Il viaggio a Edimburgo di una famiglia di emigrati siciliani in cerca di lavoro diventa l’occasione per riflettere sull’Unione europea e le sue politiche, le scelte di Syriza e la direzione futura che dovrebbe intraprendere la sinistra italiana...
di Monica Natali
La scorsa settimana ho ospitato a casa mia alcuni parenti venuti dalla Sicilia. Una giovane nonna, una mamma altrettanto giovane, Giorgia, il suo bambino di 6 anni e i loro due cani. Stavano per affrontare un viaggio per ricongiungersi con il resto della loro famiglia già emigrata in quel di Edimburgo. Lasciavano la loro terra – una terra a volte aspra, ma a volte così generosa, ricca di profumi colori e suoni – semplicemente per sfuggire dalla disoccupazione, semplicemente per sopravvivere, perché al massimo a Edimburgo possono aspirare a un lavoro da Mac Donalds, opportunità minima che nella loro terra gli è preclusa. Giorgia non è una militante comunista né tantomeno una impegnata politicamente. Mi raccontava, però, che aveva seguito con interesse la vicenda greca e mi spiegava come fosse alla fine rimasta delusa dal suo epilogo, di come avesse sperato fino all'ultimo che il governo greco resistesse ai ricatti e non accettasse le condizioni del terzo memorandum, se è possibile peggiore di quelli precedenti. Non le interessavano le sorti del popolo greco per puro spirito di solidarietà, coglieva invece in quell'epilogo la chiusura di uno spazio in cui agire per poter modificare anche la sua di condizione.
Perché Giorgia ha capito benissimo, in questo preciso momento storico e nella posizione geografica in cui vive, che la sua condizione deriva dalle modalità in cui questa Unione Europea e la sua moneta sono state costruite, una modalità che non può corrispondere ai valori di giustizia e progresso sociale. Una modalità che la condanna a scegliere tra essere disoccupata e andare così ad ingrossare le fila dell'esercito industriale di riserva funzionale al mantenimento del meccanismo, o a emigrare accontentandosi di un lavoretto. Sempre meglio della fame. La giovane mamma ha anche capito, però, che questa Europa è costruita in modo tale che a lei è stata tolta anche la possibilità di scegliere democraticamente il proprio futuro. La sovranità reale non è più in mano al parlamento che dovrebbe rappresentarla, ma in mano a istituzioni sovranazionali che impongono e controllano tramite il ricatto la perpetuazione delle politiche più efficaci per soggiogare definitivamente la forza lavoro al capitale.
Cosa c'era dunque dietro la delusione di Giorgia rispetto all'epilogo della vicenda greca? Indubbiamente lei ha apprezzato e ha riposto fiducia nello sforzo che Syriza ha intrapreso nel tentativo di resistere e provare a modificare a favore della popolazione le politiche imposte dalla UE-FMI-Commissione europea e ha apprezzato il fatto che Syriza con la sua strenua battaglia abbia disvelato anche ai suoi occhi il carattere oppressivo e antidemocratico dell’Unione europea. Ma l'epilogo della vicenda le ha fatto anche intuire che non basta la consapevolezza che le proprie proposte siano ragionevoli per negoziare e spuntarla con chi fa dell'austerità e dei meccanismi che ne conseguono lo strumento con il quale si perseguono i propri interessi, e cioè l'unico modo in questa fase di estrarre plusvalore. Perché il nemico dovrebbe concederti qualcosa che incrinerebbe il suo progetto, il suo scopo?
Chissà forse Giorgia avrà pensato che l'errore sia stato nel fatto di non aver colto fino in fondo che la difesa dei diritti del lavoro, la difesa dello stato sociale, la difesa di una reale democrazia, la redistribuzione della ricchezza mal si conciliano con l'architettura di questa Europa e della sua moneta. I due punti di vista sono forse inconciliabili e appare impossibile una mediazione tra loro. E potrebbe anche aver pensato che l'accettazione del nuovo memorandum da parte del governo di Syriza non lasci margini di manovra per politiche a favore della popolazione, sia perché i soldi che si ricevono in cambio andranno per la maggior parte al pagamento degli interessi sul debito, sia perché si è accettato di sottomettere a visto preventivo della commissione europea le decisioni di politica economica considerate suscettibili di influenzare gli obiettivi da esse fissati. Facile immaginare l'impossibilità di attuare politiche economiche che vadano in contrasto con tale progetto.
Giorgia, la giovane mamma, è partita con questi interrogativi che sono anche i nostri ma a noi, che abbiamo l'ambizione di cambiare lo stato di cose presenti, ci tocca un surplus di ragionamento e di studio. Si impara dalle proprie esperienze ma si può cogliere anche l'opportunità di imparare dalle esperienze altrui, che se dimostrano che una strada è impraticabile si ha il dovere con intelligenza e senza tabù di immaginare altre strade percorribili. Non ha senso riproporre alle tante Giorgia la stessa strategia che si è dimostrata fallimentare, non ci troverebbero credibili. Con il rischio, invece, che nella loro disperazione potrebbero trovare credibili proposte che mettono a tema l'uscita dall'euro, ma su posizioni di destra. Non mancano dalla parte della sinistra e dei comunisti delle elaborazioni corroborate da dati che aiutano a capire come la scelta dell'opzione di uscita dall'euro, ovviamente pianificata e studiata in maniera tale da poter proteggere maggiormente le classi lavoratrici [1], benché non sia ovviamente indolore, dia la possibilità di un miglioramento delle condizioni dei lavoratori, cosa che non è concessa in questa Unione europea. Dal momento che, come scrive Vladimiro Giacchè, "questa è l’Europa della deflazione salariale, unico e vero obiettivo perseguito con determinazione dalla tecnocrazia di Bruxelles e Berlino, in vista di un riequilibrio ‘verso il basso’ della compagine continentale: una strategia che ha come valore fondante – fissato nei Trattati Ue – la stabilità dei prezzi e che non è strutturalmente compatibile con il perseguimento – scritto a chiare lettere nella nostra carta costituzionale – del diritto e della tutela del lavoratori".
In questo senso penso che abbiamo un vantaggio rispetto a Syriza: loro hanno avuto il merito di dimostrare agli occhi dei lavoratori e delle lavoratrici europee che questa Unione è costruita contro tutti noi. Noi siamo in un qualche modo in una fase più favorevole, perché partiamo dal disvelamento che non ci sono possibilità di riformarla dall'interno, pena per chi ci prova di subire imposizioni ancora più dure e umilianti delle precedenti. Sta a noi ora avere il coraggio di rompere un tabù e di elaborare con intelligenza un’opzione di uscita da questa Unione europea e, conseguentemente, dagli strumenti di cui si è dotata. Non dobbiamo farci trovare impreparati, quando questo inevitabilmente succederà per le contraddizioni intrinseche in questa unione, a essere pronti a governare da sinistra l'uscita dall'euro. Perché dovremmo tutti sperare che Giorgia e la sua famiglia un giorno possano scegliere di cambiare paese per fare nuove esperienze di vita e non perché costretti da una vita al limite della povertà. Penso che Giorgia si aspetti una risposta anche da noi.
[1] Cfr., ad esempio, http://www.economiaepolitica.it/politicheeconomiche/europae-mondo/luscitadalleurononeuntemadaoracoli/ .