È giusto partire dalla storia del virus. Nonostante fosse un virus pericoloso è stato anche sottovalutato. Per capire meglio la sua natura bisogna raccontare due storie. Una storia di lungo periodo e poi invece una più recente di come è emerso e come abbiamo capito che è pericoloso.
La storia di medio-lungo periodo inizia all’incirca nel 1997, quando muore un bimbo ad Hong Kong per un virus denominato H5N1. Questo virus, tuttora in circolazione, e per il quale si è lanciato un pre-allarme pandemico, è della stessa famiglia del virus famoso della spagnola H1N1 del 1918 con il quale condivide delle caratteristiche che lo rendono molto pericoloso, cioè aveva fatto ”il salto di specie”, passando da un serbatoio animale (gli uccelli migratori) all’uomo. Tutto ciò significa acquisire delle mutazioni particolari che lo rendono particolarmente patogeno, cioè capace da un lato di agganciare le vie aeree superiori dell'uomo e dall’altro di trasmettersi da un uomo all'altro. Successivamente ci furono altri allarmi di virus con caratteristiche simili, come fu il caso della SARS del 2002 (coronavirus numero 1), oppure quello dell’influenza aviaria del 2010 (H1N1pdm09), virus che tutto sommato si sono comportati meno drammaticamente di come si temeva.
E arriviamo ad oggi. Nei primi di gennaio in Italia arriva come nel resto del mondo la notizia che nella provincia di Hubei in Cina vi erano alcune decine di casi legati all’emergere di un nuovo coronavirus e quindi si temeva la possibilità di un'estensione epidemica o addirittura pandemica. La notizia fu inizialmente sottovalutata probabilmente perché gli esperti cinesi non conoscevano quello che realmente stava succedendo. Il 20 di gennaio avvengono due eventi fondamentali, in Cina si rendono conto sia che i casi stanno aumentando esponenzialmente sia che le sequenze del virus mostrano la presenza di un gran numero di mutazioni pericolose.
A quel punto il governo Cinese chiude l'intera provincia di Hubei, una provincia di 57 milioni di abitanti, ovvero numerosa quanto l’Italia, e costruisce ospedali cosiddetti COVID-19 (termine con cui è chiamata la patologia da SARS-COV2). A quel punto alcuni specialisti, come me, quelli che si erano occupati di epidemie di virus pandemici, capiscono che la situazione è allarmante e cercano di comunicare quello che sta accadendo. Così il 31 di gennaio anche in Italia parte una nota importante, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, in cui si dice che c'è un allarme pre-pandemico e, finalmente, cominciamo a prepararci. Purtroppo questa nota, pur essendo ufficiale, non ha avuto molto seguito. Le regioni e il governo che l’ha emessa l'hanno in qualche modo presa sottogamba e devo dire che anche molti dei miei colleghi non abituati, a differenza degli orientali, a una situazione potenzialmente drammatica come questa, probabilmente l'hanno sottovalutata.
Arriviamo a febbraio quando uno dei più importanti laboratori del mondo a Parigi (l’Istituto Pasteur) pubblica la sequenza, gli australiani mettono in campo alcune immagini, insomma cresce la consapevolezza che il virus è un'entità reale drammaticamente pericolosa. Tra noi medici e ricercatori che seguivamo questa cosa ormai era chiaro il pericolo imminente e abbiamo cercato a vario titolo di fare intervenire l'Istituto Superiore di Sanità e il Ministero perché si arrivasse a una protezione degli operatori sanitari e a una messa in sicurezza degli ospedali. Purtroppo un certo ritardo l'abbiamo avuto sia in Italia sia negli altri paesi occidentali. Gli Stati Uniti, per esempio, da quello che vediamo probabilmente avranno una situazione veramente drammatica. Io farei attenzione ancora a dire che stiamo già sul plateau della curva epidemiologica, perché non bisogna stare a guardare il numero dei casi perché il numero dei casi è più legato al numero dei tamponi che si fanno che indubbiamente in Italia sono stati relativamente pochi in confronto ad altri paesi come la Cina o la Corea dove sono stati fatti milioni di tamponi. Da noi invece si è scelta la strada di fare pochi accertamenti perché non eravamo preparati, dobbiamo dircelo chiaramente. Quello che è importante è purtroppo seguire il tasso di mortalità cioè il numero dei decessi in relazione alla popolazione. Questo purtroppo non è vero che è diminuito, siamo in una situazione in cui possibilmente possiamo sperare di essere alla vigilia di un vero e proprio rallentamento e di un plateau.
