VI lezione del corso di filosofia: l’ultimo Platone e l’introduzione ad Aristotele

Mercoledì 6 ottobre dalle ore 18 alle 20.15, sesta lezione del corso:” Controstoria della filosofia” (II ciclo), tenuto dal professor Renato Caputo per l’Università popolare Antonio Gramsci. La lezione (che si terrà in videoconferenza per gli iscritti all’Università popolare Antonio Gramsci e in diretta facebook al link https://www.facebook.com/unigramsci/) affronterà – in un’ottica marxista – l’ultimo Platone e l’introduzione ad Aristotele.


VI lezione del corso di filosofia: l’ultimo Platone e l’introduzione ad Aristotele

Mercoledì 6 ottobre dalle ore 18 (puntuali) avrà luogo la sesta lezione del corso di filosofia – tenuto dal professor Renato Caputo – intitolato “Controstoria della filosofia da un punto di vista marxista”, secondo ciclo: “Dal comunismo utopistico di Platone al realismo immanente di Aristotele”.

Le Leggi

Vista la mancata traduzione in realtà del progetto di Stato della sua Repubblica, Platone si occupa d’indicare più concretamente un codice che regola minuziosamente in modo razionale la vita dei cittadini, basandosi su princìpi generali: identificazione fra proprietà terriera e diritto di cittadinanza; espulsioni dal corpo sociale di chi pratichi il commercio. Le persone prive di terra saranno trattate come semi-schiave. L’educazione dei cittadini è regolata dallo Stato. Il culto della religione ufficiale deve essere obbligatorio come garanzia dell’ordine pubblico. Il potere esecutivo e legislativo sarà posto sotto un consiglio di dieci cittadini, scelti tra i più saggi. Nelle Leggi si esprime la sfiducia nella possibilità di educare progressivamente il corpo sociale. All’educazione subentra la forza coercitiva della legge, la teologia dogmatica, il consiglio notturno che vigila e punisce chi metta in discussione l’ordine immutabile dello Stato. Tale Stato teocratico è di più facile realizzazione della Repubblica, ma come dimostrano le esperienze di Siracusa, in esso non può riconoscersi l’esigenza prioritaria di Platone di ritrovare una stretta relazione fra le strutture dello Stato e il sistema del sapere.

Il bene come Uno e le “dottrine non scritte” di Platone

Negli ultimi anni Platone ha fatto del bene un principio d’ordine del mondo scientificamente analizzabile e il principio regolatore della società mediante un corpo di leggi a esso ispirate. Di quest’ultimo abbiamo già parlato, mentre del bene come principio d’ordine Platone ha trattato nel Filebo, nel Parmenide e nelle dottrine non scritte.

Il bene nelle strutture del mondo fenomenico quale principio di determinazione

Nel Filebo il Bene non è più posto al di sopra dell’essere e delle idee, ma è calato nella struttura delle realtà empiriche, molteplici e in divenire. In quanto ognuna di esse, oltre al disordine e alla mutevolezza propri del tempo e delle materia, presenta un aspetto di unità, di individuazione e ciò si deve all’azione del Bene, che è in ogni cosa il principio di determinazione e di senso. Il bene è il limite che controbilancia nel mondo l’indeterminazione e il disordine. In tal modo si restringe l’opposizione fra mondo empirico e ideale e diviene possibile costruire un programma di comprensione razionale del mondo empirico basato sulle matematiche, scienze del limite per eccellenza, e la dialettica che diviene la scienza dei rapporti fra il principio, il Bene-limite, e le cose del mondo.

Il bene come Uno che rende comprensibile i fenomeni

Il bene è principio di unità del mondo e come tale è esterno e prioritario rispetto alla molteplicità delle idee e delle cose empiriche, ma agisce pure in ognuna di esse, perché idee e cose pur essendo molteplici sono unitarie, determinate, non confuse in una pluralità indiscriminata. Perciò Platone definisce il Bene come Uno, in quanto ogni idea o cosa ha in sé il suo senso e il suo principio di valore nella sua intrinseca unità, quale aspetto stabile della propria natura. Tale presenza del bene rende il mondo relativamente ordinato e, quindi, comprensibile razionalmente.

