Il FMI visita l’Argentina

L’Argentina pagherà un debito illegittimo e odioso scaricando i suoi costi sulla parte più debole della popolazione.


Il FMI visita l’Argentina

Nel febbraio 2020 il FMI aveva riconosciuto che il debito di 100 miliardi di dollari consistente in obbligazioni detenute da investitori privati, contratto dall’Argentina, non era sostenibile e pertanto aveva invitato questi ultimi ad accettare un taglio significativo del dovuto. Naturalmente Alberto Fernández, attuale presidente, si era dichiarato soddisfatto e aveva auspicato che l’Argentina potesse ricominciare a crescere e a “onorare” così i suoi debiti, i quali all’epoca del governo Macri hanno permesso una rilevante fuga di capitali.

Successivamente il FMI, la cui direttrice è ora la bulgara Kristalina Giorgeva (la compañera Kristalina, come qualcuno l’ha chiamata), ha visitato in due occasioni il paese, l’ultima a partire dallo scorso 10 novembre con lo scopo dichiarato di cominciare a trattare per formulare un nuovo programma che sostenga il piano economico del governo e di stabilizzare l’economia argentina, di modo che si apra un futuro roseo per il popolo del paese sudamericano.

Secondo “Il Sole 24 Ore” ora il debito argentino in totale ammonta a 200 miliardi di dollari, la metà è costituita da debito estero, l’altra metà è composta da 57 miliardi di dollari da restituire al FMI e da 43 miliardi di debiti locali in pesos.

Il compito del governo consiste nello stipulare un nuovo accordo con il FMI per riformulare l’accordo in stand by [1] firmato dal suo predecessore Macri, che prevedeva il pagamento di 57 miliardi di dollari, il più grande debito contratto nella storia del FMI, in una situazione difficilissima per la diffusione della pandemia, per il severo impoverimento della popolazione e per l’ampliamento della disoccupazione in un paese dominato dall’informalità lavorativa. In questo contesto, in cui non si è fatta nessuna indagine sulla legittimità del debito, come era stato detto durante la campagna presidenziale, occorre notare che l’Argentina è uno dei paesi che ha investito meno risorse per affrontare le crisi pandemica, ha istituito l’IFE (Ingreso Familiar de Emergencia), un miserabile reddito di 10.000 pesos per le famiglie, non ha riconosciuto ai pensionati l’adeguamento delle loro pensioni; per tutti questi aspetti è uno dei paesi dove le disuguaglianze sono aumentate in misura maggiore, essendo il 50% della popolazione caduto nella povertà.

Credo sia noto ai più che l’Argentina ha una lunga e complicata storia di debiti, la quale dovrebbe insegnare qualcosa anche a noi che da decenni siamo indebitati con gli organismi internazionali, riuscendo a pagare soltanto gli interessi dei debiti contratti, e che ci apprestiamo a precipitare nell’abisso di nuovi prestiti. 

L’indebitamento latinoamericano fu una scelta fatta dai centri finanziari imperialisti che avevano accumulato una grande quantità di petrodollari e di eurodollari e che decisero di investire nella regione per tenerla sotto controllo. In dieci anni, dal 1970 al 1980, il debito passò da 21 miliardi di dollari a 243.

Sin dal 1976 si decisero limitazioni agli aumenti salariali e nello stesso tempo la liberalizzazione dei prezzi. Da quel momento il salario, impoverito dai continui aumenti delle tariffe, ha subito attacchi sempre più violenti. Tra il 1974 e il 1977 i salari persero il 41% del loro potere di acquisto, perdita che non è mai stata compensata, dato che nel 2017 era inferiore del 20% a quello del 1974.

Il debito pubblico argentino ha cominciato a crescere in maniera esorbitante negli anni ’90 del Novecento grazie a una straordinaria evasione fiscale congiunta ad un alto tasso di corruzione e al trasferimento illegale dei capitali con la complicità delle autorità nei paradisi fiscali, dove i capitali venivano maggiormente valorizzati. Nel 2001 una commissione parlamentare avviò una serie di indagini che riguardavano persino la direzione della Banca centrale argentina accusata di non aver vigilato o addirittura di aver favorito tali operazioni.

Sempre negli anni ’90 il paese, sotto la guida di Carlos Menem, aderì alle politiche neoliberiste, le quali si basavano sul tentativo di ridurre l’inflazione, sulla privatizzazione delle industrie, sui tagli alla spesa pubblica e sulla cancellazione delle tasse doganali. Fu anche approvata la legge di stabilità che istituiva il cambio fisso tra peso e dollaro, ossia un peso equivaleva a un dollaro e viceversa. 

