L'emergenza sociale in Bolivia durante la pandemia

I motivi e le forme di lotta delle popolazioni boliviane contro il governo violento e razzista, usurpatore di quello legittimamente eletto, e per richiedere l’effettuazione di regolari elezioni.


L'emergenza sociale in Bolivia durante la pandemia Credits: http://www.iela.ufsc.br/noticia/emergencia-social-na-bolivia-durante-pandemia-o-que-querem-os-manifestantes-e-bloqueadores

È notizia di dominio pubblico la rinuncia al potere da parte del presidente eletto Evo Morales, a causa dell'insicurezza generatasi dopo che l'allora capo delle forze armate boliviane, William Kaliman, gli aveva chiesto le dimissioni. La supposta frode nelle elezioni aveva prodotto una mobilitazione di alcuni settori della classe media e alta, che avevano organizzato manifestazioni per chiedere la rinuncia del presidente democraticamente eletto. Insieme a Evo rinunciarono il suo vice, Alvario Garcia Linera, la presidente del Senato Adriana Salvatierra e il presidente della camera dei deputati Victor Borda. A essere scelta come presidente ad interim, in una seduta parlamentare priva del quorum necessario per deliberare, fu Jeanine Añez Chávez, cui venne affidato il compito di portare entro 120 giorni il paese alle elezioni. La sua candidatura era appoggiata da settori agroindustriali e imprenditoriali boliviani.

I movimenti delle classi medie e alte che avevano provocato la rinuncia di Evo erano diretti dall'impresario di Santa Cruz Luis Fernando Camacho, appoggiato dal rappresentante “civico” Marco Pumari. Camacho entrò nel palazzo presidenziale poco dopo l'uscita di Evo, portando una bandiera della Bolivia e una Bibbia, tale gesto provocò il ritiro delle insegne indigene (come la bandiera Wiphala) dal palazzo e dalle bandiere della polizia; inoltre alcuni poliziotti ammutinati bruciarono la bandiera indigena, come simbolo della vittoria dei settori contrari al modello plurinazionale. Questi atti provocarono la rivolta della città indigena di El Alto, composta in maggioranza da indigeni, e di settori della città di Sacaba (Cochabamba), che scesero in piazza l'11 novembre in difesa dei diritti acquisiti e anche in difesa dei simboli indigeni, vilipesi dalle forze armate e da settori della destra.

Jeanine Añez fu posta come presidente ad interim il 12 novembre, provocando un'intensificazione delle mobilitazioni contro di lei, che arrivarono all’interruzione della fornitura del gas dell'impresa YPFB (Yacimientos Petrolíferos Fiscales Bolivianos), localizzata nella regione di Senkata, el Alto. Come forma di pressione sulla presidente gli abitanti circondarono l'impianto di distribuzione del gas. La risposta ingannevole del governo fu di presentare questi cittadini come terroristi legati al Mas, partito di Evo, nonostante queste persone non avessero vincoli con il partito, e anzi fossero molto critici rispetto ai numerosi errori commessi nei 14 anni di governo Morales.

La presidente inviò truppe in questa città, provocando la morte di 10 persone e il ferimento di molte altre. In questo contesto la città fu soprannominata come città di “selvaggi”, terroristi e “masisti” [appartenenti al Mas, n.d.t.]. Il massacro, con una scia di morti e feriti, ci fu anche nella zona di Sacaba, Cochabamba.

Jeanine Añez aveva scelto la data del 3 maggio per le elezioni, ma con l'arrivo della pandemia da corona virus e la sua candidatura per il partito Juntos (insieme) la permanenza al potere della Presidente ad interim fu prorogata, e di fronte all'emergenza sanitaria, ella associò le politiche di contrasto alla pandemia alla campagna elettorale, creando tensione con vari settori sociali boliviani.