La superiorità della lingua parlata sulla lingua scritta: il Fedro

Sulla scia di Socrate, anche Platone ha affermato nel Fedro la superiorità della lingua parlata sulla scritta. Perciò si pensa che Platone affiancasse alle opere scritte delle lezioni orali in cui affrontasse in modo, addirittura più sistematico e approfondito, le idee dei grandi opere della maturità. In esse Platone avrebbe esposto una genesi del mondo non mitologica come quella illustrata nel Timeo. Secondo tale concezione all’origine del mondo vi sarebbero due princìpi: l’Uno (il bene) e la Diade infinita, da cui origina la molteplicità. L’azione della Diade frammenta l’unità dell’Uno. I due princìpi agiscono in ogni singolo ente, che è sempre al contempo unitario, ma diviso in parti. Il rapporto Uno-Diade genera in primo luogo le idee numeri, ossia delle idee generalissime. Da cui deriverebbero le altre idee e gli enti matematici, da cui deriverebbe, infine, la realtà empirica. In tale costruzione metafisica molto forte è l’eredità pitagorica. La dialettica diviene una sorta di matematica filosofica, che indaga l’ordine strutturale del mondo. Perciò Aristotele accuserà i platonici di aver finito per trasformare la filosofia in matematica.

Il dibattito sulle presunte dottrine non scritte

Diversi studiosi negano l’esistenza o la rilevanza delle presunte dottrine non-scritte. Altri, al contrario, le considerano addirittura l’ultima parola di Platone, che avrebbe superato la filosofia esposta nei dialoghi. Altri, infine, le considerano uno degli esperimenti intellettuali di Platone per chiarire il rapporto fra Bene, idee ed enti empirici, mediante i quali avrebbe reso la dialettica la scienza in grado di cogliere gli elementi di ordine e stabilità nel divenire della realtà nella sua molteplicità.

L’intento sistematico in funzione pedagogica

Se Platone è il primo grande filosofo, Aristotele (Stagira 384 a.C. – Eubea 321 a.C.) è senza dubbio il primo “professore di filosofia”. Egli tenta di organizzare tutto il campo del sapere in modo coerente e sistematico, al fine di rendere disponibile questo immenso patrimonio alle future generazioni. Se Platone intende indirizzare le anime verso l’amore per la filosofia, Aristotele compone i suoi trattati con l’obiettivo di insegnare. Comunque nonostante le differenze, che non si limitano a quella ora enunciata, Aristotele non cessa mai di sentirsi un “platonico”, egli è stato pur sempre discepolo di Platone, alternativi a Platone sono piuttosto i sofisti e Democrito.

Il contesto storico e politico

Per comprendere il pensiero di Aristotele, oltre che ripercorrere le fasi più importanti della sua vita occorre gettare uno sguardo al periodo storico in cui vive: siamo alla metà del IV secolo, assistiamo alla crisi della polis: le città greche cadranno sotto la potenza macedone e ciò provocherà l’asservimento della Grecia e la perdita della libertà. Il cittadino non è più coinvolto nella vita politica dello Stato ma asservito a un organismo statale, diviene così suddito; ciò comporta la perdita della passione politica e l’emergere di nuovi interessi – conoscitivi ed etici – questo aspetto è presente anche in Aristotele.

Vita di Aristotele

Aristotele nasce a Stagira nel 384 a.C., a 17 anni entra nell’Accademia platonica e vi rimane 20 anni – prima come allievo, poi come collaboratore di Platone – fino alla morte del maestro, visto che in quanto meteco non poteva prenderne la direzione che passa a Speusippo. Viene chiamato da Filippo di Macedonia a fare il precettore di Alessandro, al quale insegna la superiorità della cultura greca; Alessandro però si comporterà diversamente tentando una sintesi con la cultura orientale. Nel 335 Aristotele ritorna ad Atene, ormai sotto il controllo dei macedoni, e vi fonda il Liceo, chiamato Peripato per la presenza di una passeggiata. Con la morte di Alessandro nel 323 a.C. ad Atene riprende vigore il partito antimacedone e Aristotele è costretto ad abbandonare la città trasferendosi nell’isola di Eubea, dove muore nel 322 a.C.

Gli scritti essoterici ed esoterici

Gli scritti di Aristotele si dividono in a) essoterici, ossia destinati a un vasto pubblico, di cui abbiamo solo qualche frammento, composti sul modello dei dialoghi platonici – probabilmente non sono stati trascritti in quanto considerati inferiori a quelli platonici; b) esoterici o acroamatici, destinati all’insegnamento, ci sono pervenuti tutti anche se non sono pensati e composti per essere pubblicati. Si tratta di appunti e schemi di ausilio all’insegnamento. Perciò il corpus aristotelico ci è pervenuto non nella forma che vi ha dato l’autore, ma in quella data da un suo seguace, Andronico da Rodi, vissuto nel I sec. a.C., che ha ordinato e raggruppato, dopo la riscoperta, le opere secondo una certa sequenza.