Quando un virus nuovo emerge da un altro animale e raggiunge l'uomo evidentemente vuol dire che nel nostro organismo ha trovato il modo ii legarsi, quindi il primo passaggio che il virus ha fatto sono state delle delle mutazioni che gli hanno consentito di arrivare nel nostro apparato respiratorio, di legarsi alle cellule polmonari e di passare in circolo agli altri tessuti. Ora queste mutazioni il virus le ha fatte probabilmente in autunno. A questo punto avviene che alcune persone che probabilmente hanno una maggiore fragilità, inizialmente gli anziani, ma soprattutto persone che hanno alcune patologie specifiche, metaboliche, cardiovascolari o patologie di tipo infiammatorio in modo particolare delle arterie, sono quelle che almeno nella prima fase della dell'espansione del virus hanno le conseguenze peggiori.
Le statistiche dicono che noi attualmente abbiamo una gran parte di persone che rimane asintomatica o paucisintomatica, circa il 50- 60%, una parte di persone che probabilmente è intorno al 25-30% ha invece sintomi di tipo significativo ben individuabili, febbre, dolori muscolari, l'astenia e ovviamente la tosse e alcune volte anche sintomi di accompagnamento più o meno seri anche a livello gastroenterico. Poi una piccola parte che dovrebbe essere intorno al 5-10 % ha forme gravi o addirittura critiche. Ecco questa percentuale è legata indubbiamente da un lato alla carica virale iniziale quindi all'esposizione massiva dall'altro a quei fattori di rischio che abbiamo appena detto. I soggetti che vengono colpiti da queste forme gravi hanno bisogno prima di tutto di ossigeno e in un 3% dei casi diventa necessaria la terapia intensiva (indichiamo più o meno queste percentuali, sulla base di dati provenienti dalla Cina e da nostre ricostruzioni). Queste persone manifestano la cosiddetta tempesta di citochine. Nel senso che per rispondere a questo virus, il nostro sistema immunitario riconosce questo patogeno come estremamente pericoloso, mettendo in campo una risposta infiammatoria che diventa paradossalmente quella che può uccidere perché è talmente violenta che i polmoni si riempiono letteralmente di sangue, sia ha una flogosi, un'infiammazione massiva e tendono ad andare rapidamente in fibrosi. A questo punto bisogna poter ovviamente da un lato intubare il paziente dall’altro devono poter anche fare ricorso a terapie specifiche che sono ancora in parte sperimentali.
I virus vengono chiamati quasispecie: il virus non esiste, esiste una sequenza genetica che in questo caso è una sequenza di RNA quindi una sequenza molto mutevole per cui esistono centinaia, migliaia di virus molto simili tra di loro ma non sono esattamente lo stesso virus. Quindi questa tendenza a mutare è reale e c'è una grande complessità genetica e anche antigenica, con la conseguenza che il sistema immunocompetente fa grande fatica a riconoscere il virus e a immunizzarsi e di questo dobbiamo tenere conto. Quindi non sappiamo quanto tempo ci vorrà perché la popolazione umana incontrando il virus si immunizzi, anche perché di fronte ad virus così virulento la gran parte della popolazione viene tenuta come abbiamo visto in una situazione in cui dovrebbe cercare di non incontrare il virus, ma questo significa anche che si immunizza molto più lentamente. Pertanto ci vorrà molto tempo ad arrivare ad un’immunità diciamo collettiva, forse 1-2 anni perché il virus deve diventare più stabile cioè mutare meno rapidamente sia perché i nostri sistemi di difesa si devono adeguare al nuovo virus.
Tutto ciò significa che probabilmente studiando retrospettivamente quello che è successo nel 1918-19, (la pandemia ebbe due momenti espansivi, il secondo molto più virulento del primo che uccise decine di milioni di persone, compresi bambini o persone senza patologie pregresse) noi dobbiamo comunque partire da quello che è lo scenario peggiore possibile. Ogni volta in questi casi bisogna immaginare qual è la situazione che dobbiamo evitare non perché la più probabile, ma perché essendo possibile dobbiamo assolutamente scongiurarla.
Allora dobbiamo arrivare alla fine dell’estate che finalmente il sistema sanitario è messo in sicurezza e rafforzato, con corridoi sanitari specifici, gli operatori sanitari sono formati correttamente ma soprattutto sono protetti nel modo corretto, e la gente sappia eventualmente cosa fare. Dobbiamo avere sufficienti tamponi per poter fare monitoraggi massivi e così a quel punto i rischi saranno molto minori. Ecco in questo senso è giusto anche pensare a quel momento drammatico di 100 anni fa.
