Quando si parla di Vietnam, non è raro imbattersi in interlocutori che credono che il Paese asiatico sia ancora devastato dalla guerra. Certo, quest'affermazione non è del tutto falsa, nel senso che le conseguenze dei lunghi conflitti dello scorso secolo si fanno ancora sentire, sia dal punto di vista naturale (i defolianti distrussero gran parte della foresta pluviale del Paese), sia umano (gli agenti chimici continuano ad avere effetti sulla popolazione, soprattutto sui nascituri). In realtà, però, di bombe sul Vietnam non ne cadono da oltre quarant'anni, ma, sebbene l'ignoranza non sia mai giustificabile, la causa della mancanza d'informazione sulle vicende vietnamite è da ricercarsi anche nello scarso spazio riservato dai media alle vicende di questo Paese negli ultimi decenni.
La liberazione di Saigon, avvenuta il 30 aprile 1975 e raccontata magistralmente da Tiziano Terzani nel libro Giai Phong! La liberazione di Saigon, ha segnato dunque, per il grande pubblico, la scomparsa del Vietnam dalla cartina geografica mondiale. Fino agli eventi più recenti, quando è divenuto impossibile continuare a ignorare il ritrovato ruolo del Vietnam sulla scena internazionale. Il governo di Hanoi, del resto, sta lavorando da tempo per riportare il Paese a giocare un ruolo di primo piano nello scacchiere internazionale, tessendo complicate reti di relazioni diplomatiche con le principali potenze mondiali (Stati Uniti, Russia, Cina) e proponendosi anche per l'organizzazione di eventi dal grande richiamo mediatico (dal 2020, ad esempio, Hanoi ospiterà un Gran Premio di Formula 1). Più di recente, infine, il Vietnam ha avanzato la propria candidatura per ospitare il secondo vertice tra Stati Uniti e Corea del Nord, dopo quello del 12 giugno 2018 che ha visto l'incontro tra Donald Trump e Kim Jong-Un svolgersi a Singapore, mentre sempre il Paese dell'Asia sud-orientale dovrebbe essere teatro di un summit economico tra lo stesso Trump ed il presidente cinese Xi Jinping già a fine febbraio.
Tali eventi, come vedremo tra poco, sono possibili solamente se tutte le parti in causa reputano il governo ospitante come mediatore affidabile.
A dire il vero, per gli osservatori più attenti, il Vietnam non è mai uscito del tutto dagli schemi geopolitici globali. Innanzi tutto, la posizione geografica del Paese lo rende di vitale importanza, potendo contare su oltre 3.400 chilometri di coste in una delle aree marittime più trafficate al mondo, quella del Mar Cinese Meridionale che oramai ha superato in questa classifica il Golfo di Aden e lo stretto di Hormuz, passaggi fondamentali per le rotte delle petroliere in Medio Oriente. Poi, come anticipato, il governo del Partito Comunista ha saputo rendersi protagonista di una fitta tessitura di relazioni diplomatiche e politico-economiche con numerosi Paesi, apparentemente contrastanti fra loro, ma che di fatto risultano fondamentali per garantire la sovranità del Vietnam.
Nel 1995, vent’anni dopo la fine della guerra, il Vietnam ha riallacciato le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, ristabilendo un rapporto normalizzato con la più grande potenza economica del mondo. Da quel momento, i dirigenti comunisti sono stati abili a intrecciare una serie di relazioni tanto con Washington quanto con Pechino, oltre a lavorare alla cooperazione regionale all’interno dell’Asean, l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico. Il tira e molla vietnamita con Cina e Stati Uniti, con il governo che in fasi alterne si avvicina più all'una o all'altra potenza, si spiega comprendendo alcuni aspetti storici e culturali del Paese. Naturalmente, il Vietnam ha forti legami geografici, politici e culturali con la Cina, trattandosi di stati confinanti, entrambi guidati dal partito comunista e con un background culturale di natura confuciana e buddista. Tuttavia, il Vietnam e il popolo vietnamita nutrono da sempre un profondo timore nei confronti del Celeste Impero, che, per circa un millennio, ha dominato sul suolo vietnamita (dall'anno 111 a.C. all'anno 938 d.C, con qualche breve interruzione). Ancora oggi, parlando con “l'uomo della strada” vietnamita, molte persone sono convinte che la Cina covi mire di espansionismo territoriale sul Vietnam.
