Brevi note sulle origini delle cellule comuniste d’officina

Mentre in Italia si era nel pieno della crisi Matteotti, iniziò a Mosca il V Congresso dell’Internazionale Comunista. La discussione della V assise mondiale fu caratterizzata dalla cosiddetta «svolta a sinistra», con la susseguente radicalizzazione, ma non abbandono, della formula del fronte unico, di cui venne accentuato il momento dell’unità dal basso. Formulazione che presupponeva un’analisi del capitalismo, caratterizzato da una fase di crisi acuta ...


Brevi note sulle origini delle cellule comuniste d’officina Credits: @zak_says

L’organizzazione in cellule del partito comunista sotto la direzione di Gramsci ha permesso di colmare il distacco tra classe e partito, consentendo di superare la tendenza del partito «puro», rendendolo, inoltre, meno vulnerabile ai colpi repressivi della polizia proprio per la sua capacità di nascere e vivere nel tessuto sociale.

di Claudio Gambini

Mentre in Italia si era nel pieno della crisi Matteotti, iniziò a Mosca il V Congresso dell’Internazionale Comunista. La discussione della V assise mondiale fu caratterizzata dalla cosiddetta «svolta a sinistra», con la susseguente radicalizzazione, ma non abbandono, della formula del fronte unico, di cui venne accentuato il momento dell’unità dal basso. Formulazione che presupponeva un’analisi del capitalismo, caratterizzato da una fase di crisi acuta, e disposto ad utilizzare alternativamente due strumenti di difesa: il fascismo e la socialdemocrazia. Conseguentemente la parola d’ordine del governo operaio fu sostanzialmente liquidata, riducendola a semplice metodo d’agitazione o a sinonimo di dittatura proletaria.

Paradossalmente per il Partito comunista d’Italia tale svolta coincise, dopo gli ultimi tentativi di coinvolgere Bordiga nella direzione del Comintern, con l’eliminazione della componente di sinistra, e con la formazione del Comitato Centrale e Comitato Esecutivo, operata direttamente da Mosca fra i membri delle altre correnti, con una maggioranza data al cosiddetto “centro”, e con la chiusura definitiva della vecchia diatriba in seno alla sezione italiana.

Per quanto riguarda la tattica sindacale la priorità era data all’impegno e al rafforzamento delle organizzazioni di classe. Inoltre si ricordava che il PCd’I doveva vivificare l’attività dei comitati di fabbrica, opporsi allo scioglimento delle Camere del lavoro e alla loro sostituzione con i segretariati sindacali, si doveva insistere sull’unità sindacale, il comitato sindacale di fabbrica comunista doveva diventare il nucleo centrale della frazione comunista nella classe operaia organizzata.

Ma il V Congresso è da ricordare anche per la parola d’ordine della «bolscevizzazione» dei partiti comunisti che avrebbe dovuto essere intesa non come semplice assimilazione dell’esperienza politica e organizzativa del partito russo ma come «l’applicazione differenziata degli insegnamenti che ne scaturivano alla concreta situazione di ogni paese in una determinata epoca storica». 

In realtà gli avvenimenti non andarono del tutto in tale senso. Elemento determinante era la ristrutturazione organizzativa imperniata sulla costituzione delle cellule nei luoghi di produzione, definite da Pjatnickij fondamento della bolscevizzazione, rispondente alla strategia comunista della guida delle masse operaie per la conquista del potere politico. Le cellule di fabbrica, inoltre, avrebbero dovuto permettere un contatto diretto e duraturo tra masse e partito e consentire a quest’ultimo di essere sempre in sintonia con le esigenze e i bisogni delle prime. Per questo «il partito comunista deve avere la sua base organizzativa fra le masse operaie stesse, nella fabbrica, nei luoghi di lavoro». Questo assetto organizzativo tendeva alla ricomposizione del politico e dell’economico ed aveva carattere strategico nell’assicurare un’adeguata composizione sociale tra gli iscritti del partito ed il carattere proletario di esso e ciò che per un partito comunista era essenziale «un’efficace lotta per il controllo della produzione e, dopo l’assunzione del potere, il dominio della produzione nella fabbrica». Era evidente, quindi, la centralità delle cellule e anche le difficoltà che comportava il mutamento dell’assetto del partito che si rifletteva, in molti casi, nel costituire frazioni aziendali con compiti limitati o nella tendenza ad assegnare alle cellule di fabbrica compiti quasi esclusivamente sindacali. Per tale motivo si precisava chiaramente il loro ruolo:

La cellula di fabbrica ha tutti i diritti di un’organizzazione di partito. Essa discute e prende posizione di fronte a tutte la questioni di partito; ciò deve esplicarsi anche per quel che riguarda la sua attività organizzativa. Le cellule devono reclutare ed accogliere gli affiliati, devono riscuotere i contributi dei loro membri, trattenere una certa percentuale dei contributi, registrare i loro iscritti, ecc. La cellula del partito distribuisce il lavoro ad ogni membro e lo obbliga ad eseguire il lavoro assegnatogli.