La differenza in questi casi lo fanno le comunità scientifiche e il ruolo e peso che hanno nei rispettivi governi. In Oriente, Cina, Corea, Vietnam conoscono questo tipo di emergenze sanitarie e si affidano a esperti molto competenti. All'inizio le persone competenti in materia in Occidente ed in particolare in Italia non hanno avuto voce in capitolo perché il gruppo di esperti di 15 anni fa (di cui facevo parte anch’io) non c'è più e non mi risulta che sia stato attivato da gennaio in poi, e ancora adesso a prendere le decisioni inevitabilmente sono persone che sono più dell' apparato diciamo politico-sanitario istituzionale persone magari molto esperte ma in altri ambiti.
Il mio timore è che adesso si cominci, ai primi segni di una diminuzione della gravità della situazione, a dire non dico “liberi tutti”, perché questo non lo diranno, però “adesso basta con queste esagerazioni, dobbiamo tener conto che l'economia ha le sue esigenze, bisogna riaprire bisogna fare andare avanti anche il turismo, ecc”. Questo è pericoloso perché al contrario nei prossimi mesi dovremmo assolutamente far sì che si metta come primo livello di importanza e di urgenza l'adeguamento del Sistema Sanitario Nazionale, quindi gli investimenti economici devono andare lì. Bisogna fare in modo che si faccia esattamente, e lo dico in modo questa volta un po' polemico, il contrario di quello che è stato fatto per vent'anni. Perché, ad esempio, le stesse forze politiche che vanno in televisione a denunciare che si è sbagliato tutto sono quelle che in Lombardia hanno privatizzato gran parte della sanità, hanno ridotto i posti letto, hanno letteralmente ridotto il numero degli operatori sanitari e dei medici, hanno potenziato la sanità privata e in ultimo hanno reso più facile Il cammino del virus. Quindi adesso dobbiamo andare nella direzione opposta. Adeguare l'intero sistema, creare la cultura di questi tipi di scenari, creare i corridoi alternativi, fino alla messa in opera di reparti specializzati come quelli di Cotugno a Napoli, che è l'unico ospedale in Italia in cui è stato organizzato un reparto di grandissimo livello e non c'è nessun medico contagiato. In ogni grande città bisogna fare lo stesso, è tassativo.
Io mi sono trovato 15 anni fa, con il gruppo di esperti, ad elaborare un piano per attivare gli ospedali militari per far fronte a questo tipo di pandemie emergenti. L'avevamo proposto ma non ci fu il bisogno immediato di portarlo avanti perché l’emergenza in quel caso cessò e il piano non fu sviluppato. Negli ultimi 15 anni, gli ospedali militari sono stati addirittura abbandonati quindi a questo punto ristrutturarli, riprenderli e preparargli a un'eventuale seconda fase sarebbe fondamentale, anche se difficile ed oneroso. Bisognerà vedere se chi ci governa sarà in grado o comunque se chi, tra gli esperti, riuscirà a far valere questa che è la voce della ragione cioè non permettere più che si riproponga la situazione drammatica come questa, che ha visto tante e troppe vittime soprattutto tra coloro che lavorano attivamente per la salvaguardia della nostra salute, medici, infermieri, operatori sanitari e portantini.
Ora affrontiamo il problema in modo più generale. Qualcuno in maniera forse eccessiva, ha messo in giro in questo ultimo mese dei filmati e dei scritti in cui si fanno addirittura le lodi a questo virus, perché ci ha fatto capire quello che succedeva, quindi non è stato un agente cattivo ma è stato anzi quasi benefico perché ha permesso a tanta gente di capire e di ritrovare la propria vita. Ecco io credo che non sia esattamente così, credo però che c'è un aspetto positivo potenziale cioè il fatto che questo sistema (capitalistico) che non regge che non può andare avanti perché sta letteralmente disintegrando gli equilibri Eco-sferici quindi atmosfera, idrosfera, litosfera, biosfera, tutto il pianeta è sotto stress. Chiaramente si è parlato molto di cambiamenti climatici che sono un dramma, si è parlato molto di possibili crisi sociali, politiche ed economiche, si è parlato meno di crisi ambientali e non si è parlato di crisi sanitarie. Eppure la crisi sanitaria cioè la crisi biologica è in atto da 20-40 anni.
