Come sappiamo il Brasile è uno dei paesi più colpiti dalla pandemia derivata dal coronavirus, con il numero dei casi riconosciuti che si avvicina pericolosamente ai 5 milioni e il numero dei morti che si approssima ai 150.000, nonostante l'enormità di casi non riconosciuti come tali. In primo luogo Lula responsabilizza il governo per questa strage deliberata, dato il fatto che la maggior parte dei morti sono poveri, neri e persone con patologie pregresse. È un dato di fatto acclarato ormai a molti che il governo Bolsonaro non abbia fatto praticamente nulla per diminuire l'impatto del coronavirus, anzi abbia fagocitato una guerra coi governatori che adottavano misure, seppur blande, di contenimento del contagio, e che abbia sostituito ben 2 ministri della salute in piena pandemia, salvo poi collocare al loro posto un militare senza pressoché nessuna esperienza in materia. L'ex presidente sottolinea poi come abbia pesato negativamente la scelta all'epoca del governo golpista di Temer nel 2016, di congelare per 20 anni il livello di spesa in salute, educazione, ecc, dimenticandosi forse di ricordare che Temer era stato il vice di Dilma per 6 anni durante i governi del PT, e che gli articolatori politici del golpe contro l'ex presidentessa erano Cabral e Calheros [1], alleati storici del PT negli Stati di Rio de Janeiro e Alagoas.
Poi Lula rileva come la Banca centrale brasiliana abbia deciso di attingere alle sue riserve non per aiutare i più bisognosi, ma per pagare i sempre più alti oneri dei tassi sul debito pubblico. Anche qui è necessario osservare come sebbene ciò sia vero, lo stesso Lula aveva messo a presidente della banca centrale nel 2003, Meirelles, il quale aveva portato avanti una politica di “nazionalizzazione” del debito esterno, non riducendone così l'ammontare, ma mutandone i possessori.
Ma in particolar modo egli distacca che Bolsonaro avrebbe commesso il crimine di lesa patria, per la sua pressoché totale sottomissione alla politica estera di Trump. Tra le altre cose gli imputa, giustamente, di aver concesso una base militare strategica aerospaziale senza contropartite e di aver nominato un generale brasiliano per sottostare ai comandi di uno americano nell'ambito delle missioni americane in Sudamerica. Anche queste accuse, più che legittime, rischiano di rivelare solo parzialmente la realtà delle cose; fu infatti lo stesso Lula infatti a mantenere durante il suo mandato un atteggiamento più che accondiscendente nei confronti di Bush, che lo considerava un “garante” della lotta al terrorismo, e a non aver aderito all'alleanza progressista conosciuta come Alba, per non inimicarsi amici così potenti.
In seguito si fa riferimento alle politiche di privatizzazione implementate dall'attuale governo, che vorrebbe vendere le poche grandi imprese rimaste nelle mani dello Stato, tra cui la compagnia fornitrice di elettricità e quella che produce petrolio. La stessa università e l'educazione più in generale sono considerate bersaglio dell'attacco frontale del governo, che taglia fondi di ricerca e borse di studio agli alunni più carenti.
Contro tutto ciò Lula si propone di costruire uno stato democratico di diritto, fondato sulla sovranità popolare, tentando riscattare il programma del PT delle origini. Il suo programma sarebbe quello di fare del Brasile un paese fondato sull'uguaglianza, sulla solidarietà internazionale e il progresso sociale. Egli rivendica di aver fatto tutto ciò durante i governi del PT, riducendo la povertà assoluta e favorendo l'aumento dell'occupazione, soprattutto a partire dal contesto nazionale, che lui dimentica volontariamente di citare, caratterizzato dal boom delle esportazioni brasiliane. La sua proposta sembra su questo tema dimenticare il contesto economico che il Brasile sta attraversando, con una crisi economica profondissima, dove è evidente che gli spazi per un nuovo “patto sociale”, caratterizzato dall'appoggio all'espansione economica neoliberale in cambio di aumento dell'occupazione, non ha nessuna possibilità di funzionare, vista la necessità del capitale di schiacciare i salari per poter sopravvivere alla tempesta. Durante i governi del PT, peraltro, a migliorare non è stata la distribuzione di ricchezza, più equilibrata, ma le condizioni di vita del sottoproletariato, vincolato a programmi assistenzialisti come il “Bolsa familia”, nato con finalità emergenziali ma mantenuto in vigore fin ad oggi perché poco o nulla è stato fatto per rendere queste persone emancipate dalle condizioni di miseria in cui si trovavano.