Anche in tempi moderni, del resto, le relazioni tra Vietnam e Cina non sono state del tutto rosee. In un primo momento, Pechino se la prese soprattutto con il governo del Vietnam del Sud, ma, anche dopo la riunificazione, i due Paesi guidati dai rispettivi partiti comunisti non hanno risolto tutti i problemi. Ancora oggi, Pechino ed Hanoi si disputano la sovranità su alcuni arcipelaghi del Mar Cinese Meridionale, come le Isole Spratly e le Isole Paracelso, in una contesa che include anche altri Paesi della regione (Taiwan, Malaysia, Filippine). Di conseguenza, risulta ora più facile comprendere come il Vietnam abbia utilizzato scientemente la riapertura delle relazioni con gli Stati Uniti per diminuire la propria dipendenza dalla Cina, e attuare una politica di pesi e contrappesi che permetta al Paese di non essere del tutto soggetto a nessuna delle due superpotenze economiche della nostra epoca. A ciò si possono aggiungere anche i buoni rapporti con la Russia, ereditati dai tempi dell'Unione Sovietica, visto che il Partito comunista del Vietnam, per le stesse ragioni esposte precedentemente, è sempre stato più filosovietico che filocinese.
L'abilità strategica dei governi vietnamiti, dunque, ha fatto sì che il Vietnam venisse scelto (sembra oramai ufficiale) per un meeting economico tra Trump e Xi, nonché per il secondo summit tra Stati Uniti e Corea del Nord. Oltre alla riappacificazione con Washington, bisogna tenere in conto di come la guida del Partito comunista abbia fatto sì che il Paese sia sempre riuscito a intrattenere relazioni normali e amichevoli con la Corea del Nord: uno dei pochi governi a farlo persino nei momenti di massimo isolamento di Pyongyang, attuando anche forme di cooperazione. Infine, gli strateghi di Hanoi, nonostante la solidarietà intracomunista con il regime dei Kim, hanno saputo stabilire stretti legami anche con la Corea del Sud, inaugurando le relazioni diplomatiche con Seoul sin dal 1992, tanto che, nel 2017, si è tenuto un gemellaggio tra le città di Gyeongju e di Hồ Chí Minh City, con numerosi eventi occasione di scambi culturali organizzati nelle due città. Proprio per questo motivo, anche il governo sudcoreano di Moon Jae-In ha già espresso il proprio parere favorevole all’organizzazione del vertice tra Donald Trump e Kim Jong-Un nella capitale vietnamita.
Il Vietnam, dunque, conferma ancora una volta la propria intenzione di affermarsi prepotentemente nell’arena geopolitica mondiale, grazie alla manifesta capacità di stringere relazioni economiche e politiche importanti con Paesi teoricamente contrapposti. Tale ruolo di prima importanza è sostenuto anche dagli ottimi risultati macroeconomici di cui il Paese è oggi protagonista. Negli ultimi tempi, il Paese a guida comunista ha saputo anche accaparrarsi l’organizzazione di importanti eventi politici, come alcuni vertici Asean e delle Conferenze Asia Pacifico e sportivi (abbiamo già ricordato l’entrata nel calendario del Mondiale di Formula 1 dal 2020, mentre al momento resta solo sulla carta la candidatura di Ho Chi Minh come città organizzatrice delle Olimpiadi 2032). Tali eventi, anche in passato, sono stati utilizzati da numerosi Paesi come vetrine di spicco, al fine di dimostrare al resto del mondo le proprie capacità organizzative e logistiche. L’eventuale – oramai praticamente certo – summit tra Trump e Kim e quello tra Trump e Xi sarebbero dunque il coronamento di un lavoro ai fianchi che i dirigenti vietnamiti hanno iniziato sul finire degli anni ’80, corroborato anche dalla possente crescita economica, elementi che rendono oramai impossibile ignorare il peso del Vietnam su scala globale.