L’innovazione e le difficoltà erano reali e ciò si spiega con il fatto che i comunisti avevano ereditato il modello delle vecchie organizzazioni basato sulle sezioni territoriali, al quale aggiunsero «un maggior rigore di selezione di classe e illegale». Non era casuale la decisione dei dirigenti dell’Internazionale nel sottolineare i caratteri della svolta: «Né si può in alcun modo asserire che le cellule di fabbrica e quelle di strada siano le due basi dell’organizzazione del partito. Soltanto la cellula di fabbrica è la base dell’organizzazione del partito; la cellula di strada è un ramo collaterale. Il massimo peso del partito è determinato dalle fabbriche e dalle loro cellule».   

Ma fu proprio, paradossalmente, la sinistra a criticare come deviazionismo socialdemocratico la nuova forma d’organizzazione in cellule: «Il frazionamento della classe operaia in gruppi professionali produce lo smarrimento della visione della finalità di classe». Ed a questa si aggiungeva l’altra critica, di favorire la «dittatura di un funzionarismo burocratico», francamente fuori luogo, e infatti respinta dallo Stato Operaio con un articolo dove si sosteneva una tesi opposta: «mentre prima i capigruppo di settore erano nominati dall’alto, dal C.E. della sezione, nella nuova organizzazione essi (erano) invece nominati direttamente dalla base». Con tutta evidenza, paragonando le cellule al gruppo professionale, la sinistra non comprendeva il ruolo delle prime, che era quello di far vivere e operare il partito «direttamente come organizzazione politica fra le masse operaie».

Ed ancora per maggior chiarezza:

Nella cellula, assai più che nel gruppo, si riflette organizzativamente la divisione del lavoro per le varie branche di attività del partito. In quanto la cellula è un’unità politica costitutiva del partito – mentre nel sistema del raggruppamento l’unità-base era la sezione ed il gruppo solo un suo organo funzionante – in essa tutte le forme di attività del partito devono avere il proprio organo specifico […] così, ad esempio, mentre il gruppo comunista di fabbrica nel sistema del raggruppamento, rappresentava un organo della sezione per il lavoro da svolgersi nella fabbrica, la cellula d’officina è essa stessa una piccola sezione ed essa deve occuparsi dell’attività da svolgersi non solo nella fabbrica, ma anche fuori di essa. 

Come si può notare, quindi, il tema su cui maggiormente si insisteva era il distacco tra gli organismi di partito e gli operai. La rappresentazione bordighiana, quindi, del partito come coscienza non corporativa che, proprio per questo, doveva preservarsi in maniera nettamente diversificata dalla vita concreta della classe nel suo rapporto con l’attività produttiva, portava Gramsci a riflettere e a ricordare, in una dispensa della scuola di partito, sui motivi salienti dell’esperienza consiliare sia inglese che italiana che aveva dimostrato «come il terreno industriale si sia rivelato essere il luogo di formazione della consapevolezza politica più avanzata». 

Il travaglio era reale, e una testimonianza ne era data dallo stesso Gramsci, quando al Convegno nazionale di Como si era espresso sulla speranza che gli operai si rivolgessero alle cellule comuniste non solo per le questioni di carattere politico ma anche per la loro difesa sindacale, in sostituzione delle Commissioni interne. Sia detto per inciso, qualche mese dopo, Gramsci sottolineava l’importanza di questa nuova forma di organizzazione nell’orizzonte più ampio nella formazione intellettuale e nell’autonomia politica di classe, ossia dell’intellettuale prodotto autonomamente dalla classe: 

La cellula trasforma ogni membro del partito in un militante attivo assegnando ad ognuno un lavoro pratico e sistematico. Attraverso questo lavoro si crea una nuova classe di dirigenti proletari, legati alla fabbrica, controllati dai compagni di lavoro, in modo cioè da non potersi trasformare in funzionari o in mandarini, fenomeno che si verifica in larga parte in tutti i partiti che hanno conservato la vecchia struttura dei partiti socialisti.

