Sono passati ormai dieci anni da quando, nel 2014 con il colpo di stato di Maidan, lo Stato Ucraino si è trasformato in un dichiarato avamposto della Nato guidato da una classe dirigente che ha fatto dell’odio antirusso e del nazionalismo esasperato la sua principale ragion d’essere. Otto anni di guerra civile nel Donbass, con i principali paesi occidentali che, per bocca della stessa Angela Merkel, hanno sfruttato gli accordi di Minsk per armare l’Ucraina, hanno rappresentato le premesse per l’inizio della cosiddetta “operazione militare speciale” cominciata nel Febbraio 2022.
A ridosso della guerra, ricordo che la maggior parte dei commentatori occidentali e dell’opinione pubblica (anche dei settori politici più consapevoli di quanto avvenuto in Donbass) pensavano che la Russia non sarebbe mai intervenuta in Ucraina, ma il conflitto, invece è iniziato. Pochi ricordano che, nonostante l’odio nazionalistico antirusso che le faceva da collante, la dirigenza ucraina, in virtù dell’enorme sproporzione di forze militari, era disposta ad accettare un accordo di pace che prevedeva l’autodeterminazione delle regioni del Donbass ed una smilitarizzazione dell’Ucraina che la ponesse fuori dalla Nato. Intervenne, per conto dell’occidente, Boris Jonson che assicurò all’Ucraina il totale supporto della Nato. Da quel momento, ed in particolare dopo la spettacolarizzazione di Bouchra, il conflitto Russo-Ucraino è divenuto esplicitamente e sostanzialmente una guerra Russia-Nato combattuta sul suolo ucraino per mezzo di soldati ucraini ma diretta politicamente e militarmente dagli ufficiali della Nato.
Raramente ci si sofferma sulle conseguenze umane di una guerra condotta utilizzando come mezzo un altro popolo. In misura crescente i soldati ucraini sono stati inviati in operazioni pericolosissime di attacco con lo scopo di ottenere dei risultati che servissero a giustificare, di fronte all’opinione pubblica occidentale, l’invio di nuove e più potenti armi per attaccare la Russia. Raramente, e con superficialità, si riflette sugli arruolamenti forzati nel territorio ucraino, sull’enorme numero di persone catturate al confine e mandate a morire in quantità crescente. Un giorno, quando questa storia sarà finita, ricorderemo la brutalità e la ferocia di utilizzare una popolazione – dai 18 ai 60 anni – decimata in nome dell’odio antirusso e dell’obiettivo geopolitico di far entrare l’Ucraina nella Nato. Combattere una guerra utilizzando come carne da cannone un altro popolo, anche se, in parte fortemente ideologizzato – soprattutto nelle regioni dell’ovest – porta inevitabilmente alla sconfitta politica e militare e i dati che provengono dal Donbass parlano chiaramente di una sconfitta sempre più evidente oramai riconosciuta da tutti gli esperti militari, anche occidentali; ma la sconfitta non può essere accettata dall’occidente: che significato avrebbe, nei confronti dei popoli del terzo mondo e nelle opinioni pubbliche europee che l’occidente ha fallito? che la Federazione Russa è riuscita a contenere l’inarrestabile avanzata della Nato verso est? Come uscirne allora? L’attacco alla Federazione Russa nella regione di Kursk e l’escalation nucleare rappresentano, a mio parere, l’esemplificazione plastica di una strategia apparentemente folle ma che mira, sostanzialmente, ad un coinvolgimento militare sempre più forte, ad un escalation nucleare che, se non esplicitamente voluta, viene costantemente provocata. Dal mio punto di vista l’attacco a Kursk, pianificato dagli ufficiali inglesi ed ucraini, se non si vuole credere alle follie della propaganda, aveva come obiettivo strategico la centrale nucleare nella regione di Kursk. Se l’avessero occupata avrebbero potuto ricattare la Federazione Russa ponendola agli occhi dell’opinione pubblica di fronte al dilemma o di grosse concessioni (il che vuol dire nuovamente mantenimento della Nato in Ucraina) oppure del passaggio della guerra ad un piano apertamente nucleare. La dimostrazione di questo intento è data dagli attacchi compiuti dall’esercito ucraino alla centrale di Kursk e dai concomitanti attacchi alla centrale nucleare di Zaporizhya. Che non si tratti di vaghe ipotesi o di propaganda filorussa è dimostrato dal fatto che L’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica, notoriamente orientata in senso filo-occidentale) è stata costretta, dalla gravità stessa della situazione, a verificare che, effettivamente, sia la centrale di Kursk che quella di Zaporizhia sono state bombardate. Come vediamo, nonostante esista un confronto, un dialogo tra Usa e Russia sulla linea rossa da non oltrepassare affinché il conflitto non degeneri in scontro nucleare – e probabilmente è stato proprio questo dialogo che ha ridimensionato i sogni inglesi, dell’establishment ucraino e di una parte dell’UE – la sconfitta dell’occidente sul piano militare spinge costantemente i settori più coinvolti nella guerra alla provocazione nucleare. Dobbiamo, inoltre, aggiungere, che in Russia esistono, all’interno dello stesso estabhlisment, forze consistenti di destra che, di fronte alle provocazioni occidentali, parlano sempre più esplicitamente di escalation e non disdegnano l’ipotesi di una conduzione di guerra più devastante e di utilizzo esplicito di armi nucleari. Come sempre l’estrema destra, più o meno consapevolmente, fa sempre il gioco dell’imperialismo occidentale.