Questa misura ebbe conseguenze disastrose perché l’equivalenza tra le due valute impediva alla Banca centrale argentina, in assenza della quantità necessaria di dollari, di finanziare la spesa pubblica; di qui l’ulteriore ricorso all’indebitamento. 

In tale drammatico scenario, nel quale scattarono manifestazioni e proteste anche con scontri sanguinosi, il governo decise il cosiddetto Corralito (da corral = recinto), secondo il quale gli argentini potevano prelevare dai loro conti un massimo di 250 dollari a settimana; allo stesso tempo veniva proibito ogni invio di denaro all’estero; misure queste che avevano lo scopo di mantenere la liquidità sufficiente per il funzionamento del paese.

A questo punto il FMI interruppe i suoi prestiti e l’Argentina in default si ritrovò con un debito che equivaleva al 50% del PIL e con 30 milioni di dollari di interessi, che scadevano nel 2002.

E oggi che succede? Proprio oggi, ossia 18 novembre, la Camera dei deputati ha approvato la legge di bilancio per il 2021, la quale prevede una serie di misure di aggiustamento strutturale (ajuste), che consentiranno all’Argentina di pagare i suoi debiti ovviamente a danno delle condizioni di vita della popolazione. E ciò in linea con quanto chiede il FMI, anche se nei giorni passati era stata diffusa una lettera scritta da un gruppo di senatori, tra i quali la peronista Cristina Fernández, con cui si accusa questo organismo di ingerirsi nelle questioni politiche del paese.

Vediamo rapidamente le misure più significative. Vengono ridotti in termini reali i fondi per la sanità e la previdenza sociale, viene eliminato il già citato IFE per 10 milioni di individui, sostenendo che di esso molti non avranno più bisogno, perché riprenderanno presto a lavorare, come se l’ipotetica ripresa economica fosse un processo istantaneo. I tagli alla salute sono di quasi il 10%, quelli alle prestazioni sociali sono del 16,5%; vengono ridotti persino gli assegni alle famiglie per ogni figlio e l’entità del sostegno alimentare.

I salari dei dipendenti statali perderanno il loro potere di acquisto in termini reali del 4,5% e anche il settore educativo subirà tagli significativi. Poche risorse saranno destinate alla costruzione di abitazioni in un paese in cui sono numerosi senza tetto, anche perché il governo reprime con violenza i tentativi di occupazione dei terreni abbandonati, come mostra il recente episodio di Guernica.

Queste riduzioni renderanno possibile continuare a pagare gli interessi del debito riducendo allo stremo il popolo argentino come già si è fatto con quello greco. Per far digerire queste misure il governo ha proposto una tassa straordinaria sulle grandi fortune, ma unicamente tenendo in conto le persone e non le grandi imprese e le banche, persone che saranno tassate di circa 3 miliardi di dollari; nello stesso tempo 5 miliardi sono stati già pagati per il debito e 17 miliardi sono stati offerti da Martin Guzman, ministro dell’Economia, ai veri e propri lupi di Wall Street per ottenere la ristrutturazione del debito con i creditori privati. Come se ciò non bastasse, si prevede di destinare le risorse così ottenute a sostegno degli imprenditori e all’estrazione degli idrocarburi, compreso il fracking, restituendo così ai primi quello che è stato loro solo simbolicamente tolto con la tanto pubblicizzata tassa ai ricchi. Insomma, una forma di redistribuzione alla rovescia, che inoltre sostiene una forma di produzione del gas altamente inquinante e che ha suscitato forti proteste delle popolazioni delle regioni coinvolte.

Concludendo queste note, farò un breve riferimento a quanto ho già scritto per LCF a proposito del cosiddetto debito perpetuo e odioso, il quale, come ha sostenuto con lucidità l’economista belga Eric Toussaint, consiste in debiti contratti anche da governi formalmente democratici ai danni della popolazione e viene concesso da organismi che conoscono perfettamente quali saranno le conseguenze negative del prestito. Inoltre, ribadisce Toussaint, date le misure recessive imposte dai prestatori, i debitori non si troveranno mai nelle condizioni di ripagare il debito che diventerà perpetuo e permetterà così ai primi di tenere sotto stretto controllo i secondi.

Note:

[1] Ossia che richiede per essere concesso riforme strutturali.

21/11/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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