Il sistema capitalistico, con il suo produttivismo e la ricerca del massimo profitto sta producendo una vera e propria devastazione ambientale che potrebbe avere conseguenze disastrose per il genere umano.
La stessa attività economica così come è organizzata, con la sovrapproduzione sistematica di beni materiali spesso inutili a soddisfare i bisogni reali della popolazione, con l'organizzazione irrazionale che costringe milioni di lavoratori e lavoratrici a spostarsi per raggiungere il posto di lavoro e che produce merci a migliaia di chilometri da dove vengono effettivamente consumate, sta determinando un’evidente alterazione dell’ecosistema “Terra” che sta per raggiungere un punto di non ritorno.
Il riscaldamento del sistema climatico mondiale è inequivocabile e, a partire dagli anni '50, molti dei cambiamenti osservati sono senza precedenti su scale temporali che variano da decenni a millenni. L'atmosfera e gli oceani si sono riscaldati, le quantità di neve e ghiaccio si sono ridotte, il livello del mare si è alzato e le concentrazioni di gas serra sono aumentate. Che le suddette variazione del sistema climatico siano causate dall'attività umana è un fatto oramai acquisito.
La temperatura atmosferica superficiale mostra che ciascuno degli ultimi tre decenni sulla superficie della Terra è stato in sequenza più caldo di qualsiasi decennio precedente dal 1850 a oggi. Nell'emisfero settentrionale, il periodo 1983-2012 è stato probabilmente il trentennio più caldo degli ultimi 1.400 anni. Il riscaldamento degli oceani è il fattore predominante in fatto di aumento di energia immagazzinata nel sistema climatico ed è responsabile di più del 90% dell'energia accumulata tra il 1971 e il 2010.
Nel corso degli ultimi vent'anni, le calotte glaciali di Groenlandia e Antartide hanno perso la loro massa, i ghiacciai hanno continuato a ritirarsi in quasi tutto il pianeta, mentre l'estensione del ghiaccio marino artico e la copertura nevosa primaverile nell'emisfero nord hanno continuato a diminuire in estensione. Il tasso di innalzamento del livello del mare dalla metà del XIX secolo è stato più grande dei 2.000 anni precedenti. Le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica, metano, e protossido di azoto sono aumentate a livelli senza precedenti almeno rispetto agli ultimi 800.000 anni. L'oceano ha assorbito circa il 30% dell'anidride carbonica di origine antropogenica emessa. L’esito è stato l’acidificazione delle proprie acque.
Il cambiamento climatico che si sta sviluppando nel corso del 21° secolo è destinato a ridurre significativamente i corpi idrici rinnovabili di superficie e le risorse idriche sotterranee nella maggior parte delle regioni, con conseguente deterioramento della qualità dell'acqua naturale, e comporterà rischi per la potabilità delle acque, anche dopo i trattamenti convenzionali, a causa dell’interazione tra più fattori: aumento della temperatura; aumento dei sedimenti, dei nutrienti e dei carichi inquinanti a causa delle forti piogge; aumento della concentrazione di inquinanti durante i periodi di siccità; rottura degli impianti di trattamento durante le inondazioni. Inoltre, la variazione climatica di vaste regioni del mondo sta producendo una costante alterazione delle biodiversità: specie animali e vegetali in costante via di estinzione.
Sulla base di molti studi che coprono una vasta gamma di regioni e colture, gli impatti negativi dei cambiamenti climatici sulle rese dei raccolti sono oramai evidenti. Il cambiamento climatico ha influenzato negativamente le rese del frumento e del mais per molte regioni e nel totale della produzione mondiale. Tutti gli aspetti della sicurezza alimentare sono potenzialmente colpiti dai cambiamenti climatici, tra cui l'accesso al cibo, il suo utilizzo e la stabilità dei suoi prezzi.
Tutto questo per effetto di un sistema capitalistico che utilizza in primo luogo i combustibili fossili per la produzione di energia (fattore principale dell’incremento del 40% della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera dall'età pre-industriale ad oggi) e in seconda istanza per le emissioni nette legate al cambio di uso del suolo (deforestazione e cementificazione di aree sempre più estese).
Le catastrofi naturali sono già in corso e i loro effetti hanno una caratterizzazione sociale evidente: uragani, inondazioni, siccità etc., colpiscono gli strati più deboli della società che non hanno i mezzi per prevenire i danni o per allontanarsi dalle zone a rischio e che sono quindi costretti a vivere in territori divenuti sempre più precari. I prossimi decenni saranno sicuramente caratterizzati da nuovi fenomeni migratori di popoli per gli effetti correlati alle catastrofi naturali.
