Verso un nuovo mondo: due punti di vista

La sconfitta dell’unipolarismo statunitense sarebbe certo un fatto positivo, ma l’ipotesi di un mondo multipolare o multilaterale presenta molte questioni irrisolte.


Verso un nuovo mondo: due punti di vista

Gli europeisti convinti esultano: non siamo più dipendenti dalle risorse energetiche russe. Affermazione falsa, perché come tutti sanno in forme diverse queste affluiscono ancora largamente nell’Unione europea in varie forme, tanto che il saggio Borrell ha riconosciuto che l’India, per esempio, ci invia il diesel, prodotto dal petrolio russo raffinato nel grande paese asiatico e poi etichettato come “indiano”. Il grande diplomatico ha ammesso che ciò è legale, ma immorale (?) e che bisognerà trovare il modo di farla pagare ai russi. Come resta un mistero.

Comunque, dato che il regime di autarchia è impraticabile – come scrive Vijaj Prashad (Can the European Leg of the Triad Break Free from the Atlantic Alliance? The Twenty-Fifth Newsletter, 2023)– la guerra in Ucraina e la spirale di sanzioni e controsanzioni, emanate senza posa dal cosiddetto Occidente, hanno spezzato il legame Russia-Europa, quest’ultima ora è diventata ancora più dipendente dagli Usa, i quali nel 2022 le hanno venduto a caro prezzo più della metà del loro gas liquefatto, meno efficiente e più inquinante del gas naturale russo. Naturalmente questa folle scelta accresce la capacità statunitense di fare pressione sulle loro incoscienti pedine,  minacciando di lasciarle senza il gas necessario a far funzionare la già sgangherata società europea. 

Come se tutto ciò non bastasse, la legge di riduzione dell’inflazione (2022) e quella sui Chip a la Scienza, volute dall’inconsistente Biden, prevedono centinaia di miliardi di dollari in sussidi a chi investirà negli Usa, soprattutto se questi faranno uso di energia pulita e se produrranno semiconduttori, indispensabili per la alta tecnologia. Macron ed altri hanno fatto presente che tali incentivi daranno un ulteriore impulso al processo di deindustrializzazione europeo, avviato da vari decenni. E in effetti, la nota corporazione Tesla ha deciso di costruire negli Usa la sua fabbrica di batterie, che avrebbe dovuto aver sede in Germania; la Volkswagen impianterà un’industria analoga in Canada invece che costruirla nell’Europa orientale, per ricevere gli agognati sussidi.

Dopo aver ridotto l’Iraq (e non solo) all’età della pietra, tocca agli europei tornare indietro nel tempo di migliaia e migliaia di anni, e certamente nessuno di loro avrà le capacità intellettuali, di cui sono chiaramente privi i loro sciagurati discendenti, di affrescare misteriose caverne con le straordinarie immagini dell’arte paleolitica.

L’UE dipende dagli Usa anche nell’ambito digitale. Due leggi (2018 US Clarifying Lawful Overseas Use of Data Act e il 1978 US Foreign Intelligence Surveillance Act) permettono alle società Usa accesso aperto al Sistema di telecomunicazioni europee, consentendo loro di spiare i cittadini europei e i loro governanti (si pensi al caso Merkel).

Sempre nella prospettiva della sorveglianza del nostro continente, gli Usa hanno tessuto una rete di controllo militare sull’Europa, basata sulla presenza di 200 basi e 60.000 soldati; inoltre, i paesi della NATO operano per loro difesa in una relazione complementare con i loro padroni e non possono agire in maniera indipendente. L’antipatica Madeleine Albrigth, ex segretaria di Stato, passata a miglior vita, riassumeva la strategia Usa, definendola le tre D. Questa consiste nel divieto di de-linking (distaccarsi) dalle decisioni prese dalla NATO, di duplicare le sue azioni, di discriminare i membri non europei. Inoltre, per consolidare la dipendenza dei paesi europei, gli Stati Uniti non hanno informato questi ultimi sulle più importanti tecnologie militari, come per esempio i dati e i software collegati ai caccia F-35 da loro comprati. 

È noto al senso comune che quando si concede a qualcuno un dito (e all’Europa è stato naturalmente concesso molto di più), questi vuole anche il braccio. E in effetti ora gli Usa stanno cercando di convincere le élite europee a distaccarsi dalla Cina e dalla sua fiorente economia (il cosiddetto decoupling). Se ciò accadesse, cosa del resto che sembra impossibile, danneggerebbe irreparabilmente gli interessi della popolazione europea. A vantaggio di quest’ultima, la classe dirigente dovrebbe, invece, secondo Prashad sviluppare una politica estera autonoma, che alimenti la cooperazione internazionale e stabilisca un diverso sistema di relazioni con i vari paesi del mondo. Insomma, per gli Usa vale il principio “o con me o contro me”, senza nessuna mediazione o sfumatura.

Del resto, su questa questione cruciale la élite europea ha un atteggiamento contraddittorio con Macron, per esempio, che è arrivato ad affermare la necessità dell’autonomia strategica della UE, e con la Meloni che vuole rompere l’accordo, siglato dal governo Conte, sulla famosa via della seta. Nel 2020 la Cina rappresentava il nostro maggiore partner commerciale, e nel 2022 era il maggiore esportatore verso l’Europa e il terzo mercato di merci importate dal vecchio continente. Limitare il commercio con la Cina avrà gravi ripercussioni su tutta l’economia europea e accrescerà la dipendenza dagli Usa, che si è visto in ascesa anche negli altri campi. A ciò aggiungiamo che l’allontanamento dalla Cina renderà sempre più complicati i rapporti che, vuoi o non vuoi, dobbiamo intrattenere con giganti come India, Brasile, Sud Africa, che si volgono ad essa con simpatia. Ma le élite europee difendono gli interessi del complesso militare industriale e hanno già organizzano forum per spartirsi i guadagni tratti dalla futura ricostruzione dell’Ucraina, mentre potenti corporazioni si sono appropriate delle famose terre nere, i cui frutti dovranno ripagare i debiti millenari dell’Ucraina.

Quanto alla classe dirigente Usa, sembra proprio che brancoli nel buio: Anthony Blinken viene spedito a Pechino dove è ricevuto con tutti gli onori e dove forse è riuscito a stabilire rapporti più amichevoli con l’ex impero celeste, considerato il più pericoloso nemico del mondo libero, ma il giorno dopo lo smemorato Biden dichiara che Xi Jinping è un dittatore, mandando a rotoli i risultati forse ottenuti dal suo segretario. 

Come è noto, in questi giorni si è svolto l’affare Prigozhin, dovuto molto probabilmente al fatto che le milizie private di quest’ultimo, come le altre esistenti, debbono sottoporsi entro il primo luglio al Ministero della difesa, con conseguente perdita di  autonomia e di indipendenza, del resto già limitata; ipotesi inaccettabile da parte dell’irascibile miliardario, che ha intrapreso una sorta di marcia su Mosca, finita nel nulla, inveendo contro il ministro della difesa Shoigu e il Capo dello Stato maggiore Gerasimov per il non efficace andamento dell’operazione speciale. Comunque, questi eventi hanno riacceso qualche speranza nei nemici della Russia, che si sono immediatamente dichiarati estranei ai fatti ed hanno anche vaticinato la fine del potere di Putin e il suo indebolimento. Un’analisi dettagliata di questi ultimi eventi, benché inevitabilmente non conclusiva, si può leggere nell’editoriale di Cumpanis, in cui Fosco Giannini intervista Evgeny Utkin, già Docente di Matematica ed Economia all’Università Lomonosov di Mosca.

Su questi temi si è espresso recentemente Serguey Karaganov, docente di Economia mondiale, consigliere di Putin e a suo tempo membro della trista Trilaterale, il quale ha ribadito, come aveva già fatto in passato, che i legami russo-occidentali sono ormai stati frantumati. In una sua lunga intervista, rilasciata a Business on line, ha fatto anche presente che la élite russa è stata “nazionalizzata”, e che quindi sono stati epurati molti miliardari che guardavano con interesse all’occidente per coltivare i loro propri interessi. Si pensi a un tipo come Michail Borisovič Chodorkovskij, finanziatore in esilio dell’opposizione, sostenitore aperto del capo della Wagner, l’azione del quale renderebbe possibile a suo parere l’instaurazione della “democrazia”, ossia l’alimentazione dei grandi affari della borghesia compradora russa, come la definisce lo stesso Karaganov.

Si potrebbe anche pensare che il riassorbimento delle milizie private, presenti  anche in paesi come Usa, UK, Francia, e la pulizia tra i miliardari costituiscano fattori scatenanti l’ira di Prigozhin, che però non hanno incendiato né i politici né il popolo russo.

Karaganov reputa che la guerra tra la Russia e la Nato poteva essere evitata, se i russi fossero intervenuti prima, ma ora bisogna riconoscere che, vuoi o non vuoi, essa ha dato il via all’insorgere di un nuovo mondo, in cui il neocolonialismo occidentale sta per essere sconfitto e ogni paese si sta affrancando dall’antica dipendenza. A suo parere il grande problema è quello di convincere gli occidentali ad abbandonare la politica della ricerca dell’aspro confronto orientata al mantenimento della loro supremazia e ad accettare una posizione più modesta nell’ordine internazionale. Egli non esclude che l’attuale scontro possa condurci alla Terza guerra mondiale, che sarebbe ovviamente una tragedia per tutti, e d’altra parte – dobbiamo riconoscerlo – Putin non ha reagito alle numerosissime provocazioni provenienti dall’Occidente, come i vari attentati terroristici, mostrando la sua moderazione. A suo avviso la soluzione della guerra sta nella neutralità dell’Ucraina, come era stato previsto negli accordi intercorsi dopo la dissoluzione dell’URSS, ma al bellicismo europeo ciò sembra inaccettabile, benché i primi a pagare le conseguenze disastrose della guerra siano proprio gli ucraini. 

Se da un lato Prashad auspica un mondo futuro basato sulla collaborazione, dall’altro Karaganov immagina un mondo “multicolorato e multidimensionale”, in cui ogni paese riacquisti la sovranità e costruisca una politica estera a vantaggio del suo popolo. A suo avviso questo nuovo mondo dovrebbe essere basato su quei valori umani universali, che l’Occidente ritiene sua unica proprietà, ma che di fatto continuamente tradisce. Invece, rifacendosi alla sua tradizione cristiano-ortodossa, la Russia si propone oggi come colei che difende questi valori senza il rispetto dei quali andremo verso la negazione della nostra umanità. Restiamo Umani, afferma Karaganov. Ed è interessante che i cosiddetti sovranisti, paventando un mondo, in cui tutti i nostri tratti umani sono e saranno manipolati sino all’orientamento esterno delle nostre parti più intime, concordino con questa visione, considerando paradossalmente la Russia il vero baluardo dei fondamenti della civiltà occidentale. Karaganov e i sovranisti sbagliano nel considerare quei valori come entità astoriche e universali, perché essi hanno una storia complessa radicata nell’antichità, non solamente greco-romana. Possiamo vedere il loro primo germoglio nel famoso verso di Terenzio: “Homo sum, humani nihil a me alienum puto”. 

Come Putin l’esperto russo ritiene che l’attuale forma di capitalismo dominante sia profondamente ingiusta e che il risultato del conflitto Russia / Occidente comporterà un’equa redistribuzione della ricchezza verso coloro che fino ad oggi ne sono stati depredati. A suo parere ciò sta già avvenendo in Russia, dove essa viene redistribuita tra coloro che sono importanti per il paese: scienziati, militari, ingegneri, famiglie con bambini etc., e dunque dove si praticherebbe una maggiore giustizia sociale.

Sicuramente anche noi auspichiamo un mondo diverso e più equo, ma vogliamo sottolineare che per costruirlo non è sufficiente convincere gli altri della bontà delle proprie idee, bisogna piuttosto tenere conto di alcuni fattori: 1) se c’è una legge che governa la storia, questa deve essere identificata nel fatto che essa si svolge secondo i rapporti di forza tra le diverse entità esistenti; 2) i futuri paesi multicolori saranno tra loro disomogenei per molte ragioni, per cui inevitabilmente i più deboli saranno “orientati” dai più forti; 3) in ogni paese presente nel mondo contemporaneo il dominio sta nelle mano di un’élite più o meno illuminata (del tutto cieca nell’occidente), sostanzialmente non controllato dalle masse, i cui interessi non sempre coincidono con quelli della prima. Se queste premesse sono tutte valide, come credo, la società giusta e equa potrà sorgere solo nel momento in cui la maggioranza della popolazione mondiale, ossia chi vende la sua forza lavoro, prenderà nelle sue mani le decisioni cruciali, dalle quali dipenderà lo stesso destino dell’umanità. Si dirà: un’impresa colossale verso la quale certamente la sconfitta dell’imperialismo Usa costituisce un primo passo. Ma successivamente si delineeranno questioni ugualmente colossali. 

Concludendo, vorrei citare le parole del sociologo statunitense, John Bellamy Foster, il quale sostiene che è indispensabile “promuovere un movimento globale dal basso più “audace” in cui la sfida chiave sarà lo smantellamento dell'imperialismo, inteso come l'intera base del capitalismo nel nostro tempo – con l'obiettivo di creare un sistema più orizzontale, egualitario, pacifico e sostenibile ordine socio-metabolico controllato dai produttori associati” (trad. mia, The New Imperialism of Globalized Monopolized-Financed Capital, Montly Review, 1 luglio 2015).  

 

08/07/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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