Cosa manca alla scuola ai tempi della DaD?

La didattica a distanza è realmente necessaria? Tanti contro e pochi, o addirittura, nessun punto a favore per giustificare il suo proseguimento.


Cosa manca alla scuola ai tempi della DaD?

Potrebbe apparire un argomento scontato e assodato già dopo i primi tempi della DAD (didattica a distanza): gli studenti, come gli insegnanti d’altronde, si trovano privati del motore più efficace e dello stimolo più incalzante di qualsiasi mezzo tecnologico ovvero il contatto umano. Tra i due attori – docenti e studenti – vi è stata, generalmente, una feconda collaborazione, un impegno zelante, nonostante lo scarso stimolo e le oggettive difficoltà determinate dallo strumento.

I docenti, compresi i ferventi sostenitori della superiorità del libro di testo e della lavagna a gessetti, si sono adeguati alle nuove esigenze necessarie alla didattica da remoto, scaricando materiale online o addirittura creando presentazioni multimediali e organizzando prove “rivoluzionarie” digitali, con tanto di interazione tramite piattaforme dedicate. Non sono mancate, tuttavia, polemiche su alcuni metodi estremi come la bendatura dell’interrogato, per evitare che l’occhio cadesse su appunti comodamente appesi alla parete, o multiple telecamere per riprendere da diverse angolazioni il malcapitato.

Dalla parte dello studente, invece, si temeva, considerando anche la scarsa chiarezza iniziale delle misure promulgate e la possibilità di non possedere i mezzi per il collegamento online, una esigua partecipazione, circoscritta a una minoranza definita dal filtro delle disponibilità economiche e del tipo di scuola: un istituto alberghiero, per esempio, prevede un numero prestabilito di attività – dal catering ai servizi in sala e in cucina – inattuabili online, che vede drasticamente diminuite le ore scolastiche nelle materie di indirizzo e, probabilmente, riguarda anche altre tipologie di istituti. A ogni modo, la risposta degli studenti è stata complessivamente positiva: si sono dimostrati inclini, come gli insegnanti, ad accogliere nuove forme di apprendimento, e di insegnamento, in un periodo altrettanto nuovo e sconosciuto. E allora da dove nasce l’urgenza indifferibile di tornare alla DiP (didattica in presenza)? Per insegnanti e studenti, risulta estenuante e frustrante perseverare – nonostante vada rivolto un doveroso ringraziamento all’amica tecnologia che ha permesso di garantire, laddove possibile, la continuità dell’attività didattica – con delle soluzioni accolte solo come provvisorie e assolutamente temporanee, con una didattica sempre più “distante” e “distanziante”. La morale maturata – a quasi un anno di didattica a distanza – ha in sé un duplice valore: se da una parte ha evidenziato la fedeltà ai propri impegni, la tenacia dei membri scolastici e una pazienza sconfinata ed estenuata dalle difficoltà sociali ed economiche, dall’altra si è compresa l’inadeguatezza di una didattica priva del contatto umano, da cui dovrebbe scaturire la passione e lo stimolo di studenti e insegnanti. 

Non si tratta di un capriccio, come molti hanno pensato, dettato dall’incoscienza giovanile, ad aver mosso le manifestazioni studentesche in Italia, ma un grido di allarme – levatosi anche da ristoratori e altri lavoratori, in precedenza – con l’intento di richiamare l’attenzione e rappresentare il proprio malcontento, in assenza di misure che tengano conto delle peculiarità di ciascuna comunità, siano ristoratori, commessi o studenti.

Si cerca un dialogo tra scuola e istituzioni, volto al compromesso tra le norme anti-covid e il desiderio/necessità di tornare a una condizione che permetta la connessione umana e culturale piena, possibile solo tramite il riconoscimento fisico e diretto delle proprie inclinazioni, delle proprie difficoltà, per riaccendere quella fiamma ormai fioca, che dovrebbe guidare il percorso formativo di uno studente e il lavoro di un insegnante: la passione.

15/01/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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