Molte sono state le irregolarità del governo, per esempio l'acquisto di respiratori a un prezzo superiore a quello di mercato da parte dell'ex ministro della sanità Marcelo Navajas, scelto dalla Añez, o le dichiarazioni razziste come quelle del ministro Arturo Murillo che aveva definito “una stupidaggine” la medicina tradizionale boliviana utilizzata dalle popolazioni indigene, in confronto alle politiche sanitarie del governo. Oltre a ciò, durante la pandemia gli ospedali che ricevevano pazienti contagiati dal corona virus non avevano strumenti adeguati; il numero di letti per ogni 1000 persone è in Bolivia molto più basso della media latino-americana, circa 0,14 nel principale ospedale della città di El Alto, che riceve oggi il maggior numero di pazienti. Le farmacie della città non furono provviste di medicine come paracetamolo, ibuprofene, dipyrone.

Dopo diverse irregolarità da parte del governo provvisorio, che hanno ritardato le elezioni per quasi un anno, i movimenti sociali della città di El Alto, insieme a persone autoconvocate, sono scese in piazza ai primi di agosto per esigere la fissazione della data delle elezioni per il 6 settembre e per denunciare la corruzione del governo. Queste prime mobilitazioni sono state organizzate dalla Centrale operaia boliviana (COB) affiliata al Mas. La popolazione si è mobilitata in molte regioni boliviane, specialmente le regioni di La Paz e Cochabamba, ma anche zone di Senkata e Sucata, che hanno subito le morti del massacro di novembre 2019, mettendo a doppio rischio i propri corpi: contagio da corona virus e violenza poliziesca, che questo governo aveva già dimostrato di saper usare, specialmente contro la popolazione indigena. Noi, abitanti della città di El Alto e autori di questo articolo, siamo stati sulle barricate e abbiamo deciso di scrivere questo articolo per divulgare le voci dei resistenti, totalmente ignorate dai media nazionali e internazionali.

Perché il blocco è una forma di lotta?

I blocchi stradali in Bolivia, principalmente nella città di El Alto, rinviano a una storica tradizione di lotta cominciata nel 1781 dai leader aymaras Tupak Katari e Bartolina Sisa contro lo sfruttamento del governo situato nella città di La Paz a danno delle popolazioni indigene. La strategia consisteva (e consiste) nel chiudere tutte le vie d'accesso per il trasporto degli alimenti e tutti i passaggi dallo spazio rurale a quello cittadino, considerato che la campagna rifornisce i principali mercati cittadini. Ai nostri giorni questa strategia serve per interrompere i rapporti tra il governo centrale e i suoi distaccamenti sul territorio; per questo motivo zone come Senkata sono strategiche per creare un problema al governo, visto che sono collocate lungo la rotta principale di entrata e uscita dai vari distaccamenti.

I blocchi stradali sono organizzati dagli abitanti del luogo, molte volte convocati dalle organizzazioni di quartiere (come le unioni di vicinato), in questo modo esiste un’efficace alternanza di manifestanti in grado di mantenere i blocchi stradali. La differenza fra queste mobilitazioni e le marce è che i blocchi durano più a lungo nel tempo.

Quali sono le richieste dei manifestanti?

Di fronte all'inefficacia delle politiche sanitarie adottate da un governo, ritenuto da buona parte della popolazione come illegittimo e razzista, i manifestanti sono scesi in piazza inizialmente per chiedere la che la data delle elezioni non fosse più posticipata, perché lo scenario della pandemia richiede un governo eletto democraticamente. È importante sottolineare che ciò che spinge le persone alla mobilitazione, nonostante il contesto di pandemia, è l'indignazione verso un governo che non si confronta con i bisogni dei settori popolari, e che ha collocato come ministro dello sviluppo economico l'impresario di Santa Cruz, ma di origine croata, Branko Marinkovic, che fu presidente del “comitato civico Santa Cruz”, il cui obiettivo era dividere la parte ricca della Bolivia (concentrata nella regione di Santa Cruz) dalla parte andina, provocando la rabbia della popolazione di quella regione. In veste di presidente, Marinkovic ha riferito delle popolazioni andine qualificandole come “razza maledetta”. Collocandolo come ministro dello sviluppo, questo governo ha riaffermato la sua posizione razzista. Usando le parole di un manifestante del quartiere Rio Seco, città di El Alto: “Sono totalmente indignato, ieri questo personaggio era un oppressore del popolo, oggi è presidente dei boliviani. Ma, come boliviani, non ci dimentichiamo ciò che realmente è” [1].

