Facciamo errori nuovi! Considerazioni sull’attuale tragedia greca

Anima e fine della tragedia greca è la catarsi, ossia la capacità di riconoscersi nel tragico destino dei suoi protagonisti per evitare di ripercorrerlo. La riflessione sui drammatici avvenimenti greci non può che suscitarci, quella paura e quel terrore che la catarsi tragica permettono di superare, facendo tesoro del tragico destino di un altro in cui ci riconosciamo e che, perciò, compatiamo


Facciamo errori nuovi! Considerazioni sull’attuale tragedia greca

Anima e fine della tragedia greca è la catarsi, ossia la capacità di riconoscersi nel tragico destino dei suoi protagonisti per evitare di ripercorrerlo. La riflessione sui drammatici avvenimenti greci non può che suscitarci, quella paura e quel terrore che la catarsi tragica permettono di superare, facendo tesoro del tragico destino di un altro in cui ci riconosciamo e che, perciò, compatiamo.

di Renato Caputo

L’agire dell’uomo ha necessariamente una struttura tragica. Per quanto agiamo, a differenza degli altri animali, sulla base di un progetto razionale, i risultati dell’azione non corrispondo mai al proposito. Nell’agire la nostra volontà più o meno razionale entra in rapporto con l’altro da sé, la natura e il mondo storico sociale e le volontà più o meno razionali degli altri, che a loro volta reagiscono e deviano il risultato dell’azione dalla sua intenzione iniziale. Certo, compiendo un’azione per la prima volta la deviazione del risultato dell’azione dall’intento originario è tale che abbiamo persino difficoltà a riconoscerci in ciò che abbiamo contribuito a produrre. Pensiamo ad esempio alle difficoltà che hanno avuto e hanno ancora sinceri rivoluzionari a riconoscersi nei risultati della Rivoluzione di Ottobre. Più le azioni si ripetono, più aumenta l’esperienza e la possibilità di prevedere, entro un certo limite, la resistenza dell’ambiente naturale e storico-sociale e le reazioni degli altri. In tal modo, pur divergendo, il risultato dell’azione appare meno distante dall’intento iniziale. Per rimanere in tema, credo sia evidente, che sia stato e sia ancora meno difficile riconoscere l’intento iniziale della rivoluzione cubana nei suoi sviluppi, rispetto agli sviluppi decisamente più tragici e contraddittori della Rivoluzione di Ottobre.

Proprio per questo è essenziale riflettere con attenzione in particolare sulle azioni significative del passato, per comprendere che cosa non ha funzionato, ossia che cosa ha reso difficile riconoscere nel risultato il proposito iniziale. Non a caso il sano buon senso umano ci ricorda che solo sbagliando si impara, ossia solo riflettendo sugli errori del passato si potranno compiere meno errori nel futuro e soprattutto errori nuovi. Non a caso è lo stesso buon senso a ricordarci che errare è umano, ma perseverare nell’errore è diabolico. In altri termini, i rivoluzionari e gli stessi progressisti continueranno ad apprendere a trasformare radicalmente l’esistente a forza di errori, tentativi e approssimazioni, l’importante è che evitino, per quanto possibile, di ripetere gli errori da loro stessi o dai loro predecessori compiuti nel passato. Altrimenti non c’è reale sviluppo storico, tanto più che generalmente quando la storia si ripete, perde l’aura tragica del passato divenendo una farsa.

Ora è evidente a chiunque non ragioni astrattamente, sulla base di un intento ideologico, che la tragedia dell’azione di governo di Syriza ha una dimensione allarmante. Ossia i risultati, un nuovo terribile piano di austerità, sono estremamente divergenti dall’intento iniziale, il programma di Salonicco. È altrettanto evidente che, essendo i primi ad aver vinto le elezioni e ad aver provato a governare con l’intento di farla finita con le politiche di austerità sperimentate in tutti gli altri paesi, il compito che avevano davanti era certamente estremamente complesso, proprio perché inedito. Ciò non toglie che sia oggi necessario riflettere sui motivi di questa sconfitta, anche perché almeno in parte è anche la nostra sconfitta.

Dal nostro punto di vista radicalmente immanentista, dal punto di vista del materialismo storico e della filosofia della prassi, è evidente che le ragioni degli eventi vanno comprese ricostruendone la storia, che resta l’unica istanza in grado di formulare un giudizio universale sulle azioni dei singoli individui.

