Se non si attuano politiche adeguate per la famiglia: Fertiliy day!

I dati concernenti la crescita demografica in Italia sono scoraggianti, ma non solo quelli


Se non si attuano politiche adeguate per la famiglia: Fertiliy day!

Una lezione di giardinaggio da svolgere con la supervisione del Ministero della Salute? No!

Il titolo della giornata: Fertility day, ci fa venire la rosolia, perché sembra che chi sta al governo pensi a una popolazione in stato di minorità perpetua, che non conosce un ambito della propria esistenza che è, prima di tutto, personale e privato. E, su questo, interviene in modo apparentemente sorridente (l’infantile immagine dello spermatozoo che trafigge il cuore ha un sapore antico…), ma velatamente impositivo.

Ci riporta agli anni Venti, quelli di Mussolini, che promosse un’autoritaria campagna nazionale obbligante, accusando i precedenti governi di aver posto in secondo piano il ruolo della famiglia, di aver tollerato l’omosessualità e di aver parzialmente elargito alla donna, da una parte, il diritto di autodeterminazionein materia di procreazione, e dall’altra la possibilità di dedicarsi ad attività extra familiari e prettamente ‘maschili’, come il lavoro fuori di casa.

Nel Discorso dell’Ascensione pronunciato il 26 maggio del 1927 in Parlamento, il duce contrappose alla figura della ‘sterile’ e ‘isterica donna crisi’, la serena e prolifica massaia rurale, su cui sarebbe ricaduta la principale responsabilità di produrre le nuove generazioni di giovani da mandare al fronte e nelle colonie.

Va bene, basta con la memoria, ma questa è la storia, sono le idee e i fatti su cui vogliamo riflettere. Le leggi misero le donne fuori dalla possibilità di inserirsi nel mondo nel lavoro e tutti i provvedimenti rappresentarono una trasformazione perché ponevano le basi per il dissolvimento del confine tra la sfera pubblica e quella privata e, dal punto di vista legislativo, la famiglia diveniva un’istituzione statale sociale e politica, la riproduzione, un dovere verso lo Stato e la mancata riproduzione, un reato. Il motto totalitario era ‘tutto nello Stato, niente contro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato’.

Insomma, dalla liberazione delle donne dalla schiavitù della specie di cui Simone De Beauvoir è stata una pioniera [1] negli anni del secondo dopoguerra, e il cammino fatto dalle donne per affermarsi come persone, ci troviamo nel 2016 ad affrontare un atto del governo che non solo ignora la storia del Femminismo, ma sembra ignorare anche la realtà della società attuale, nei suoi diversi aspetti, culturali, sociologici ed economici.

Nel 2015 sono state registrate circa 488.000 nascite, quindicimila in meno rispetto al 2014.

Si tratta del minimo storico mai raggiunto dallo Stato italiano. Per trovare dati simili bisogna tornare al 1917-18, quando una buona fetta di popolazione maschile in età fertile era al fronte, nelle trincee. (Il Fatto Quotidiano, 5 settembre)

Gli investimenti statali, la spesa pubblica per la famiglia, secondo uno studio curato dall’Ufficio studi di Confartigianato, è appena l’1% del Pil. Però... la popolazione dovrebbe farsi carico delle mille difficoltà, perché non può perdere il ferility day!

Vogliamo vedere cosa succede alle lavoratrici che vogliano avere figli?

Secondo l’Istat, 800 mila donne, con l’arrivo di un figlio, sono state costrette a lasciare il lavoro, perché licenziate o messe nelle condizioni di doversi dimettere. A subire più spesso questo trattamento, non sono le donne delle generazioni più anziane ma le più giovani, le residenti nel Mezzogiorno (10,5 per cento) e le donne con titoli di studio basso (10,4).

Una volta lasciato il lavoro solo il 40,7 ha poi ripreso l’attività.

Cosa succede in altri paesi europei?

