Perché le scuole non hanno aperto in sicurezza

I nomi dei partiti al governo cambiano, ma non le loro politiche: in primo luogo quelle economiche applicate alla didattica dimostrano che si tratta, nel concreto, di diverse fazioni del partito unico della restaurazione liberista.


Perché le scuole non hanno aperto in sicurezza Credits: https://www.inuovivespri.it/2019/03/13/la-vera-storia-del-sud-vista-con-gli-occhi-di-un-bambino-nel-1860-lassistenza-ai-ciechi-nel-regno-delle-due-sicilie/ “La parabola dei ciechi” di Pieter Bruegel il Vecchio (1568)

Sono anni che vengono regolarmente denunciati, in primo luogo da chi li vive sulla propria pelle, carenze e ritardi del sistema dell’istruzione italiano. Sono anni che è chiaro a chiunque ha avuto a che fare con la scuola pubblica che in Italia vi è un organico insufficiente, sia per quanto riguarda il personale docente, sia per quanto concerne il personale Ata. In entrambi i casi si tratta di lavoratori che hanno subito, da diversi anni, una costante detrazione del potere d’acquisto dei loro già miseri stipendi, tanto da divenire il personale scolastico peggio retribuito fra i paesi a capitalismo avanzato. Era, del resto, da tempo ben noto che l’Italia è decaduta tra i Paesi europei agli ultimissimi posti per quanto riguarda gli investimenti pubblici nel settore dell’istruzione statale. I costanti tagli alla scuola pubblica l'hanno dequalificata a tal punto che i nostri allievi, che erano fra i più preparati a livello europeo, stanno precipitando sempre più in basso nelle classifiche.

Perciò la pandemia non ha fatto altro che aggravare una situazione, per troppi aspetti già compromessa e non ha fatto altro che far emergere, in maniera ancora più evidente, lo stato di sostanziale abbandono dell’istruzione pubblica. Al punto che – con l’intervenire del Coronavirus, e la completa impreparazione in cui il paese è stato colpevolmente lasciato dalla classe dirigente – ben un alunno su tre ha finito con il rimanere di fatto tagliato fuori dalla didattica d’emergenza, ridenominata in modo eufemistico “didattica a distanza”. In tal modo sì è ulteriormente e altrettanto colpevolmente implementato il già pesante divario che separa, fin dalla più tenera infanzia, chi ha la fortuna di avere i mezzi socio-economici e culturali necessari alla sua formazione e chi né è incolpevolmente privo. Era, dunque, evidente quanto fossero significativi i problemi da affrontare a inizio maggio, dopo la fine del lockdown, per garantire la ripresa – quanto meno a metà settembre – della didattica in presenza in sicurezza, concretizzando le altisonanti promesse da marinaio del governo: “mai più il lockdown”.

Allo stesso modo era noto a tutti che a tale situazione si aggiungeva lo storico problema della questione meridionale e il crescente divario sociale, per cui le condizioni già disastrate dell’istruzione statale erano particolarmente drammatiche nel centro-sud, nelle isole e, più in generale, nelle periferie. Al punto che in tali zone il voto popolare aveva pesantemente punito il Partito democratico e i cespugli che lo coprono a sinistra, mentre il voto di protesta aveva finito per premiare, tanto da farne il più votato nel paese, il movimento che aveva meglio saputo interpretare il ruolo di partito anti-casta, in nome del più ampio rinnovamento. Il problema è che una volta al governo le forze del centrosinistra non hanno in nessun modo dimostrato di aver fatto tesoro delle profonde ingiustizie perpetrate dalle politiche neoliberiste e ancora di più i 5 Stelle hanno completamente tradito le speranze di rinnovamento che avevano saputo catalizzare. In tal modo, paradossalmente, hanno finito con il favorire la demagogia delle destre, sebbene siano quantomeno altrettanto responsabili della costante dequalificazione della scuola pubblica e del contino aggravarsi della questione meridionale e, più in generale, dell’accrescersi delle disparità sociali. Tanto più che il governo non ha neanche fatto finta di mostrare un minimo di discontinuità, nemmeno per quanto concerne la secessione dei ricchi, con la demenziale continuazione della politica volta all’inseguimento della Lega sul suo terreno, sino a farla divenire il primo partito del paese, nonostante i costanti scandali. In tal modo si è continuato nella direzione di penalizzare i più deboli, per favorire i più ricchi e forti.

Come appare sempre più evidente, proprio a proposito del sistema scolastico, nulla è sostanzialmente cambiato rispetto ai precedenti governi. I dogmi neoliberisti hanno ancora una volta avuto la meglio per cui nulla di significativo si è fatto per consentire una ripresa in sicurezza della didattica in presenza, con la parziale eccezione delle scuole primarie. Questo unicamente grazie alla significativa e inaspettata mobilitazione dei genitori delle famiglie non benestanti che – dimostrando ancora una volta che solo la lotta paga – ha costretto il governo ad allentare un minimo i cordoni della borsa. In realtà il problema di fondo non è – come pure è stato denunciato a sinistra – la mancanza da parte del governo di una visione d’insieme e la sostanziale mancanza di organizzazione e coordinamento. Al contrario, a far pagare ancora una volta il prezzo della crisi, anche a livello della formazione, ai ceti sociali subalterni è stato piuttosto la sostanziale adesione alla logica perversa del T.I.N.A., ossia la credenza che non esistano alternative al pensiero unico dominante finalizzato alla restaurazione liberista.