Anche sugli incendi nell'Amazzonia e nella regione del Pantanal, che espongono intere tribù indigene al rischio enorme per la propria vita a causa dei numerosi incendi dolosi, si perde di vista la matrice di questi incendi. Sono infatti i grandi signori del latifondo che finanziano questi incendi, per creare lo spazio a enormi monocolture di soia, necessarie per la nutrizione dei maiali cinesi, da cui dipendono la maggior parte delle esportazioni brasiliane. Il potere di tali signori però non è stato scalfito dai governi del PT, che hanno preferito abdicare alla rivendicazione di una riforma agraria completa e integrale [2], accordi economici con i movimenti dei contadini senza terra guidati dall' MST.
Lo strumento politico di tale patto per costruire un Brasile “di tutti e per tutti”[3] sarebbe il voto democratico, libero da fake news e manipolazioni. E forse qui che cade con più forza la maschera del riformismo elettoralistico lulista, nell'idea che in un paese così profondamente diseguale i problemi possano risolversi magicamente appoggiando un progetto politico di conciliazione di classe in un'epoca in cui il conflitto è praticamente unidirezionale e non c'è apparentemente nulla da redistribuire, almeno dal punto di vista del capitale. Evidentemente all'ex presidente non deve aver insegnato nulla il processo farsa di cui è stato vittima, che lo ha di fatto estromesso dalla corsa alle presidenziali del 2018, in cui era dato ampiamente in vantaggio da tutti i sondaggi, né i due anni di prigione ingiusta sembrano aver scalfito le sue convinzioni sulla reale natura della “democrazia” brasiliana. Tutto il resto della sua dichiarazione, improntata a cercare di formare un patto sociale per creare uno Stato sociale realmente universale in un paese che ne è stato storicamente privo, è a nostro giudizio inutile corollario di un discorso politico che presenta un progetto che non ha nessuna possibilità di funzionare, date le circostanze economiche di crisi internazionale e la pressoché totale disorganizzazione dei settori politici che dovrebbero costituire la sua base di appoggio.
In sintesi, tale discorso seppur lodevole sotto alcuni aspetti ci sembra poco più dell'ennesima minestra riscaldata. Quello che si sarebbe dovuto dire, invece, è che da questo Stato, prigioniero di oligarchie secolari e burocrazie incancrenite, non c'è nulla che ci si possa aspettare di positivo, nemmeno se alle prossime elezioni vincesse un leader popolare, che non riuscirebbe a cambiare in profondità le strutture dell'arretratezza brasiliana; che senza una vera e completa riforma agraria non ci potrà mai essere una vera democrazia in Brasile; che una vera indipendenza nazionale non si produrrà senza la rottura dei vincoli che legano il paese all'imperialismo, nord-americano ma non solo. Ma questo non è un programma che può essere attuato da un riformista...
Note:
[1] Notevoli sono le immagini del tour elettorale di Haddad nel 2018, in compagnia proprio del figlio di Calheros, la cui candidatura a governatore dello Stato era sostenuta tra gli altri dallo stesso PT.
[2] Su tale tema si rimanda a Latifondo e servitù: fratelli siamesi in Brasile.
[3] Evidentemente sarà un Brasile in cui sarà possibile conciliare gli interessi dei latifondisti con i contadini, dei grandi gruppi finanziari internazionali con i piccoli commercianti indebitati, dei grandi industriali con gli operai ecc.