro, La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica quotidiana. DeriveApprodi, Roma 2011. Un libro attualissimo che andrebbe al più presto ristampato, poiché attualmente non risulta disponibile.
[5] Ivi, p. 671.