Il dato che maggiormente colpisce è che di fronte ad alcune perplessità espresse dalla stampa statunitense rispetto a l'escalation nucleare, la posizione dominante delle élite europee è quella di sottovalutare costantemente il rischio, di continuare nelle provocazioni con la convinzione – quest’ tutta suprematista e muscolare – che si può innalzare quanto si vuole il conflitto tanto la Russia non risponderà mai su quel piano. Non è un caso che gli alti rappresentanti dell’Ue ( a partire da Borrel) hanno aperto una contraddizione all’interno dell’UE per inviare armi di lunga gittata all’esercito ucraino al fine di attaccare in profondità la Russia: cosa ci assicura che non siano utilizzate per attaccare obiettivi nucleari o per produrre una bomba nucleare sporca da gettare in territorio russo? Una domanda ulteriore: che senso hanno le dichiarazioni di Draghi e della Von Der Leyen sulla trasformazione dell’economia europea in economia di guerra, oppure le ripetute dichiarazioni – molto sentite tra le giovani generazioni – che si deve puntare verso una leva obbligatoria in tutti i paesi europei? Il mio realismo mi porta a pensare che i leader dei paesi occidentali – soprattutto europei – faranno di tutto per alimentare con tutti i mezzi possibili la guerra contro la Russia e non mi faccio alcuna illusione sull’elezione di Trump come chiave di volta della guerra: Trump può solo appaltare la guerra agli europei concentrandosi maggiormente sulla Cina e, al limite, puntare ad un armistizio. Delegare le nostre sorti alle elezioni americane, sperando che vinca l’estrema destra, è un’illusione infantile; le classi popolari in tutta Europa, ed in particolare in Italia ed in Germania, sono quelle che più hanno pagato economicamente gli effetti della guerra: l’inflazione spaventosa determinata dalle politiche protezionistiche e la progressiva trasformazione dell’economia in economia di guerra. Non possiamo assistere inermi ad un conflitto che rischia di distruggere le nostre vite, compito nostro è denunciare le nostre classi dirigenti per il grande pericolo verso cui, in maniera del tutto incosciente, stanno conducendo la stragrande maggioranza della popolazione. Dopo due anni e mezzo di martellamento mediatico e di bugie manifeste non possiamo assistere inermi all’escalation nucleare e all’arruolamento forzato dei nostri giovani verso una guerra che non capiscono. E’ giunto il momento di mobilitarci, di denunciare con maggiore forza il pericolo rappresentato dall’invio continuo di armi in Ucraina. Non si tratta, tuttavia, di un’operazione facile, l’ipotesi di un conflitto nucleare mette paura (ed è proprio con questa paura profonda che giocano le continue provocazioni della nato) l’atteggiamento comune – anche tra le persone più sensibili è quello di stigmatizzare – di considerare l’ipotesi – anche inconsciamente come remota, impossibile, ma non è così. Quando un potere è in declino – come lo è quello delle oligarchie dei paesi occidentali in crisi d’egemonia – l’irrazionalità diventa la norma, il combinato disposto d’informazione pilotata e controllata e di coercizione violenta producono azioni collettiva totalmente irrazionali. Senza una mobilitazione popolare, poi, il dissenso verso le politiche di guerra può essere canalizzato da forze di destra – per lo più trumpiane – che usano strumentalmente il disagio della piccola borghesia ma che non sono affatto contrarie all’aumento delle spese militari, al suprematismo occidentale e alla leva obbligatoria. Il percorso verso una mobilitazione di massa contro la guerra in Ucraina non è affatto facile, ci si deve scontrare contro le paure più profonde delle persone, ma è necessario: senza l’avvio di questo processo continueremo ad essere solo spettatori delle scelte folli di una classe dominante in crisi che non siamo in grado di denunciare e rischieremo di pagarla cara sia in termini economici – come già avviene – ma soprattutto della sopravvivenza nei nostri territori.