Ulteriori equivoci sul ruolo delle cellule in rapporto ai gruppi comunisti di fabbrica venivano segnalati da una lettera interna al partito, in cui si evidenziava l’importanza della trasformazione sull’attività organizzativa e nel rapporto con le masse operaie. Ma entriamo nel merito di questa interessante testimonianza:

Voi avete già da tempo costituiti i vostri gruppi comunisti nelle fabbriche. Per quanto riguarda, ad esempio, la Centrale Rossi, il vostro gruppo comunista è formato da tutti i compagni e simpatizzanti che, pur essendo iscritti a sezioni di paesi diversi, lavorano in quello stabilimento. Ma quali sono i compiti di quel gruppo? I compiti di quel gruppo sono quelli che a lui sono demandati di volta in volta dalle sezioni alle quali appartengono i suoi singoli componenti, oppure dal Comitato delle Federazioni provinciali o da altro organo inserito nella gerarchia di partito. Il gruppo non ha, perciò, la possibilità di prendere esso stesso, come organo politico, il diritto di prendere delle decisioni, ma deve soltanto eseguire quelle che sono le decisioni degli altri organi del partito.

Tutto ciò dava luogo a molti inconvenienti, il più importante dei quali era l’impossibilità di mantenere un effettivo collegamento tra l’organo politico del partito e gli operai di riferimento. Con la trasformazione del partito sulla base delle cellule: 

Quello che era il gruppo comunista, viene in un primo momento spogliato – organizzativamente – dai simpatizzanti, e poi viene investito dalla capacità deliberativa, vale a dire politica che finora era riservata all’organizzazione (sezione) territoriale. Di conseguenza, a trasformazione del partito avvenuta, tutti gli iscritti al partito – e questi soli – che lavorano alla Centrale Rossi formeranno la cellula, non il gruppo comunista, e questa cellula si riunirà per discutere e decidere su tutta l’attività da svolgere dentro la Centrale Rossi medesima. 

Nei fatti, si ebbe una più diffusa penetrazione tra gli operai qualificati a partire dal 1924, superando quella composizione sociale del Partito, contraddistinta, alle origini, da una certa eterogeneità all’interno della classe lavoratrice e dalla prevalenza di un tipo di lavoratore ancora legato all’artigianato o addetto a mansioni produttive più diffuse in provincia che nei grandi centri industriali. Nel periodo del reclutamento di fine 1924, le cellule dimostrarono, dunque, la loro validità nell’approfondire il rapporto organico con la classe operaia, anche se il positivo giudizio di Togliatti sui risultati raggiunti, deve tener conto di altri fattori, quali la connessione con una situazione di disgregazione degli organismi sindacali tradizionali, con la conseguente difficoltà di espressione dell’autonomia operaia. Le cellule, di fatto, si trovarono a sostituire altri strumenti organizzativi, diventando non casualmente il tramite per una ripresa di attività sindacale con una più diretta influenza comunista. Inoltre, la maggiore copertura che questa nuova struttura organizzativa forniva per sfuggire eventuali identificazioni e atti repressivi da parte della polizia, era un’ulteriore spiegazione della sua diffusione, che comunque, è bene sottolineare, rimaneva in gran parte limitata ai centri industriali e non sostituì completamente l’organizzazione territoriale.

 In generale, possiamo affermare che le cellule colmarono per quanto riguarda il PCd’I, nonostante difficoltà e ritardi, il distacco sopra accennato, tra classe e partito; in più permisero di superare la tendenza del partito «puro», rendendolo, inoltre, meno vulnerabile ai colpi repressivi della polizia proprio «per la sua capacità di nascere e vivere sul tessuto sociale».

Tuttavia nel quadro della trasformazione del partito incentrata sulle cellule, si affermò una tendenza, in seguito confermata, di una maggiore lentezza nelle zone poco industrializzate ad assimilare tale linea organizzativa, mentre a Torino, con più difficoltà a Milano e in alcuni centri liguri, lombardi e del biellese, la crescita risultò maggiore. Sopravvisse inoltre l’organizzazione per gruppi territoriali destinata a raccogliere gli elementi non lavoranti in fabbrica. Il raggruppamento territoriale (cellule di strada, di villaggio, ecc.) rimase poi prevalente nelle località dove l’industria era un’eccezione rispetto all’agricoltura, all’artigianato e alle attività terziarie.

 

03/04/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: @zak_says

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L'Autore

Claudio Gambini

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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