Le continue emissioni di gas serra causeranno un ulteriore riscaldamento e cambiamenti in tutte le componenti del sistema climatico. Limitare il cambiamento climatico richiederà una radicale e prolungata riduzione in tempi molto brevi delle emissioni di gas serra. L’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) indica che le emissioni vanno ridotte subito, il riscaldamento è già a 1°C a livello globale e, per mantenerlo sotto 1,5°C, le emissioni devono essere ridotte di circa il 45% entro il 2030. L’allarme lanciato è che ad oggi abbiamo a disposizione solo 11 anni per fermare il cambiamento climatico.
Mai nella storia del genere umano ci si è trovati di fronte ad una problematica così grande, che impone interventi coordinati di ordine mondiale e che il sistema economico-politico dominante per sua stessa natura non è in grado di risolvere: competizione, produttivismo e sfruttamento non sono compatibili con gli interventi che sarebbero necessari per cominciare ad invertire il degrado fin qui descritto.
Ne abbiamo conferma dalle periodiche conferenze internazionali fin qui svolte (COP24 inclusa) dove, nonostante gli annunci da parte dei media di accordi storici, in sostanza non si sono mai raggiunte intese vincolanti, né sono stati varati programmi coordinati finalizzati a una seria e definitiva riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
Se il nostro pianeta deve essere salvato è assolutamente necessario sfidare le leggi del capitalismo. L’accumulazione capitalistica è potenzialmente illimitata, e quindi richiede una produzione-consumo sempre crescente di energia, che attualmente viene prodotta per l’80% da combustibili fossili. Nonostante la crisi economica degli ultimi anni, la produzione e il consumo di energia nel mondo sono costantemente aumentate. Le risorse del nostro pianeta e la loro rigenerazione non reggono più al ritmo di consumo e devastazione che il sistema impone. La quota di energia prodotta da fonti rinnovabili (circa il 20%) risulta, secondo i dogmi del mercato, molto più costosa e poco efficiente rispetto alle fonti fossili, e inoltre, al momento, tali fonti non riuscirebbero da sole a rimpiazzare in termini quantitativi la produzione totale ricavata dalle fonti fossili (se escludiamo il nucleare).
Da ciò consegue che, alla base del problema del cambiamento climatico vi è la questione dell’energia o, più precisamente, il nostro consumo energetico complessivo e la nostra dipendenza dai combustibili fossili. Per riuscire a limitare il riscaldamento globale, il mondo ha l’immediata necessità di impiegare l’energia in modo efficiente, avvalendosi delle fonti di energia pulita per far muovere le cose, riscaldare e raffreddare. Quindi l’urgenza di una transizione verso un sistema di produzione e consumo di energia ecosocialista che definisca quanta e come deve essere prodotta e consumata l’energia necessaria per i bisogni di tutta la collettività.
La produzione e il consumo di energia devono essere sotto controllo pubblico con meccanismi democratici di autogoverno e partecipazione della popolazione. Bisogna abbandonare quasi completamente l’uso di combustibili fossili, vale a dire dimezzare l’attuale consumo di energia. Questo sarà possibile soltanto riducendo in misura sostanziale la lavorazione e il trasporto dei materiali necessari per la produzioni di beni. Vanno aboliti tutti i diritti di proprietà su fonti naturali e riserve di combustibili fossili, e le conoscenze tecnologiche per lo sviluppo e la produzione di energia da fonti rinnovabili dovranno essere di proprietà pubblica. Una grande quantità di energia è utilizzata per il trasporto di merci e persone che va quindi ottimizzato riducendo il quantitativo di merci spostato e privilegiando per le persone mezzi di trasporto collettivi.
Servono grandi investimenti per la ricerca e lo sviluppo di nuove fonti di energia ecosostenibili e per garantirne il quantitativo necessario stabilito attraverso la programmazione democratica. Lo stato deve nazionalizzare senza indennizzo le aziende che abbiamo messo in opera produzioni inquinanti e requisire le relative proprietà al fine di riconvertire le produzioni tutelando il lavoro, la salute e la sicurezza pubblica (es. ex ILVA di Taranto). Sono necessari altri ingenti investimenti pubblici per la tutela e il miglioramento del patrimonio ambientale, per la riparazione dei danni ecologici e per la messa in sicurezza del territorio e del patrimonio edilizio esistente.
È necessaria l'adozione di una strategia di rifiuti zero gestita dal pubblico. Diminuzione dei rifiuti attraverso la riduzione degli imballaggi, il riutilizzo dei prodotti e il recupero dei materiali riciclabili. Vanno messe in atto strategie di mobilità sostenibile, attraverso il potenziamento del trasporto collettivo pubblico e la disincentivazione del trasporto privato inquinante.
Pensiamo quindi che bisognerebbe investire in riqualificazione ambientale, istruzione e sanità e cultura, organizzando i trasporti pubblici con tecnologie non inquinanti e utilizzando fonti energetiche rinnovabili. La scelta di fondo è quindi tra ecosocialismo (programmazione dei bisogni reali, efficienza nei consumi ed ecosostenibilità) e la barbarie capitalista (accumulazione illimitata, devastazione e sfruttamento).