E così, alla fine, con una mossa suicida e tardiva che gli costerà l’intera carriera politica - anche se finora relativamente breve - e cedendo alle pressioni sempre più insistenti del suo partito, Ignazio Marino (o “Ignaro”, come è stato ironicamente ribattezzato in seguito alla vicenda di Mafia Capitale) si è dimesso. E ora? “Ghe pensi mi”, dice Renzi.
di Selena Di Francescantonio
Marino si è dimesso.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso, a quanto pare, sarebbero stati i rimborsi di cene istituzionali che così istituzionali non erano. E’ chiaro a chiunque, ormai, che si sia trattato di un pretesto qualsiasi, funzionale ad erodere definitivamente la credibilità, effettivamente quasi inesistente, di un uomo politico veramente poco scaltro rispetto alla giungla nella quale s’era cacciato, e che presumibilmente non verrà certo ricordato con nostalgia. Marino, il sindaco che usa la bicicletta, rende pedonabile Via dei Fori Imperiali e inaugura la prima benedetta tratta di Metro C che subito si guasta; Marino, quello che con Mafia Capitale non c’entrava nulla ma che più che essere acclamato come onesto viene deriso come un burattino inconsapevole; Marino degli sgomberi fatti con le ruspe, degli sfratti, dei tagli dell’acqua; Marino delle privatizzazioni selvagge e della colpevolizzazione dei lavoratori dell’Atac per il pessimo servizio offerto; Marino che vuole risolvere i problemi del quartiere più densamente popolato di Roma (Torpignattara) installando le telecamere di sicurezza.
Insomma, un perfetto sindaco di destra che doveva andare via al più presto per ragioni, però, politiche e non legalitarie: a questo proposito la dice lunga sullo spessore politico dei suoi alleati di sinistra, SEL, il fatto che questi lo abbiano appoggiato quando faceva politiche di destra e adesso lo abbandonino per ragioni d’immagine.
Le dimissioni di Marino giungono ora, dunque, dopo che per mesi, dallo scoppio dell’inchiesta su Mafia Capitale, Renzi e i suoi ( ultimamente anche con la complicità di un Papa che “non avrebbe invitato lui Marino”) hanno in tutti i modi cercato di catalizzare sulla figura dell’ex sindaco quanto più dissenso possibile, facendolo passare sempre di più nell’opinione pubblica, dapprima, come un rintronato a causa della sua estraneità ai fatti di Buzzi &co., successivamente, come un incompetente ed un vigliacco che non voleva mai tornare dalle vacanze, poi, come un appestato non gradito ed, infine, sfruttando la vicenda degli scontrini, come un approfittatore e disonesto - esattamente al pari degli altri - facendo saltare uno dei principali cavalli di battaglia tipici del Marino neo eletto, e cioè la lotta alla cosiddetta Casta. A dir poco ridicola, in questo senso, l’ipocrisia dei consiglieri di SEL, suoi alleati, i quali, come è loro d’uopo, non hanno esitato a saltare sul carro del vincitore ingrossando le fila dei detrattori dell’ex sindaco utilizzando (proprio loro!) la retorica della legalità e dell’onestà.
Se si considera che, contrariamente alla sfilza di nomi dei possibili “candidati” al Comune di Roma che in queste ore fioccano sulle pagine di tutti i giornali, Marino non era il tipico uomo di diretta espressione dei poteri forti e che, però, avendo incentrato tutta la sua attività politica nella Capitale su tutta quella serie di scelte vincolate che, come una perfetta fotocopia, caratterizzano le amministrazioni delle maggiori città italiane ( la Milano di Pisapia, ad esempio), si capisce chiaramente quanto l’unica forza sostenitrice sulla quale l’ex sindaco avrebbe potuto forse contare in questo momento era quella dei suoi elettori che lo preferirono ad Alemanno e il cui numero oggi si è tremendamente (e giustamente) assottigliato.
Uscito di scena questo personaggio quasi incidentale, questo ex chirurgo alle spalle del quale era però così comodo condurre tutta una serie di traffici (e non esclusivamente di carattere “mafioso” nel senso stretto della parola), al Governo non resta che capire come fare ora a gestire la Capitale, praticamente già mezza commissariata da qualche mese, come dimostra la nomina di Gabrielli, pezzo da novanta della Digos passato in men che non si dica dall’essere capo della Protezione Civile all’essere Prefetto in una Roma nell’occhio del ciclone delle indagini.
Il problema si pone con una certa urgenza, considerata l’incombenza del Giubileo e di tutta un’altra serie di affari che non possono aspettare e che non possono - sicuramente - rischiare di passare in mani poco fidate. Di qui l’intento evidente di evitare in tutti i modi le elezioni comunali, essendoci il serissimo rischio di vedere consegnare dall’elettorato al Movimento 5 Stelle le chiavi della città, cosa che potrebbe comportare certamente un effetto valanga della riscossa dei pentastellati nelle altre città italiane, una volta espugnata la Capitale.
Ma, appunto, sul da farsi Renzi è stato già estremamente chiaro, riecheggiando quel “ghe pensi mi” di berlusconiana memoria…
Una cosa è certa però. Tra gli interlocutori che a “sinistra” dovrebbero rappresentare un'alternativa a questo modello che ha governato la Capitale basandosi sul rispetto dei dogmi dell’austerity e sulla mannaia del Patto di Stabilità, non potrà esserci più chi, come SEL, questo modello l’ha sostenuto in questi due anni dall’interno e dall’esterno.