La Buona Università alza la testa

Nel corso dell’ultimo decennio le “riforme” Moratti e Gelmini hanno avuto un impatto a dir poco devastante sulla composizione e l'organizzazione del lavoro all'interno degli atenei italiani.


La Buona Università alza la testa Credits: foto @zak_says

Le “riforme” Moratti e Gelmini sono state devastanti per gli atenei italiani, la maggior parte dei precari della ricerca sono stati espulsi dall'università negli ultimi dieci anni, in futuro l'impatto dei tagli sarà devastante sull'offerta formativa. La annunciata riforma di Renzi rischia di peggiorare la situazione. Di fronte a tale situazione è necessaria una forte mobilitazione del mondo universitario, che riesca ad andare oltre l'università stessa al fine di far cadere il governo.

di Alessandro Porchetta e Mario Caruso*

Nel corso dell’ultimo decennio le “riforme” Moratti e Gelmini hanno avuto un impatto a dir poco devastante sulla composizione e l'organizzazione del lavoro all'interno degli atenei italiani. Come sempre i numeri descrivono la realtà in un modo migliore di qualunque considerazione: dal 2008 al 2013 il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) è diminuito di 960 mln Euro(-13%) e ora dal 2015 al 2023 sarà tagliato di ulteriori 1,4 miliardi di euro (-20%) (Legge Stabilità 2015); il blocco del reclutamento ha fatto segnare dal 2008 al 2014 una diminuzione pari al 30% di Professori Ordinari e -17% di Professori Associati. Nel frattempo gli assegnisti di ricerca, la figura più precaria e, nella maggior parte degli atenei, non rappresentata negli organismi accademici, hanno registrato un incremento pari al 150% (da 6000 a 14.700 unità).

Per di più, secondo le ultime indagini statistiche (FLC CGIL – Ricercarsi e ADI) il 93,3% dei precari della ricerca (dottorandi e assegnisti) è stato espulso negli ultimi 10 anni dal sistema accademico. Tutto ciò è destinato a peggiorare per effetto del definanziamento storico e del blocco del reclutamento appena illustrati, a meno di una radicale inversione di tendenza che non appare all’orizzonte. Infatti, nonostante il funzionamento delle Università sia ormai reso possibile unicamente grazie al lavoro delle figure precarie della ricerca, spesso sottopagato se non addirittura gratuito, la stabilizzazione di queste figure – per esempio attraverso un piano speciale di reclutamento - rimane una chimera. Oggi perfino la Conferenza dei Rettori (Crui), fino ad oggi interlocutore ‘responsabile’ dei diversi governi e dunque corresponsabile del declino del sistema universitario italiano, fa la voce grossa col governo consapevole dell’insostenibilità a medio termine dell’attuale sistema accademico: in 4-5 anni con questo ritmo molti corsi di laurea andranno chiusi, i dipartimenti più piccoli uniti e gran parte dell’offerta formativa e della ricerca andrà persa.

Sullo sfondo di questo quadro drammatico si muove la prossima e preannunciata ‘Buona Università’ del Governo Renzi. Sebbene il testo sia, come da tradizione di questo governo, assolutamente chiuso nei cassetti e la discussione della ‘riforma’ sembra slittare, gli annunci di Renzi – in particolare all’inaugurazione dell’anno accademico al Politecnico di Torino - e diversi rumors preannunciano scelte in grado di peggiorare ulteriormente la situazione. Se le premesse verranno confermate, è prevista l’ennesima riforma del ruolo giuridico del ricercatore (anche delle figure a tempo determinato) e l’istituzionalizzazione del carattere precario, perennemente sul mercato, di chi fa ricerca.

Tuttavia, le trasformazioni profonde cui sono soggette le Università non dipendono unicamente dall’entità dei tagli: fondamentale nella metamorfosi del mondo della formazione è stato l’utilizzo dei meccanismi di valutazione degli atenei. Promossi e presentati come un'arma contro le baronie e le forme clientelari che infestano il mondo della ricerca in Italia, in realtà si sono rivelati un'arma spuntata. Questi purtroppo hanno creato una inutile competizione tra atenei senza paradossalmente seguire un sistema premiale per le Università meritevoli, bensì imponendo misure punitive verso quelle considerate poco meritevoli. Inoltre hanno chiaramente dimostrato di essere un ulteriore sostegno per gli interessi dei soliti: più che creare ricambio e innovazione, hanno stretto ancora di più il collo del reclutamento, aumentando le condizioni di precarietà (e quindi di ricattabilità) delle figure che tentano di accedere al sistema universitario.