A questo proposito è interessante ricordare come reagirono Marx ed Engels dinanzi a un grande tentativo di trasformazione storica dei loro tempi: la Comune di Parigi. Innanzitutto, riflettendo sulle possibilità di successo di un tale tentativo di trasformazione radicale dell’esistente, Marx ed Engels fecero il possibile per impedire un’azione il cui risultato sarebbe stato troppo discordante con l’intento iniziale. Ma come è noto, l’azione è sempre una scommessa, e sono generalmente le circostanze a indurla. Così i parigini insorsero. A quel punto Marx ed Engels abbandonarono le precedenti critiche e fecero di tutto per raggiungere la Comune di Parigi, sebbene fossero certi che sarebbe stata repressa nel sangue. Non potendo raggiungerla la sostennero, pur cercando di stimolare i comunardi, ormai messisi sul cammino di una rottura rivoluzionaria, a non arrestarsi a metà dell’opera. Evidentemente uno schiavo che spezza le catene non può avere speranze di successo se una volta iniziata la rischiosissima opera di liberazione non prende tutte le misure indispensabili per portarla a termine. Infine una volta sconfitta la Comune, Marx ed Engels pur difendendola a spada tratta da ogni critica da destra, non esitarono a mettere in evidenze le ragioni della sconfitta, gli errori compiuti.

Tornando a noi, evidentemente un comunista non poteva che essere certo, dal punto di vista teorico, che il tentativo di riformare dall’interno, a partire dalla Grecia, l’Unione (imperialista) europea era inevitabilmente destinata al fallimento. È inutile girarci intorno, la differenza essenziale fra un socialdemocratico e un comunista resta che il primo si illude, se in buona fede, che sia possibile riformare dall’interno il modo di produzione capitalistico, mentre il comunista ritiene indispensabile rompere nel modo più netto con esso, per poter iniziare a costruire, su fondamenta profondamente diverse, il modo di produzione socialista.

Nel momento in cui i compagni di Syriza, tentati dall’occasione della completa perdita di credibilità dei partiti borghesi, hanno tentato questa rischiosa avventura di governo, pur essendo convinti teoricamente dell’impossibilità di questo intento, i comunisti avrebbero dovuto supportarla criticamente. In altri termini avrebbero dovuto evitare sia di attaccare frontalmente il governo di sinistra greco, quasi che fosse il principale avversario, sia di limitarsi alla sua acritica apologia, sperando di ritagliarsi un posto sul presunto carro dei vincitori.

Ora che l’intento di riformare dall’interno, a partire dalla Grecia, l’Unione europea è indubbiamente fallito, è indispensabile fare un bilancio storico e non coltivare l’illusione che un analogo tentativo in Spagna, ad esempio, sarebbe destinato al successo. Errare è umano, perseverare sarebbe diabolico.

In primo luogo, da un punto di vista comunista, non si può che trovare ancora una volta la conferma che un sistema oppressivo come quello capitalista non può essere umanizzato, per quanti fiori si possano mettere sulle catene, queste ultime costringono i lavoratori alla alienante schiavitù del lavoro salariato, il cui sfruttamento si fonda sulla proprietà privata sempre più monopolistica dei mezzi di produzione e di sussistenza, da parte di una ristretta classe che ha anche il monopolio della violenza legale e il quasi completo monopolio degli organi di informazione. Da questo punto di vista continuare a illudersi o peggio a illudere i lavoratori che l’Unione europea, sorta proprio in funzione di questo modo oppressivo di produzione, per altro in una crisi sempre più irreversibile, si fondi sulla libertà, la democrazia e sia l’erede della civiltà occidentale significa andare in direzione opposta alla verità, in quanto tale rivoluzionaria.

L’idea che sia possibile governare a sinistra un’unione nata con questo intento, che delega la propria salvaguardia alla più terribile e violenta organizzazione militare della storia, volta ad affermare l’imperialismo, è insensata. Ancora più insensata è la prospettiva di ritenere che proprio quell’unione che impone a livello internazionale il capitalismo, con le buone e con le cattive, che sostiene direttamente e indirettamente tutte le forze politiche, anche golpiste e terroriste che perseguono questo intento, che costruisce muri e flotte per consentire di poter creare una nuova classe di schiavi, gli immigrati clandestini, possa aspirare a guidare l’umanità sulla strada della liberazione dall’imperialismo e dallo sfruttamento.

Del resto, come è evidente che all’interno di una nazione la classe “naturalmente” rivoluzionaria non può che essere la classe che non ha altro da perdere che le proprie catene, allo stesso modo è evidente che anche a livello internazionale sono “naturalmente” portati ad assumere posizioni di rottura con l’ordine costituito quelle popolazioni che hanno da perdere soltanto le proprie catene. Dovrebbe essere ormai patrimonio storico acquisito che gli extra-profitti prodotti da una politica imperialista all’estero permettono di corrompere il gruppo dirigente del proletariato dei paesi imperialisti, costituendo un’aristocrazia operaia, dedita a difendere i propri privilegi, per quanto limitati, di contro a ogni tendenza rivoluzionaria.