Il distacco da Platone

Mentre Platone è convinto della finalità politica della conoscenza e ritiene che il filosofo debba essere il reggitore e il legislatore dello stato, Aristotele fissa lo scopo della filosofia nella conoscenza disinteressata del reale e vede il filosofo come un sapiente, come uno scienziato-professore dedito alla ricerca e all’insegnamento. Se in Platone prevale il momento politico-educativo, in Aristotele predomina il momento conoscitivo e scientifico.

Il realismo e l’immanentismo di Aristotele

Platone ha fondato la filosofia come ambito di sapere autonomo, con una specifica forma di razionalità; per Aristotele separare la filosofia dal mondo in cui gli uomini vivono, considerarla un sapere autonomo e alternativo – il mondo delle idee – e pretendere che la filosofia abbia il diritto di cambiare radicalmente il modo di vita tradizionale degli uomini, evocare scenari estranei al comune patrimonio di conoscenze – la genesi demiurgica del mondo, l’immortalità dell’anima – rischia di rinchiudere la filosofia in una specie di ghetto, nobile, ma lontano dalla realtà della vita. Per Aristotele la filosofia deve abitare nel nostro mondo e non in un proprio mondo a parte. La filosofia non deve cambiare il mondo né inventare nuovi mondi possibili, ma comprendere e spiegare il solo mondo esistente, comprendendone le cause, le ragioni. In questo modo, la filosofia non risulta più separata dal mondo, torna ad abitare nel campo dei saperi sulla natura e sull’uomo; ma in quanto capace di organizzare e chiarificare questi saperi mantiene la supremazia sulle conoscenze come voleva Platone, ma non si presenta come radicale e alternativa rispetto a esse e rinuncia all’ambizione di governare direttamente la vita degli uomini. Il primato della filosofia è in Aristotele meno ambizioso e più misurato rispetto a Platone.

La filosofia come scienza prima e l’autonomia delle scienze

Platone assegnava alla filosofia una valenza universale e un’egemonia nei confronti delle altre discipline, sulla base di una struttura verticale del sapere fondata sulla opposizione verità–apparenza. Invece per Aristotele tutte le scienze hanno una loro dignità e autonomia, hanno oggetti di studio diversi, si basano su princìpi propri e nel loro insieme formano un’enciclopedia del sapere che rispecchia tutti gli aspetti dell’essere. Per Aristotele mentre tutte le scienze si occupano di vari aspetti della realtà e dell’essere, la filosofia si interroga sulla realtà e l’essere in generale, quindi unifica e organizza le altre scienze. La filosofia è la scienza prima, la regina delle scienze, ma ciò non pregiudica l’autonomia delle scienze. Tale concezione è condizionata dalla situazione storica, caratterizzata da una molteplicità di scienze particolari in espansione.

La partizione degli scritti di Aristotele

La divisione degli scritti di Aristotele segue scrupolosamente la classificazione delle scienze prospettata da Aristotele. Dopo le opere di logica (che non fanno parte dell’enciclopedia delle scienze), le scienze si succedono divise in tre parti: 1) scienze teoretiche (fisica, cosmologia, biologia, matematica, metafisica); 2) scienze pratiche (etica e politica); 3) scienze poietiche (arti e tecnica); mentre le prime riguardano il necessario (ciò che non può non essere), le seconde e le terze riguardano il possibile (ciò che può essere diverso da com’è).

Lo spirito sistematico di Aristotele

Un’ulteriore differenza tra Platone e Aristotele è il metodo del filosofare. Il metodo di Platone è aperto (fatto di interrogativi e soluzioni, ha una struttura dialogica e si esprime con un linguaggio poetico) mentre il metodo di Aristotele è scolasticamente chiuso, fisso e sistematico. Platone ha uno spiccato interesse per la matematica, Aristotele, curioso osservatore, ha maggiore interesse per la fisica, non a caso è figlio di un medico.

Tuttavia il sistema di Aristotele presenta forti nessi di continuità con quello di Platone.

La metafisica

La critica al dualismo platonico, è in realtà più rivolta ai platonici che a Platone; negli anni della vecchiaia, infatti, Platone aveva ripensato la teoria della idee, proprio nel periodo in cui Aristotele era suo allievo. Per Aristotele, Platone introduce le idee per spiegare la realtà, per cogliere le cause degli esseri sensibili introduce entità sovrasensibili in numero uguale rispetto agli esseri sensibili: in questo modo le idee invece di unificare la realtà finiscono per complicarla.

01/10/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

L'Autore

Renato Caputo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: