La prima “conferenza anti-BDS” organizzata in Israele ha raccolto esponenti di tutte le formazioni politiche del parlamento, venuti a ostentare il loro impegno nella lotta contro i boicottaggi. E così facendo, sono riusciti a dimostrare fino a che punto il movimento di boicottaggio è efficace.
di Piattaforma "Pour la Palestine"*
Cosa contano gli sforzi dei partecipanti a questa conferenza per minimizzare l’importanza di BDS? Sta di fatto che la loro partecipazione e i loro discorsi costituiscono una chiara ammissione di quanto i politici, i giornalisti, gli esperti della sicurezza, gli uomini d’affari e i maestri d’opinione israeliani sono, checché ne dicano, coscienti dei danni all’economia e all’immagine di Israele (i beni più preziosi, si dice spesso) creati dal movimento BDS.
Il quotidiano di grande tiratura Yedioth Ahronoth, con la sua piattaforma su internet Ynet, è stato all’origine di questa conferenza, interamente consacrata alla lotta contro il movimento BDS, che si è svolta al centro congressi di Gerusalemme. La sola esistenza di questo evento - la prima conferenza nazionale co-sponsorizzata da Stand WIth Us, Sodastream e la Banca Hapoalim a cui hanno partecipato più di un migliaio di persone - ha assicurato a BDS più attenzione in Israele di quanta i suoi sostenitori avrebbero mai potuto sperare.
In effetti è rivelatore che il movimento globale di boicottaggio di Israele sia divenuto tanto significativo da giustificare un tale evento, in cui hanno preso la parola personalità come il Presidente israeliano Reuven Rivlin, dei grossi nomi della Knesset, dei membri dell’opposizione, il Presidente del Congresso ebraico mondiale Ron Lauder, l’attrice Roseanne Barr. Mancava soltanto, ovviamente, qualcuno che rappresentasse il movimento BDS, cui è stato fatto il processo in sua assenza.
Secondo gli organizzatori, “senza coltelli né missili, ma con una carica esplosiva fatta di vergognose menzogne - genocidio, apartheid e crimini contro l’umanità - il movimento BDS conquista un numero crescente di sostegni in Europa, negli Stati Uniti e altrove. Dai campus californiani ai supermercati di Parigi, il boicottaggio accademico, economico e culturale diviene una minaccia palpabile per la posizione internazionale di Israele”.
Tuttavia, la discordanza cognitiva è divenuta evidente sin dall’inizio della conferenza. Il capo-redattore di Yedioth Ahronoth, Ron Yaron, ha affermato alla folla riunita che la potenza di BDS non può essere sottovalutata, e che Israele non vuole ritrovarsi nel giro di 5 o 10 anni nella stessa posizione del Sud Africa. E Yaron ha subito lanciato un ammonizione: non c’è alcun rapporto tra il Sud Africa e Israele. E il ministro degli affari strategici, Gilad Erdan, si è immediatamente associato affermando che “non bisogna esagerare” l’importanza di BDS.
Infatti, lo sconcerto dei presenti era palpabile davanti a una minaccia alla quale non è possibile reagire secondo i metodi cui è abituato Israele: tonnellate di bombe, valanghe di missili, proiettili sparati dai carri armati, droni per lo spionaggio, barriere, chiusure, muri.
L’ambasciatore dell’Unione Europea, Lars Faaborg-Andersen, era venuto per tentare di convincere i presenti che la decisione della U.E. in ordine all’etichettatura dei prodotti degli insediamenti nei territori occupati non è di natura politica (il che spiega bene le accanite discussioni tra i ministri europei a cui ha dato luogo). Egli ha cosparso il suo discorso di alcune ovvietà come “il modo più efficace di contrastare il movimento BDS è quello di risolvere il conflitto israelo-palestinese”. E ovviamente ha ribadito l’adesione della U.E. alla “soluzione a due Stati” della quale tutte le persone in sala ben sapevano che è morta e quasi sepolta (il “quasi” spiega l’odore che emana) e che in Israele nessuna forza di governo l’ha realmente mai voluta.
Gli oratori si sono poi succeduti alla tribuna per affermare, in un unico afflato, che per quanto BDS possa avere successo questo non è mai un successo; che BDS non è una minaccia ma che la minaccia che BDS costituisce non deve essere presa alla leggera; che BDS non ha impatto negativo sull’economia israeliana, ma che Israele deve stanziare maggiori budgets per combattere l’impatto economico di BDS.
Il ministro dell'Intelligence, Yisrael Katz, ha dichiarato che Israele deve avviare delle “eliminazioni mirate di civili” destinate ai militanti di BDS, con l’aiuto dei servizi segreti israeliani. Si tratta dello stesso ministro che, subito dopo gli attentati terroristici del 22 marzo a Bruxelles, aveva finemente ironizzato sulla propensione dei belgi ad amare il cioccolato e godere la vita, il che spiegherebbe secondo lui la facilità con cui i jihadisti hanno potuto agire.
Tzipi Livni - lei stessa una ex agente del “servizio azione” del Mossad - ha affermato che attualmente esiste “la tendenza ad essere vegetariani ed odiare Israele”. A un certo punto, Ron Lauder, il capo del Congresso ebraico mondiale, ha paragonato gli sforzi per mettere in atto il boicottaggio di Israele alle “leggi di Norimberga”, mentre Roseanne Barr, oratrice di richiamo della conferenza, ha qualificato il movimento BDS come “falsa sinistra” e come “fascista”.
Omar Barghouti, il portavoce più noto di BDS, è stato ovviamente il bersaglio privilegiato della conferenza (si è trattato di lui a più riprese, quando gli oratori hanno evocato i recenti sforzi del governo per ritirargli il titolo di soggiorno permanente), ma i movimenti di difesa dei diritti umani hanno avuto anch’essi diritto alla loro "dose" di attacchi, perché accusati di aiutare BDS.
Nel corso della prima ora della conferenza, è stato domandato al Presidente israeliano Reuven Rivlin se “Breaking the Silence” è “un’organizzazione legittima”, poiché raccoglie le testimonianze anonime di soldati israeliani e le diffonde all’estero. Rivlin ha risposto che è importante fare la distinzione tra “la critica legittima” e “l’incitazione”. E ha aggiunto che la critica deve rimanere ad uso interno.
Un cronista di Yedioth Ahronoth, Ben Dror Yamini, ha tenuto a sottolineare fino a qual punto è fiero di vivere in un paese democratico in cui la libertà di parola è a tal punto santificata che si lascia persino possibilità di espressione a coloro che sostengono BDS. Ha solo dimenticato di menzionare il fatto che la legge israeliana punisce coloro che invitano a boicottare Israele.
La parola “occupazione” non è stata utilizzata una sola volta nel corso della conferenza, nonostante molti oratori abbiano preso con veemenza la difesa della “democrazia israeliana” contro coloro che affermano che si tratta di una “sub-democrazia” o di uno stato di apartheid.
Mentre a Gerusalemme si discuteva gravemente “tra sé”, la scrittrice israeliana Ronit Matalon, insignita del Premio Bernstein nel 2009, dava un’intervista a Le Monde in cui afferma “noi viviamo in un regime di apartheid”. Ripreso su Facebook, il discorso ha avuto 1.500 “mi piace” in pochi minuti.
*La Piattaforma belga "Pour la Palestine" è costituita da: A+, Attac Charleroi, Entraide et Fraternité/Vivre Ensemble, Fédération Générale des Travailleurs de Belgique (FGTB) Charleroi et sud-Hainaut, Forum des Citoyens, Les Belges Issus de l’Immigration, Ligue communiste révolutionnaire (LCR), Marianne, Médecine pour le Peuple (MPLP), Mouvement Ouvrier Chrétien (M.O.C.) Charleroi-Thuin, Mouvement Chrétien pour la Paix (MCP), Parti Communiste (PC), Parti Socialiste de Lutte (PSL), Parti du Travail de Belgique (PTB), Pax Christi, Le Progrès, Secours Populaire Wallon, Vie Féminine