Certamente nei lunghi mesi trascorsi dall’inizio della pandemia, non sarebbe stato complicato da parte del governo individuare le carenze da sanare per ridurre il problema di fondo della scuola pubblica italiana. Un problema che, rimanendo irrisolto, non potrà consentire una ripresa in sicurezza della didattica in presenza, ovvero il vero e proprio dramma costituito dalle classi pollaio. Ciò nonostante nulla di significativo è stato fatto dal governo per ridurre il numero di alunni per classe. Al punto che si è lasciato dimettere il primo ministro dell’istruzione che aveva chiesto un minimo rifinanziamento della scuola pubblica e lo si è, senza colpo ferire, sostituito con chi dall’opposizione aveva meglio saputo cavalcare il dramma delle classi pollaio.

Non c’è stata nessuna pianificazione di quanto personale, di quanti spazi, di quanti banchi fossero necessari per eliminare le classi pollaio, conditio sine qua non per la ripresa di una didattica in presenza in sicurezza. Evidentemente, non era un problema di competenze o di mancanza di fondi – si pensi solo a quanto si è continuato a spendere per finanziare armi di distruzione di massa e la grande borghesia –, ma di una completa mancanza di volontà politica. Il tutto, si badi bene, senza minimamente contribuire a ridurre il debito pubblico che, da anni, è stato sapientemente sfruttato dalle classi dirigenti per giustificare il progressivo taglio delle spese sociali. Anzi, in questo caso si è sfruttato il presunto cataclisma “naturale” della pandemia per consentire – smentendo i dogmi economicisti considerati fino a quel momento indiscutibili, al punto da inserire la misura liberista del pareggio di bilancio in Costituzione – un significativo incremento del debito pubblico. Dunque, sebbene si sia realizzato, dopo anni di demonizzazione del debito pubblico, un significativo aumento dell’esposizione delle finanze pubbliche verso il capitale speculativo – adducendo come giustificazione, fra l’altro, proprio la necessità di rilanciare la scuola – nulla di significativo è stato fatto. Questo appare quanto mai evidente dalle enormi difficoltà incontrate nella tanto attesa riapertura delle scuole, visto che il personale scolastico è stato, nella gran maggioranza dei casi, abbandonato a se stesso e al solito si è continuato a ricorrere al volontariato.

Del resto, il governo della sedicente discontinuità si è mantenuto fedele al modello, ormai bipartisan, di gestione dell’istruzione incardinato sul mito della scuola-impresa, governata da dirigenti scolastici manager. Non ci voleva, dunque, la palla di vetro per prevedere come sarebbe andata a finire, ovvero con una riapertura delle scuole caratterizzata dall’ormai tradizionale mancanza di personale ancora più clamorosa del solito, con le ormai consuete classi pollaio, con i residui mezzi pubblici in cui non sarà possibile mantenere, in nessun modo, le distanze di sicurezza. Anzi senza che, nella maggior parte dei casi, si siano nemmeno intraviste le aule in più che sarebbero dovute divenire disponibili e i tanto decantati banchi monoposto. Tanto che persino, in diversi casi, vi è una carenza persino delle mascherine.

Sì è così arrivati, senza colpo ferire, alla tanto decantata riapertura, con la presunta didattica in presenza, delle scuole, che si sta rivelando un quasi completo fallimento. A dimostrazione che il governo ha sprecato il prezioso tempo che pur ha avuto a disposizione, puntando unicamente a favorire – costi quel che costi – il profitto dei privati, anche in modi a dir poco farneticanti, come nel caso delle riaperture delle discoteche. Così ci ritroviamo da capo a dodici con i contagi in costante risalita e con scuola e sanità pubblica, al solito, sostanzialmente abbandonate a loro stesse, dopo anni di costanti tagli a tutto favore dei privati.

Il tutto “narrato” dal governo – con la ormai consueta copertura degli organi di (dis)informazione di massa – come se si trattasse di una situazione di assoluta emergenza, del tutto imprevista e imprevedibile, una situazione di forza maggiore contro la quale non si dovrebbe che pazientare, dinanzi ai pesanti disagi che necessariamente avrebbe dovuto comportare. Così, ancora una volta, i prevedibilissimi effetti catastrofici – per la grande maggioranza della popolazione e in particolare per gli sfruttati e i subalterni – dovuti all’adozione incondizionata dei dogmi della restaurazione liberista vengono naturalizzati o addebitati a un presunto destino cinico e baro.

Dall’altra parte, tanto la drammatica condizione delle scuole pubbliche, come le altrettanto drammatiche condizioni di vita della masse sfruttate non sono certo anch’esse delle presunte conseguenze del fato o il prodotto necessario di una crisi economica che sarebbe stata prodotta dall’altrettanto imprevedibile sopraggiungere della pandemia, ma sono la conseguenza – questa sì realmente necessaria – della passività, dell'arrendevolezza e della mancanza di coscienza di classe della grande maggioranza dei lavoratori sistematicamente sfruttati mediante il lavoro salariato.

21/09/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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