Le elezioni avevano assunto inizialmente un ruolo centrale nelle rivendicazioni dei manifestanti, che consideravano la data del 6 settembre come non rinviabile. Il governo provvisorio aveva giustificato il rinvio delle elezioni con la necessità prioritaria di “salvare vite”, invece di pensare alle elezioni. Con il prosieguo delle mobilitazioni la presidente e i suoi ministri hanno continuato a qualificare le azioni come fatte da “terroristi, selvaggi e masisti”, e chiesto che il Mas, il partito di Evo, assumesse una posizione contraria. A fronte di questa situazione il governo aveva convocato le opposizioni per il 9 agosto; tale convocazione è stata però respinta dal COB, così come dai principali candidati alla presidenza: Luis Mesa per il MAS e Carlos Mesa (comunità cittadina). La decisione del supremo tribunale elettorale ha posticipato le elezioni al 18 ottobre, giustificandola con il fatto che il picco dei contagi sarebbe previsto per settembre, nonostante non ci siano dati comprovati che si verifichi una riduzione dei contagi nel mese di ottobre. Il partito Mas aveva accettato la data del 18 ottobre, ma nel frattempo le manifestazioni si sono intensificate, arrivando a chiedere le dimissioni della presidente.

In questo contesto ha ripreso vigore la leadership di Felipe Quispe Huanca (soprannominato El Mallku), storico e dirigente sindacale aymara, protagonista delle mobilitazioni che avevano fatto cadere i governi neoliberali di Hugo Bánzer Suárez (2001), Gonzalo Sanches de Lozada (2003) e Carlos de Mesa Guisbert (2005). Egli è stato un forte critico dei governi di Evo, e oggi è all'opposizione di Jeanine Añez. In questo modo, come rappresentante politico, sta mobilitando settori contadini che non hanno legami con il partito di Evo Morales e che chiedono le dimissioni del governo, della presidente e dei suoi ministri.

Dall'inizio di giugno i mezzi di comunicazione nazionali hanno cominciato a denunciare la scarsità di ossigeno per i pazienti Covid, ma il governo provvisorio vi ha costruito un racconto propagandistico, incolpando i blocchi stradali, cominciati ad agosto, della scarsità di ossigeno e delle morti a ciò correlate, nonostante la politica dei blocchi stradali fosse quella di far passare ambulanze, carri funebri e camion che trasportavano strumenti medici, elemento ignorato dai media nazionali. Come strategia per indebolire la lotta il governo ha deciso l'invio di un convoglio di ossigeno partito da Santa Cruz verso Cochabamba, Oruro e La Paz. Tale convoglio, il cui invio è stato giustificato dalla necessità di “salvare la vita”, è scortato da forze militari.

Per noi è fondamentale la diffusione a livello internazionale delle informazioni sugli eventi attuali in Bolivia, perché sappiamo che difficilmente queste notizie arrivano ai media nazionali e tanto meno a quelli internazionali. Denunciamo i discorsi del governo, volti a delegittimare la lotta dei nostri fratelli e sorelle, che stanno esponendo i loro corpi alla pandemia, e vogliamo enfatizzare il nostro timore di una possibile violenza da parte del governo provvisorio, già con le mani sporche di sangue per il massacro di novembre scorso.

L’articolo originale è apparso qui.
Traduzione a cura di Matteo Bifone.

23/08/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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