Guerra alla guerra?

L'impotenza dei comunisti è anche il risultato dell’uso pubblico della storia e di un approccio errato alle problematiche nazionali e internazionali. Come siamo arrivati ai nostri giorni con l’egemonia del pacifismo e dell’equidistanza interclassista.


Guerra alla guerra?

ll saggio di Lenin L’imperialismo, fase suprema del capitalismo scritto nel 1916, in piena Prima guerra mondiale, descrisse i meccanismi del capitalismo finanziario come fonte di profitto per il colonialismo imperialista. Lo scritto rispose all’incapacità della Seconda Internazionale di analizzare correttamente il conflitto lasciando le classi popolari in balia della propaganda capitalista e interventista. Il proletariato fu allora, come oggi, carne da macello da sacrificare sull’altare delle spinte nazionaliste e capitaliste. E alla sconfitta politica dell’antimilitarismo del movimento operaio seguì l’avvento di fascismo e nazismo.

Mentre scriviamo gli eventi sono in continua evoluzione, è consigliabile non addentrarci nell’analisi degli scenari immediati che potrebbero essere smentiti dall’evolversi dei fatti.

Analizzare la vera natura del conflitto tra Russia e Ucraina è diventato dirimente, ma dopo anni di propaganda pacifista martellante e di egemonia culturale del nemico di classe è anche impresa ardua.

I lettori dissentiranno dall’utilizzo di termini ideologici nei quali non si riconoscono da tempo, eccezion fatta per un ristretto nucleo di militanti, ma è proprio dalla mancata lettura del rapporto tra guerra e capitale che scaturiscono gli equivoci.

A sinistra domina confusione ancora maggiore di quella esistente nel variegato mondo dei gruppi comunisti, quando si parla di guerra ritornano le solite letture ideologiche del passato e una grande sequela di impressionanti schematismi.

Come accaduto con la Prima guerra mondiale, corriamo il rischio di trovare lavoratori e lavoratrici silenti verso gli investimenti per la guerra che il governo Draghi sta già deliberando a mero discapito dei fondi destinati al lavoro, al welfare, alla scuola e alla sanità.

Scegliere uno dei due schieramenti (Ucraina o Russia) o optare per la equidistanza dai due contendenti, rivendicare un pacifismo assoluto contrario alla violenza e alla produzione di armi aiuta a comprendere la natura della guerra in corso?

Noi pensiamo di no, gli equivoci sono dietro l’angolo con le bandiere pacifiste a sventolare in piazza accanto a quelle della comunità ucraina che rivendica l’intervento della Nato. E in quelle piazze si ritrovano (senza imbarazzo?) gruppi e realtà comuniste che magari si nascondono dietro a qualche distinguo o pensano di materializzarsi nel diniego di parola agli ucraini suscitando polemiche e avversione anche tra i propri simpatizzanti da anni allo sbando senza alcun riferimento culturale, politico e ideologico.

Paura e speranza dominano presente e futuro. Il timore per i nostri giorni si accompagna al desiderio di un domani diverso, sentimenti diffusi anche nei due anni pandemici con l’opinione pubblica disposta a subire le offensive dei virologi da talk show senza alcun beneficio del dubbio sulla gestione capitalista della pandemia. La paura dei contagi si accompagna all’aspirazione di un futuro senza malattia rinunciando a comprendere le ragioni dell’elevato numero di morti da Covid e le cause della grande sofferenza in cui si trova la sanità pubblica, forte è il bisogno di superare il momento sperando che tutto ritorni come prima.

Analogo è il sentimento diffuso sulla guerra, il sogno dell’irenismo universale, senza mai interrogarsi sul rapporto tra modo di produzione capitalista e la tendenza alla militarizzazione come risposta neo-keynesiana alla crisi di sovrapproduzione dentro le dinamiche conflittuali tra poli imperialisti per il controllo delle vie energetiche.

Le esortazioni del segretario Pd a scendere in campo a fianco dell’Ucraina non suscitino stupore. Si guardi invece al sostegno accordato alle missioni militari all’estero, alle guerre della Nato, ai bombardamenti contro popoli inermi. Nel dna del centro-sinistra il sostegno alla guerra imperialista è tanto forte quanto l’entusiastica adesione alla Nato e alla militarizzazione dei territori di casa nostra.

Semmai dovremmo chiederci come sia possibile ritrovarci in piazza con il Pd o con l’Arci e il variegato associazionismo di centro-sinistra. Se non sciogliamo questo equivoco hanno poco senso le scaramucce di piazza per prendere il palco o negare il microfono agli impresentabili di turno.

Leon Panetta, già direttore della Cia, afferma che l’intervento della Russia contro l’Ucraina finirà con rafforzare la Nato rinsaldando i legami tra Usa e Ue. Questa rinnovata unità potrebbe tradursi non solo nelle sanzioni contro la Russia ma anche in politiche di aggressione, economica prima di tutto, all'Iran, alla Corea del Nord e soprattutto alla Cina.

Non si tratta di affermare valori o di proteggere la democrazia, come affermato su “L’Espresso” da Panetta, ma di interessi nevralgici che riguardano la sopravvivenza futura del capitalismo e dei paesi dominanti. Basterebbe leggere, o rileggere, quanto scritto da Carl von Clausewitz: “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi”.

Impossibile allora lottare per la pace senza conflitto di classe e lotta anticapitalista; comprendere dove nasca il ricorso strutturale alla guerra è premessa necessaria per superare il vecchio e sterile volontarismo comunista che finisce con il tradursi in quel generico calderone denominato pacifismo.

04/03/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Federico Giusti

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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