In alcuni scritti di una ventina d'anni fa io ed alcuni colleghi avevamo provato a far creare questa consapevolezza in particolare in Italia e non solo e cioè che di fatto la crisi all'interno del mondo microbiologico è in alcune forme ancora più pericolosa della crisi del mondo macroscopico. Perché avevamo la consapevolezza che il virus dell'influenza e i coronavirus stavano in qualche modo emergendo in forma sempre più preoccupante, oltre alla consapevolezza che negli ultimi quaranta anni la grandissima parte delle patologie che sono andate ad aumentare sono zoonosi cioè vengono dal regno degli animali. Li stiamo talmente sfruttando e “maltrattando” gli animali che alla fine i loro virus entrano nelle nostre catene alimentari e nella nostra vita, oltre ad avere avuto già episodi drammatici come per esempio l’HIV originatosi probabilmente da una scimmia e passato all’uomo oppure ebola ma anche Marburg, gli hantavirus, ecc.
Oltre a questo c'è l'altro grande problema che invece riguarda i microrganismi patogeni cioè i batteri, ebbene sappiamo che siamo arrivati a cifre da capogiro per la morte di persone da antibiotico-resistenza. Cioè abbiamo usato in maniera così criminale, perché così va detto, gli antibiotici (la nostra arma più importante contro i microrganismi patogeni) li abbiamo diffusi in tutto il pianeta, negli ecosistemi, negli allevamenti: li abbiamo usati soprattutto in zootecnia in maniera non adeguata, abbiamo continuato a usarli anche a livello umano in maniera assolutamente sbagliata. Infatti sappiamo che 9 su 10 delle prescrizioni di antibiotici sono assolutamente inutili, pericolose o sbagliate. Risultato è che in Italia secondo le statistiche muoiono da 20.000 a 50.000 persone all'anno per questo tipo di problemi, negli Stati Uniti si parla di 200.000 morti ogni anno. Siamo a cifre pazzesche, c'è una grande epidemia legata a tutto questo. Allora mettendo insieme a tutto questo la consapevolezza che gli ecosistemi sono alterati e le catene alimentari sono totalmente alterate anche perché piene di inquinanti di tutti i tipi, noi ci stiamo letteralmente avvelenando. E questa epidemia da coronavirus è uno degli episodi maggiori negli ultimi anni di questo stress a cui stiamo sottoponendo l'intera biosfera.
C’è poi da considerare che un virus non ha confini, sia esso naturale o un eventuale agente bioterroristico. Non basta che in un paese si faccia quello che si deve fare per contenerlo, si deve fare in tutti i paesi, perché basterebbe che un grande paese come l'India, come gli Stati Uniti o come la Cina, non facciano tesoro di quello che si è vissuto altrove - come qualcuno dice attualmente il Brasile, perché il presidente del Brasile è uno di quei personaggi, come è stato anche inizialmente il presidente degli Stati Uniti e anche il primo ministro inglese, che avevano sostenuto che i virus doveva fare il suo corso - per vanificare gli sforzi degli altri. In questo caso, lasciar fare al virus il proprio corso significa milioni di morti in un paese e diffusione della pandemia, non si può lasciare che questo avvenga.
Quindi, morale della favola: i virus non possono essere sottovalutati, i sistemi sanitari devono essere ristrutturati e bisogna rafforzarli dove sono stati indeboliti e bisogna far sì che la sanità mondiale sia libera di agire in maniera corretta a livello planetario con un coordinamento da parte dell'OMS, perché non ci sono altri soggetti che lo possono fare, e che si dia credito alle persone che in questo ambito hanno competenza anziché affidarsi a personaggi che sono essenzialmente dei politici e la competenza non ce l'hanno.
Detto questo auguriamoci che tutto vada per il meglio ti ringrazio per questa bella lunga intervista. Speriamo che sia utile a tanti e magari ci sentiamo in un prossimo futuro per fare il punto quando le cose andranno meglio.
Testo tratto dall’intervista al Dott. Ernesto #Burgio, pediatra e ricercatore, esperto di epigenetica e biologia molecolare. Presidente del comitato scientifico della Società Italiana di Medicina Ambientale e membro del consiglio scientifico dell’Istituto di Ricerca sul Cancro e Ambiente di Bruxelles.
L’intervista integrale di Francesco Paolo Caputo è del 05/04/2020 può essere vista qui