È attualmente piuttosto tipico fra gli intellettuali tradizionali progressisti vagheggiare un quarto polo di sinistra. Si tratterebbe certamente di un passo in avanti per il nostro paese, considerato che il bipolarismo fra un centro-destra liberista e una destra populista è stato sostituito da un sistema tripolare con l’aggiunta di un partito di centro qualunquista che non si professa né di destra né di sinistra. Così il becero populismo berlusconiano si è riprodotto non solo a livello internazionale, conquistando gli stessi Usa, ma si è diffuso egemonizzando le restanti principali forze politiche con Salvini, Renzi e Grillo.
Purtroppo, attualmente, il quarto polo rappresenta poco più di una pia illusione, non solo perché è attualmente suddiviso in un crescente pulviscolo di micro-gruppi che tendono a scindersi e a riaggregarsi sulla base di dinamiche meramente elettoralistiche, ma perché rappresentano tre tipologie di “sinistra” ben differenti. Abbiamo così, a dimostrazione di quanto il termine in Italia abbia assunto un significato del tutto aleatorio, una “sinistra” liberista, che ha come padre nobile Romano Prodi, il grande demolitore del settore pubblico e fautore dell’austerity in nome dell’Euro. Cotesti social-liberisti hanno sempre sostenuto i governi “tecnici” che hanno colpito nel modo più spietato i ceti sociali subalterni e tutt’oggi, vagheggiando con D’Alema un nuovo Ciampi, appoggiano l’attuale governo Gentiloni, che sta assumendo sempre più chiaramente i connotati di un governo tecnico.
Nella questione europea, in cui emergono nel modo più chiaro le differenze a sinistra, i social-liberisti (socialisti a parole e liberisti nei fatti) sono europeisti acritici, anzi, al solito più realisti del re invocano generalmente più Europa. Attualmente, essendo i principali fautori della metamorfosi in governo tecnico del governo Gentiloni, ne sostengono implicitamente la concezione attualmente dominante nell’establishment europeo, ossia un’Europa a due velocità, con l’Italia nel gruppo dei più diligenti esecutori delle politiche di austerità.
Vi è poi una seconda sinistra – per semplificare (visto che è una compagine altrettanto complessa e variegata della prima che va da Smeriglio a D’Alema) andando dall’Arci alla maggioranza del Prc – che aspira a essere di lotta e di governo. Si tratta, nei fatti, di quella sinistra riformista di cui già Gramsci scriveva che da ala destra del movimento dei lavoratori era divenuta ala sinistra dello schieramento borghese. È proprio quest’ultima che vagheggiando una fantomatica “nostra Europa” evita di sviluppare una critica radicale dell’Europa reale e tantomeno mette in campo una prassi in grado di ostacolarla [1].
Non a caso si tratta della stessa “sinistra” che, pur arrivando nelle sue frange più radicali ad agitare la parola d’ordine della disobbedienza ai trattati europei, si è pienamente identificata con un leader come Tsipras che, pur di andare al governo, si è coalizzato con la destra sciovinista e per mantenervisi ha eseguito pressoché alla lettera i diktat della Troika, sebbene avesse avuto dalle elezioni e dal referendum un preciso mandato a seguire una linea antitetica.
Tale sinistra il 25 marzo, in occasione del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, in cui si ufficializzerà l’Europa liberista a due velocità, manifesterà con la parola d’ordine della “Nostra Europa”, finendo con il riunirsi con chi marcerà per un’Europa federalista, mantenendosi invece a distanza di sicurezza dalla sinistra che manifesterà contro l’Ue, l’euro e la Nato. In tal modo questa fetta maggioritaria della sinistra, che include gli stessi movimentisti, finisce per isolare la componente della sinistra coerentemente alternativa e radicale che non può che avere come principale nemico il proprio imperialismo, ovvero quello italiano sempre più integrato nel costituendo imperialismo europeo. In tal modo si finisce nei fatti con il lasciare campo libero alla destra “sociale” che sventola populisticamente l’antieuropeismo e spinge per una soluzione sciovinista e razzista ancora più reazionaria dell’Europa reale. Sostenere che non sarebbe il caso di portare avanti da sinistra la lotta contro l’Europa reale, dal momento che essa sarebbe egemonizzata dalle forze reazionarie, finisce con il ridursi alla contraddittoria dinamica della profezia che si autoavvera.
Al contrario di quanto sostiene chi mira a rappresentare elettoralmente sia la sinistra europeista che quella antieuropeista, non si tratta di una pura differenza tattica, aggirabile con l’espediente di aderire a entrambe le manifestazioni. Si tratta, infatti, di una opposizione strategica che ha da sempre contrapposto la sinistra mirante a riformare il sistema – contrapponendo un ideale fantasmagorico ai reali assetti strutturali del capitalismo – e la sinistra anti-sistemica. Non a caso storicamente tale scissione – che ha consentito al capitalismo per quanto in crisi di rimanere il modo di produzione dominante – si è consolidata sul diverso giudizio e, di conseguenza, sull’opposta prassi nei confronti del proprio imperialismo.
Già a fine ottocento i seguaci di Bernstein ritenevano necessario superare la netta opposizione alle politiche colonialiste, per non contrastare nei fatti quelle portare avanti dal proprio paese, in quanto esse avrebbero comunque contribuito a portare, sebbene con mezzi esecrabili, il progresso in popoli altrimenti destinati a vivere nella barbarie. In tal modo l’imperialismo avrebbe nei fatti contribuito all’affermazione a livello internazionale del capitalismo, creando le condizioni migliori per lo sviluppo in senso socialista.
