Secondo uno dei più grandi maestri del Teatro moderno inglese, Graham Vick, il teatro “può e deve avere una forte valenza politica e sociale, ed essere un mezzo di cambiamento se non di rivoluzione”.
Dalle parole del recentemente scomparso regista si può evincere quella che è la funzione pedagogica dell’arte teatrale: il cambiamento sociale. Che questo cambiamento sia di impronta rivoluzionaria lo spiega la stessa ratio del Teatro nei suoi elementi prettamente costitutivi, uno su tutti il non essere un mero intrattenimento di massa, com’è invece il cinema. Tutto ciò non per palesare un apprezzamento ad un’eventuale settarismo, bensì per intendere che l’arte teatrale non può e non deve coinvolgere le masse, ma s’incarica altresì di formare ed istruire l’avanguardia che avrà poi il compito di direzionare le masse e svegliare il loro la coscienza di classe.
E proprio nella storia e nell’evoluzione del Teatro s’intuisce questa funzione, che non è stata però mai applicata pedissequamente ed ostinatamente: l’attore è sempre stato interprete di un testo che aveva magari, sì, insita in sé un’acuta critica sociale, ma che si sviluppava nel cerchio di una retorica talvolta fine a sé stessa, non tanto per l’irrilevanza dei testi (anzi, molti di questi erano invece vera e propria avanguardia per i tempi in cui sono stati scritti), quanto per una lacuna culturale e sociale che inficiava sia l’interpretazione degli attori sia la ricezione dei messaggi rivoluzionari da parte del pubblico.
Dunque, il testo deve essere solo lo strumento di diffusione degli ideali rivoluzionari, ma il vero arduo lavoro va svolto dall’attore, il quale deve farsi portavoce dell’idea di avanguardia, e pertanto veicolare il pubblico osservante verso i princìpi espressi dal testo.
È d’uopo perciò che l’attore si immedesimi anima e corpo all’interno del personaggio, ne entri in piena e simbiotica empatia, per parlare con le sue stesse idee. L’attore e il personaggio devono, nell’arco della rappresentazione, diventare una sola entità, solo così – accompagnandosi con un testo che propugni ideali avanguardistici e rivoluzionari – può verificarsi la pedagogia del Teatro come strumento di rivoluzione e cambiamento sociale.
Il Teatro è sempre stato del resto un mezzo di critica contro l’oppressione liberticida che fin dagli albori ha suddiviso l’umanità in sfruttatori e sfruttati: il classicismo del teatro greco di Aristofane, che ne “Gli Acarnesi” – dietro la velata maschera di scanzonata commedia – proponeva un messaggio antibellico ed, a suo modo, antimperialista. Così si passa per l’epoca barocca dei drammi shakespeariani, in cui personaggi come Shylock e Otello rappresentano il punto più alto di rivalsa degli oppressi nei confronti degli oppressori. Infine, in epoca moderna, tale funzione è stata assunta in forme diverse, sottolineando una critica sociale per mezzo del surrealismo, come nella celeberrima opera Aspettando Godot di Samuel Beckett, o del futurismo, come nel caso del poeta socialista Majakovskij, o ancora del teatro di immortali maestri come Mejerchol'd e Stanislavsky, esponenti della più nobile opposizione all deriva totalitaria del regime stalinista.
Di qualunque forma possa essere, la natura del Teatro ha sempre assunto connotati di una sola, chiara ed irreprensibile parola: rivoluzione.