In secondo luogo è evidente che in un’epoca come la nostra, in cui il capitalismo è in crescente crisi e i rapporti di forza a livello internazionale sono decisamente favorevoli ai sostenitori della conservazione e non ai fautori della trasformazione radicale dell’esistente, i margini di riformismo sono enormemente ristretti. A ricordarcelo basterebbero gli accordi su cui si fonda l’Unione europea, a partire dai trattati di Lisbona fino ad arrivare al pareggio di bilancio in Costituzione, esteso fino ai comuni e, infine, alla spada di Damocle del Fiscal Compact che minaccia sempre più da vicino tutti i lavoratori salariati dell’Ue.

Se in epoca di sviluppo economico, di limitata disoccupazione, che favoriva lo sviluppo delle lotte del movimento dei lavoratori, di equilibrio del terrore fra paesi capitalisti e paesi, almeno in teoria, in transizione al socialismo, era persino conveniente alla classe dominante redistribuire una parte dei profitti alle classi subalterne, oggi, con la tendenziale caduta del tasso del profitto, ciò diviene oggettivamente sempre più  difficile. In fasi di crisi la concorrenza è sempre più spietata e il singolo imprenditore o il singolo paese che concedesse qualcosa di troppo ai subalterni rischierebbe di essere travolto da chi fa il contrario.

In terzo luogo è indispensabile ricordare e far comprendere alle masse che sino a quando la società sarà divisa in classi sociali, queste ultime avranno interessi discordanti. Perciò, solo la lotta di classe paga, ossia permette dei reali avanzamenti. In altri termini non ci sono diritti, patti o accordi che tengano, visto che in una guerra, tanto più in una guerra civile come quella fra le classi sociali ciò che decide sono sempre i rapporti di forza. Da questo punto di vista l’errore principale, in quanto si tratta di una menzogna, che diseduca le masse, è quello di dare a intendere che sia possibile ottenere condizioni vantaggiose attraverso accordi e trattative, celando che in ultima istanza quello che si otterrà dipende dai rapporti di forza messi in campo nel conflitto sociale a livello nazionale, internazionale e ideologico. Da questo punto di vista particolarmente ingenuo è stato l’atteggiamento di quei professori prestati alla politica che hanno condotto parti delle trattative come se si fosse in un congresso scientifico in cui le tesi maggiormente razionali e scientifiche avrebbero dovuto necessariamente prevalere sulle altre. Le cose sono andate al solito in modo opposto e il cavaliere della virtù ha dovuto necessariamente cedere, da vero Don Chisciotte, all’uomo del corso del mondo, che ha contrapposto e poi imposto con la violenza, finanziaria, il proprio punto di vista apertamente ideologico ai teoremi scientifici dei professori greci. Ancora più negativi, dal punto di vista pedagogico, sono le foto e i resoconti pieni di sorrisi e strette di mano durante le trattative, quasi si trattasse di trovare la soluzione migliore per tutti fra un gruppo di vecchi amici o un Gentlemen's agreement. Ben altro era il modo di fare, ad esempio, dei vietnamiti durante le trattative con gli statunitensi. Non vi erano sorrisi, né strette di mano, le delegazioni entravano e uscivano da porte separate, proprio perché bisognava sottolineare che si trattava solo di trattative all’interno di un conflitto fra posizioni contrapposte e interessi necessariamente discordanti.

In quarto luogo, per limitarci solo agli aspetti più eclatanti, l’errore da non ripetere, anche perché non si tratta neppure di una novità giustificabile sulla base dell’inesperienza, è il culto per l’immagine di un leader. Lo sciagurato e assolutamente diseducativo culto che si è diffuso nella asinistra di tutta Europa per Alexis Trispras, infatti, non può neppure essere considerato un culto della personalità, Nel caso di Tsipras infatti non era in questione la personalità del leader, le sue opere teoriche o le conquiste politiche da lui ottenute, ma secondo il modello televisivo proprio della società dello spettacolo, e importato dagli Stati Uniti, l’immagine giovanile e attraente del leader. Tale culto per l’immagine del leader è stata la dimostrazione più evidente della completa sconfitta, dal punto di vista dell’egemonia culturale e ideologica, in quanto la sinistra per Tsipras ha accettato di affrontare l’avversario nel suo campo, l’estetizzazione della politica, sul quale per altro è quasi impossibile sconfiggerlo. Inoltre ha fatto perdere di vista che la forza di Tsipras nelle trattative dipendeva non dalle sue doti taumaturgiche, ma dalle lotte condotte dalle masse organizzate in un partito. La dialettica e il dibattito interno a quest’ultimo è stato così oscurato, sostituendo al centralismo democratico il centralismo burocratico, e portando paradossalmente molti che si definiscono comunisti e di conseguenza rivoluzionari ad appoggiare a prescindere le posizioni di Tsipras, anche quando ha finito con lo schiacciarsi sulle posizioni social-liberiste dell’ala destra del suo partito, combattendo una battaglia senza esclusioni di colpi con l’ala sinistra di ispirazione comunista.

02/08/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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