L’autonomia regionale differenziata ovvero la secessione dei ricchi

La regionalizzazione, oltre ad accentuare le differenze esistenti tra le diverse aree del territorio nazionale, agisce anche come fattore di esasperazione delle divaricazioni sociali e di privatizzazione.


L’autonomia regionale differenziata ovvero la secessione dei ricchi

È di questi giorni – precisamente del 14 febbraio – la notizia di un accordo firmato tra il Ministero dell’economia e le Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna finalizzato all'attuazione di un trasferimento delle competenze che lo Stato ha su alcune materie verso le suddette Regioni. Pur avendo modalità e materie diverse (la capofila in questo processo è il Veneto con ben 23 materie) la devoluzione dello Stato attraversa i principali servizi pubblici: Scuola, Università, Sanità, Cultura, Musei, etc. Il passaggio del 14 Febbraio rappresenta una tappa fondamentale di un percorso che è cominciato – per lo meno nella sua definizione legislativa ultima – con un'ipotesi di accordo siglata tra le tre Regioni ed il Governo Gentiloni nel 2017 e che il Governo attuale, sotto l'evidente pressione della Lega, ha inserito nell'accordo di Governo, imponendo come testa di ponte e figura centrale dell'accordo stesso il Ministro della Pubblica Istruzione Marco Busetti.

In quest'articolo affronterò il tema dell’autonomia regionale differenziata (o semplicemente “regionalizzazione”) concentrandomi prevalentemente sul settore in cui opero, nel quale ho svolto negli ultimi dieci anni le lotte più aspre e che, di conseguenza conosco meglio: l'istruzione. La scuola, tuttavia, rappresenta solo un modello, uno schema interpretativo per svolgere un ragionamento più complesso, generale, sui nessi profondi esistenti tra le dinamiche di regionalizzazione, i processi di privatizzazione dei servizi che a queste dinamiche sistematicamente si accompagnano e la frammentazione nazionale, la sperequazione sempre più forte tra aree all'interno di uno stesso Stato.

In realtà il processo di riduzione del ruolo dello Stato nel campo dell'istruzione è cominciato con la riforma del titolo V della Costituzione del 2001 compiuta da una maggioranza di centro-sinistra che ha dato alle Regioni la facoltà di legiferare in materia e che ha reso possibile il finanziamento pubblico delle scuole private paritarie (impedito dall'articolo 33 della Costituzione ma reso possibile dal fatto che non è più lo Stato a finanziare i privati ma la Regione).

A questa modifica di carattere costituzionale si sono aggiunti tutta una serie di cambiamenti normativi che sotto il nome di “autonomia finanziaria” delle scuole hanno favorito una concezione per cui i singoli istituti, le singole regioni, etc, entrano in una sorta di competizione tra loro per dimostrare agli utenti (clienti) la migliore qualità dell'offerta formativa. È come se lo Stato non esistesse, come se la Repubblica non avesse alcun compito educativo fondamentale e tutta l'istruzione fosse relegata ad una logica particolaristica nella quale i singoli istituti si offrono ai genitori come venditori di se stessi, pena la riduzione delle iscrizioni. Le scuole private, finanziate anche con i fondi delle Regioni, rappresentano il livello più alto di questa concezione, in cui i diritti degli insegnanti spesso vengono calpestati, i salari sono inferiori ed alcuni genitori spesso entrano a gamba tesa sulle scelte educative della scuola ed in particolare sulla valutazione.

Il trasferimento di tutte le competenze educative verso le Regioni, dunque, rappresenterebbe un enorme passo in avanti in questa direzione. Anche se gli stipendi degli insegnanti sarebbero sempre legati alla contrattazione nazionale – nell'ipotesi attuale, ma per il futuro chissà – le Regioni potrebbero predisporre autonomamente una parte della retribuzione salariale, gestirebbero per proprio conto le assunzioni, bloccando la mobilità nazionale ed interverrebbero anche sulla definizione dei programmi da svolgere. Il Veneto, poi, sembra particolarmente interessato anche alla gestione autonoma della Invalsi e della alternanza scuola-lavoro, dimostrando in questo modo di porsi in perfetta continuità con la concezione renziana della scuola emersa dalla legge 107.

I pericoli che molti insegnanti intravedevano – come ad esempio la riduzione del ciclo di studi o l'aumento dell'orario di lavoro – verrebbero definiti progressivamente sul piano regionale, ma se è valida l'equazione che ho cercato di dimostrare in questi passaggi ovvero regionalismo = privatizzazione = abdicazione graduale delle funzioni dello Stato dal compito dell'istruzione, si capisce bene come il progetto di autonomia differenziata, oltre ad accentuare le differenze esistenti tra le diverse aree del territorio, portando ad una frantumazione del quadro nazionale, agisce potentemente anche come fattore di esasperazione delle divaricazioni sociali e di privatizzazione del settore della scuola. Inoltre, a lungo termine, in particolare nelle regioni più disagiate – ma anche in quelle più ricche – il trasferimento della componente finanziaria dallo Stato alle Regioni rappresenta una leva potentissima nella riduzione dei salari per l'intera categoria. Nella scuola abbiamo la dimostrazione pratica di queste differenze nell'edilizia scolastica, nella retribuzione degli Assistenti educativi culturali per gli alunni disabili: in questi due casi ci troviamo di fronte a soldi (stipendi) che vengono ridotti sensibilmente rispetto alle responsabilità e spesso pagati in ritardo con la giustificazione della mancanza di fondi.

La regionalizzazione ci pone di fronte a due questioni che convivono contemporaneamente: la questione sociale, poiché ponendosi in un ottica tipicamente liberista accentua la differenza tra ricchi e poveri ed una questione nazionale poiché alimentando le divergenze tra nord e sud, tra aree più ricche ed aree più povere, compromette la tenuta di una dimensione nazionale all'interno della quale sviluppare il conflitto.

I lavoratori della scuola sono chiamati per primi a svolgere una lotta unitaria, coinvolgendo tutti i sindacati in un percorso che deve portare al ritiro del progetto e che coinvolga settori più vasti della società (sanità, ricerca, università) coinvolti anch'essi in questo gigantesco processo di espropriazione di servizi ai danni dei settori popolari e dei cittadini.

Un elemento fondamentale in questo ambito è dato dal dibattito, dalla conoscenza dell'argomento e dalla diffusione dei contenuti, per questo come autoconvocati della scuola ci stiamo impegnando non solo verso l'indizione di uno sciopero unitario di tutti i sindacati ma anche nella costruzione di assemblee in tutte le scuole che renda possibile il dibattito e la diffusione piena ed articolata su questa importantissima tematica.

16/02/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Francesco Cori

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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