La sfida è dunque anche quella di intraprendere una discussione approfondita sui sistemi di valutazione, che ne smantelli l'impianto ideologico - la meritocrazia - e che ne smascheri il reale intento: creare pochi centri di ricerca specializzati e una netta divisione fra università di serie A e di serie B, con buona pace del ruolo formativo del sistema universitario e del diritto allo studio. La domanda che ora ci dobbiamo porre è sempre la stessa: che fare? All'interno di una ri-formulazione generale dell'università che vorremmo, risulta decisivo ridare centralità al ruolo sociale dell'università, alle sue attività formative e di ricerca. Qualsiasi azione, rivendicazione e proposta non deve essere portata avanti dai comparti separati dell'università ma da tutti gli elementi che la compongono: studenti, dottorandi, assegnisti, ricercatori e quei professori in grado di rompere fattivamente con la gestione dell’attuale sistema accademico.

E’ in questo solco che il Coordinamento nazionale delle Ricercatrici e dei Ricercatori non Strutturati Universitari, costituitosi nel novembre 2014 come piattaforma nazionale che raccoglie e rappresenta il mondo dei post-doc e dei precari della ricerca italiani, sta attuando un’azione diffusa sul territorio italiano per intercettare i bisogni reali e le proposte di tutti i giovani ricercatori. L’enorme lavoro del coordinamento per la tessitura di uno reale spazio di confronto fra soggetti altrimenti atomizzati che animano l’Università italiana ha prodotto una timida ma significativa ripresa della capacità di elaborare controproposte e ha espresso una discreta conflittualità. Ad esempio, rispetto la vergognosa presa di posizione del Ministro Poletti sul tema dell’accessibilità all’indennità di disoccupazione DIS-Coll da parte dei precari dell’università, si è riaffacciata sulla scena la possibilità di trovare elementi materiali e di minima in grado di mobilitare figure che vivono condizioni di lavoro molto diverse, accomunate però dallo stesso destino di fondo: precarietà a vita o espulsione dal sistema.

Nonostante questi importanti risultati sussiste il rischio concreto che il Coordinamento si ritrovi a elaborare idee puntuali ma orientate alla prospettiva debolmente riformatrice dell’attuale sistema accademico: questa prospettiva, seppur rispecchia oggettivamente la fase e le forze in campo, è rischiosa e rischia di chiudere il ragionamento nelle stanze dei ricercatori e nel confronto con quei soggetti – come il governo – che non sono reali interlocutori quanto piuttosto la controparte. Portare a casa qualche significativo risultato (riforma della figura pre-ruolo, aumento del FFO, rivisitazione dell’attuale sistema punti organico, etc.) è importante, riaprire una nuova stagione di mobilitazioni di massa connesso con le altre mobilitazioni del mondo del lavoro è fondamentale. Il mondo della ricerca e della formazione deve costruire insieme agli studenti, ateneo per ateneo, un percorso che abbia tra le rivendicazioni centrali la cancellazione della Riforma Gelmini: è il tempo di proporre una vera riforma universitaria che rimetta in discussione l’attuale ruolo sociale del sistema accademico. Un sistema che deve rivalutare in maniera determinante la figura del Ricercatore, che sia in grado di eliminare gerarchie ataviche responsabili del sistema baronale esistente attraverso l’apertura di una stagione di elaborazione collettiva democratica. Un percorso costituente che permetta di declinare cosa vuol dire oggi diritto allo studio, ragionando sul senso più profondo e le prospettive della ricerca (in Italia e soprattutto in Europa).

Questo percorso va costruito nelle università ma bisogna trovare le forme e le modalità di discutere oltre l’università, nella società. In particolare è decisivo ragionare con le altre forme del lavoro precario ed escluso dal welfare del paese Italia al tempo del Jobs Act. La lezione del mondo della scuola ci insegna che questa via è l’unica in grado di mettere realmente in crisi il governo. 

* Assegnisti di ricerca in Chimica, Università di Roma “Tor Vergata”

19/09/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: foto @zak_says

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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