In Europa per il lavoro, siamo davanti alle sole Grecia e Macedonia. In Italia lavora solo il 57% delle donne tra i venticinque e i cinquantaquattro anni e la media è di 1,3 figli per coppia.

La Francia è la patria delle mamme-lavoratrici in Europa. Oltralpe il 74% delle madri con figli sotto i 15 anni ha un lavoro e il Paese vanta il tasso di natalità più alto: 2,1 figli per donna ed è al quarto posto nella classifica della Cnn dei Paesi dove è più facile vivere da mamma e papà. In effetti, ci sono molte risposte nella società francese per le esigenze delle madri, dei padri e dei bambini.

In Islanda lavora l’85% delle madri con figli sotto i 15 anni, e in Danimarca l’84%, dove la spesa per le famiglie è l’8,6% e la legge prevede 6 mesi al 100 per cento dello stipendio, in Norvegia 10 mesi al 100 per cento oppure 12 all’80 e vi è una percentuale di 1,8 figli per donna. Dove esiste il congedo per padri, circa l’85 per cento dei neo-papà ne usufruisce.

In Svezia le donne che lavorano sono l’83% naturale che la media-figli salga a 1,9; se lavori e decidi di fare un figlio hai un sistema di welfare che ti permette di conciliare i tempi della famiglia con quelli della professione.

C’è anche un altro fenomeno che è aumentato in Italia nel mondo delle donne ed è quello della sovra-istruzione, laureate che risultano occupate ma che svolgono impieghi per cui la laurea non è affatto necessaria, pur di lavorare e di riprendere a lavorare dopo le maternità.

Per concludere

La questione della maternità e della paternità, del desiderio di maternità e paternità, del desidero di procreare, sono temi da trattare in modo molto più ampio e complesso, per cui promuovere politiche articolate, con la consapevolezza della realtà storica e dei cambiamenti in corso nella società attuale. Le famiglie arcobaleno, le possibilità di adozioni, anche per i single, le condizioni di accoglienza e di educazione per i bambini, sono solo alcuni aspetti importanti che sembrano essere esclusi.

Vorrei accennare anche all’immaginario, penso alla crudeltà nei confronti dei bambini, non è mai stata così manifesta come oggi nella società immagini, quando fotografie e video di guerra, di naufragi, invadono la nostra vista e la nostra mente con i suoi orrori di morti e feriti.

Che cosa aspetta al suo affacciarsi nel mondo una nuova creatura? Sono domande che si fa chi vuole mettere al mondo un bambino.

Un bambino e una bambina vengono al mondo, crescono e si sviluppano in un ambiente sociale nell’interazione con gli altri; la formazione e la completezza del suo sviluppo hanno a che fare con il tipo di ambiente in cui sono situati. Com’è quest’ambiente?

Ci chiediamo: perché non si provvede a tutte le cure necessarie e alla tutela dei bambini prima di tutto, in questa società in cui non si dà alla vita quel valore che le è dovuto?

È una questione etica, oltre che politica, perché le contraddizioni e la confusione in cui si possono accampare politiche insulse facendole passare per operazioni dettate da buone intenzioni devono essere smascherate.

E allora, per ispirarci, potremmo guardare, ad esempio, a Cuba, di cui è l’Unicef a dire che “è il paradiso per l’infanzia” [2].

 

Note:

[1] Il Secondo Sesso, 1949 Gallimard Parigi, Simone De Beauvoir, opera di riferimento per la storia del femminismo.

[2] http://scintillarossa.forumcommunity.net/?t=55631522

10/09/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Laura Nanni

Roma, docente di Storia e Filosofia nel liceo. Fondatrice, progetta nell’ A.P.S. Art'Incantiere. Specializzata in politica internazionale e filosofia del Novecento, è impegnata nel campo della migrazione e dell’integrazione sociale. Artista performer. Commissione PPOO a Cori‐LT; Forum delle donne del PRC; Stati Generali delle Donne.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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