Tali concezioni si sono ripresentate, necessariamente in forme diverse, quando l’attuale sinistra riformista ha giustificato la propria mancata opposizione radicale alle aggressioni imperialiste condotte dalla Nato, con il pieno sostegno dell’Italia e della quasi totalità dei paesi della Ue, sostenendo che si trattava di paesi con governi tirannici e antipopolari, la cui caduta avrebbe comunque creato condizioni migliori per la lotta per il socialismo e la democrazia. Anche in questo caso la storia non ha insegnato un bel nulla a chi non vuole capire, considerato quello che è avvenuto a seguito della guerra in Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia e Siria, per non parlare delle rivoluzioni colorate più o meno orchestrate dalla Nato, a partire dalla più recente in Ucraina.
Come è noto, tale spaccatura si è riprodotta alla vigilia della prima guerra mondiale, sancendo la duratura scissione fra socialisti riformisti e comunisti rivoluzionari. Anche in questo caso l’appoggio indiretto al proprio imperialismo e alle sue politiche guerrafondaie è stato giustificato con l’esigenza di combattere l’imperialismo straniero, che guarda caso è sempre stato considerato più reazionario del proprio. Sin dai tempi del golpista De Gaulle il sostegno della sinistra riformista ai primi passi dell’integrazione dei paesi imperialisti europei è stato giustificato come strumento tutto sommato positivo per contrastare il più aggressivo e pericoloso imperialismo a stelle e strisce.
Tali concezioni hanno finito per fare breccia, con la disgraziata stagione dell’Eurocomunismo, anche fra i principali partiti comunisti dell’Europa occidentale, i più vulnerabili all’egemonia ideologica del nemico di classe, portandoli nei fatti a tirarsi fuori dalla guerra fredda contro l’imperialismo, sino a Berlinguer che dichiarava di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello della Nato.
Questa logica, nei fatti antirivoluzionaria, di sostenere il proprio imperialismo – che sarebbe al contrario necessario rovesciare per affermare il socialismo – per mettere in difficoltà l’imperialismo concorrente, considerato al solito maggiormente pericoloso, ha raggiunto un nuovo apice durante la seconda guerra in Iraq, quando persino intellettuali italiani marxisti di spessore hanno tessuto le lodi del costituendo imperialismo europeo sull’asse franco-tedesco, in funzione anti americana.
Tali posizioni, che Lenin considerava l’apice dell’opportunismo, sono divenute più deboli ai tempi del governo Obama, quando l’imperialismo francese, alleato di ferro dell’Arabia Saudita, è divenuto decisamente più aggressivo di quello statunitense, anche sotto un governo socialista che aveva come ministro degli esteri il principale esponente dell’ala sinistra di tale partito.
Ora, con l‘elezione di Trump e i suoi attacchi all’Unione europea, tali posizioni stanno risorgendo, consentendo all’establishment europeo di cogliere la palla al balzo per rilanciare le spese militari in vista della costituzione dell’esercito europeo. Salvo poi, negli incontri con Trump dei presidenti dei principali paesi Ue, venire immediatamente incontro alle sue richieste per aumentare i finanziamenti alla Nato, sebbene quest’ultima garantisca a un generale americano il controllo sulle stesse forze impegnate nello scacchiere europeo.
È presumibilmente proprio il nodo della Nato che rende particolarmente evidente l’insostenibilità dei sostenitori di una “nostra Europa” ideale, del tutto campata in aria dinanzi all’aspetto sempre più inquietante dell’Europa reale. Quest’ultima, infatti, riconosce proprio nella Nato – la più grande e aggressiva alleanza militare imperialista della storia – il “fondamento della difesa collettiva”, tanto che ne fanno parte integrante paesi con oltre il 90% della popolazione dell’Unione europea. Il pericolo per la stessa sopravvivenza della specie umana rappresentato dalla Nato, e del tutto sottovalutato dalla sinistra europeista, appare evidente anche dalla più recente operazione portata avanti nel nostro paese: “l’esercitazione navale Nato Dynamic Manta cui partecipano le marine militari di Stati uniti, Canada, Italia, Francia, Spagna, Grecia e Turchia. La punta di lancia delle 16 unità navali impegnate è il sottomarino nucleare statunitense da attacco rapido California SSN-781”. Come è evidente non solo i paesi imperialisti come il nostro sono impegnati a fianco degli Stati Uniti e della stessa Turchia di Erdogan, ma in tale cooperazione è pienamente coinvolta la Grecia governata da Tsipras, modello della sinistra riformista, che per altro, nonostante la crisi, è il paese che spende in proporzione di più in armi dell’intera Ue.
Al contrario la parola d’ordine dell’uscita dalla Nato è in primo piano nella manifestazione della sinistra contraria alla Ue. D’altra parte tale sinistra, proprio perché costretta all’angolo dalla sinistra riformista oggi dominante, e naturalmente anche dai mezzi di comunicazione “di sinistra”, corre il rischio di non essere sufficientemente selettiva, per evitare le accuse, per quanto pretestuose, dei suoi detrattori. In effetti, il dominio ideologico della classe dominante è talmente pervasivo e la lotta per rilanciare l’unica reale alternativa a esso, il socialismo scientifico, è così debole in Italia, da far sì che anche nella sinistra radicale si siano insinuate posizioni ambigue e, come insegna la storia, pericolosissime che sostengono il superamento della differenza fra destra e sinistra.
Note
[1] Per limitarci a un esempio dello scarto esistente fra la visione idealizzata dell’Europa e la sua tanto meschina quanto spietata realtà, basta citare le più recenti dichiarazioni del presidente dell'Eurogruppo, Dijsselbloem: "Durante la crisi dell'euro i Paesi del Nord hanno dimostrato solidarietà con i Paesi più colpiti. Come socialdemocratico do molta importanza alla solidarietà, ma hai anche degli obblighi, non puoi spendere tutti i soldi per alcol e donne e poi chiedere aiuto".