Incompreso fra gli incompresi, specie per i suoi contemporanei. Definito un «autore di canzoncine ironiche, scherzose e scanzonate» da Maurizio Costanzo, presentatore televisivo P2ista, da altri liquidato come un paladino del non-sense e marchiato come cantastorie di infimo valore. Criticato, deriso, maledetto.
Tutto questo ha segnato la carriera del cantautore italiano Rino Gaetano, nome d’arte di Salvatore Antonio Gaetano, ormai entrato nell’Olimpo degli immortali della storia musicale nostrana.
Di radici calabresi, nato a Crotone il 29 ottobre del 1950, in quel Sud da lui tanto amato e narrato nei suoi brani in una cornice bucolica di ispirazione virgiliana, trasferitosi a Roma con la famiglia all’età di 10 anni, il giovane Salvatore comincia a frequentare gli ambienti della cultura cantautoriale romana: il Folkstudio fra tutti - locale dove si esibivano artisti come Antonello Venditti - ma anche i collettivi studenteschi e i festival canori, entrando in contatto con quella cultura di tradizione popolare e folkloristica che animerà lo spirito della sua musica e della sua poetica.
Sicuramente il suo lavoro più politicamente schierato resta l’album di debutto, ossia “Ingresso Libero”. Non è ancora pienamente matura la sua capacità compositiva, ma i temi di critica sociale come l’emarginazione alienante dei migranti meridionali e l’imborghesimento della classe lavoratrice utilitaristica la fanno da padroni su tutto il disco.
Ma è con il singolo “Ma il cielo è sempre più blu” che l’anima gaetaniana viene fuori e si concretizza nel dualismo che, da lì in poi, avrebbe caratterizzato le sue canzoni: un’equilibrata dicotomia fra la critica sociale ed il faceto. La canzone, apparentemente snocciolante una serie di frasi e identificazioni di soggetti non-sense, offre invece uno spunto di impegno politico vivo ed ardente. “Ma il cielo è sempre più blu” è infatti un ritratto, un ritratto di quadri di vita tristi, mediocri: chi vive in povertà, chi nella ricchezza ignorante dell’altrui povertà; o ancora chi vive in posti che di per sé sono disagiati (con riferimento sempre presente alla Questione del Mezzogiorno), o chi è costretto per mancanza di soldi a tornare a vivere dai genitori, o chi si emargina e rompe con tutti. Insomma, un dipinto di una società pessimisticamente reale, cinica, che vive nella tristezza nonostante il cielo sia sempre più blu (simbolo di serenità e, probabilmente, di gaudio e pace).
Tuttavia, nella produzione di Gaetano, possiamo anche ritrovarvi un’accesa satira verso i personaggi dell’attualità degli anni ‘70: dapprima, vengono citati in modo astratto, quasi impercettibile (così, nel brano “Berta Filava”, Berta non è altro che la figura di Aldo Moro, che tesse il vestito del Santo - ossia gli accordi del Compromesso Storico - che andava sul rogo, ossia Enrico Berlinguer che divenne bersaglio di critiche da parte di tutti i comunisti rivoluzionari e anti-sistema); in altri casi invece, Rino Gaetano fa proprio nomi e cognomi degli interessati. È il caso del famoso brano “Nuntereggae più”, il quale, oltre che per l’introduzione dello stile reggae sul panorama musicale italiano, viene ricordato per essere stata la prima canzone a menzionare tutta una serie di personaggi famosi della quotidianità italiana, simboli incontrastati di quello che era il sistema politico e sociale dell’Italia repubblicana, per nome e cognome (Maurizio Costanzo, Mike Bongiorno, Paolo Villaggio, Raffaella Carrà, Francesco Guccini, Gianni Agnelli ecc.), tutti questi al ritornello di «nuntereggae più!», dal chiaro significato esplicativo.
Infine, quasi a costituire un sunto finale della carriera del cantautore calabrese - a breve morente nel tragico incidente stradale del 2 giugno 1981 - ci fu il suo ultimo brano inciso su album, ultimo peraltro anche dei brani che cantò dal vivo, ossia “Scusa Mary”. Il testo narra la storia di due innamorati che vengono segnati dagli accadimenti politici dei tempi che stanno vivendo (il golpe dei colonnelli in Grecia, la Primavera di Praga, la Guerra in Vietnam, l’uccisione di Martin Luther King), per concludere con la descrizione del tentato Golpe Borghese, avvenuto fra il 7 e l’8 dicembre del 1970.
Dopo aver eseguito questa canzone dal vivo il 31 maggio del 1981, Rino Gaetano troverà la morte a distanza di due giorni. Molte sono ancora le vicende poco chiare che hanno contraddistinto la dipartita del cantautore, ma una cosa è certa: Rino Gaetano era inviso e scomodo a diverse personalità di spicco sia del panorama d’intrattenimento, sia di quello politico italiano. Nonostante la sua morte e la sua minimalizzazione ad artista “di Serie B” lo abbiano, per diverso tempo, condannato ad una implicita damnatio memoriae, oggi le canzoni di Rino Gaetano stanno via via venendo riscoperte e rivalutate.
Fuori da ogni schema, disinteressato da ogni qual forma di popolarità: questo era Rino Gaetano, poeta eterno della libertà.
«C'è qualcuno che vuole mettermi il bavaglio. Io non li temo. Non ci riusciranno. Sento che, in futuro, le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni che, grazie alla comunicazione di massa, capiranno che cosa voglio dire questa sera. Capiranno e apriranno gli occhi, anziché averli pieni di sale, e si chiederanno cosa succedeva sulla spiaggia di Capocotta.» (Rino Gaetano)