Svolta Almaviva. Vittoria contro il licenziamento ritorsivo

Le voci di Stefania, Walter e Sabrina, licenziati Almaviva contact di Roma, rappresentano le voci di tutti i lavoratori posti sotto ricatto.


Svolta Almaviva. Vittoria contro il licenziamento ritorsivo Credits: facciamosinistra

Di Almaviva e dell’arroganza dei suoi amministratori, dell’indifferenza del governo, dell’assenza della sindaca Raggi e del tradimento della Cgil ne abbiamo parlato a lungo in queste pagine. Ora tocca a loro parlare (e su questo giornale abbiamo dato loro parola). Ai licenziati Almaviva, rappresentati da Stefania, ex rsu, Walter Ambrosecchio e Sabrina Scalco. A loro dedichiamo questo spazio, ne hanno diritto e i diritti di opinione senza bavaglio noi li riconosciamo.

Mi sento emozionata come lavoratrice. Faccio parte di quei 1600 lavoratori licenziati a causa di corpi intermedi che non sono stati in grado di fare una buona trattativa. Con buste paga di 600 euro al mese ci hanno chiesti tagli del 17%. I lavoratori di Almaviva Roma, insieme alle loro Rsu, io stessa sono una Rsu, hanno deciso di non accettare i tagli, di non rinunciare al loro diritto, perché il lavoro è lavoro se viene pagato. Abbiamo avuto la forza di dire no.. oggi sono felice, perché l’altro ieri ho vinto la sentenza di reintegro”. Queste frasi sono parte di un discorso significativo e importante che è stato pronunciato sabato 28 novembre, al Teatro Italia, da Stefania, licenziata Almaviva. La sua voce commossa, ma determinata, le sue parole sentite, frutto di un’esperienza drammaticamente vissuta hanno riempito il teatro che i compagni “pazzi” di Napoli hanno dovuto affittare per dar voce a quel popolo oscurato dai media, come dai rappresentanti di quelle fittizie sinistre che non li hanno voluti ascoltare il 18 giugno al Brancaccio.

Stefania è una ex Rsu di quell’azienda, con sede a Roma, che ha messo sotto ricatto i suoi dipendenti: firmare l’accordo, con riduzione dello stipendio, accettando il controllo a distanza o si è out dal lavoro. I 1666 dipendenti non hanno firmato, con coraggio, con determinazione, a testa alta, perché il lavoro non può essere così umiliato. L’azienda, intanto, per loro aveva già chiuso i battenti. Fuori tutti. Avanti un’altra forma di sfruttamento mascherata dai contratti co.co. pro. Avanti le delocalizzazioni, già in atto da tempo. Avanti le nuove sedi in Brasile, grazie ai fondi di 6 milioni di euro ottenuti dalla Simest (Gruppo Cassa Depositi e Prestiti).

La pistola puntata

Ѐ sempre Stefania a raccontare come e quando è iniziato il balletto dei ricatti sui lavoratori Almaviva contact, da parte dei dirigenti e dei sindacati confederali, partendo dal 2007, quando il settore telecomunicazioni a Roma entrava in crisi: “Appena finiti gli sgravi fiscali delle stabilizzazioni del 2007, siamo sempre stati coscienti che Roma era un territorio a rischio per anzianità di servizio e costi (che altri non avevano). Negli anni abbiamo denunciato alle istituzioni la fragilità del settore, e negli ultimi 4 il pericolo che incombeva su Roma”. E torna all’attualità, da quando “... sin da maggio scorso era chiaro quanto sarebbe poi accaduto. Già da allora le segreterie firmarono l’accordo, mettendoci di fatto una pistola puntata alla tempia che si espresse in tutta la sua violenza con la procedura di dicembre”. Fino alla notte dell’accordo/ricatto: “Dopo la notte del 22 dicembre del 2016 sono completamente sfiduciata nei confronti di quei corpi intermedi (governo e sindacati) che ci avrebbero dovuto tutelare e sostenere, assumendosi la responsabilità di non essere stati in grado di raggiungere un accordo soddisfacente per i lavoratori con un‘azienda che è cresciuta anche grazie a sgravi ed incentivi e che ha gestito e continua a gestire commesse statali facendo business anche con soldi pubblici (Simest)”.

I licenziati Di Almaviva Contact-Roma si uniscono in un comitato. Bussano a Calenda e a Terranova, bussano alla Cgil. Bussano alla Regione. Bussano al Campidoglio. Porte chiuse. Le risposte non sono confortanti. Non hanno che la Naspi per un minimo sostegno alla sussistenza e la voglia di lottare, fieri e a testa alta contro chi ha massacrato la loro vita e la loro dignità di lavoratori. Perché è il lavoro, quando è regolato da leggi, ormai sepolte (ex Statuto dei lavoratori), a contribuire alla dignità della persona.

Le vertenze si attivano. Nell’esito c’è la speranza di una rivalsa, affinché giustizia sia fatta. Generalmente, fa intendere Walter, licenziato Almaviva, in un precedente articolo, i giudici del lavoro non sono così propensi verso il lavoratore. S’intuisce ciò che intende dire. Smuoverebbero delle acque stagnanti che taglierebbero le gambe ai titolari di quelle aziende i cui lavoratori sono messi sotto scacco, autorizzati da una legge abietta qual è il Jobs act. Creando presupposti incontestabili a favore dei lavoratori, andrebbero a favorire tutte le future vertenze pro lavoratori e contro il sior paron. Quindi nel tempio dell’apparente giustizia, dove a caratteri dorati e incastonati in legno pregiato si legge chiaramente che “La legge è uguale per tutti”, succede talvolta di non sentirsi garantiti nei diritti costituzionali, perché applicare la legge non è automatico, specie quando si cerca di debellare un sistema corrotto e quando questo coincide con i poteri dominanti. Ma non è questa la funzione di un giudice: applicare la legge?

Prima svolta a sinistra

Ma accade un piccolo miracolo a Roma. Cambio strabiliante di rotta. Una vertenza, attivata da 153 ex-Almaviva, seguita dall’avvocato Pier Luigi Panici, approda al porto della vittoria. Il giudice Umberto Buonassisi dice sì al reintegro. Ѐ la prima svolta a sinistra, quella autentica, quella che riconosce i diritti dei lavoratori e anche quelli umani, quella delle lotte di classe, quella che riporta alla luce la verità dei fatti e condanna chi, forte della sua holding, del capitale e del potere (parliamo del presidente Marco Tripi) ha messo sul lastrico 1666 lavoratori romani con un “licenziamento ritorsivo che è una vera e propria rappresaglia”: così il giudice Buonassisi condanna l’azienda al reintegro.

Sono felice per il reintegro - prosegue Stefania nel suo intervento al Teatro Italia - La nostra esperienza non è solo nostra, ma deve essere condivisa con i lavoratori delle altre vertenze in atto, le vertenze devono essere protagoniste. Noi abbiamo subito l’arroganza delle istituzioni che hanno provato a farci sentire deboli. Con i Clash city workers non è stato così, dobbiamo tornare a essere noi i protagonisti, non possiamo delegare a nessuno le nostre vite. Ringrazio tutte le persone che ho incontrato in questi mesi, a partire dai Clash, che lavorano tantissimo anche con altri lavoratori (SKY, GSE…). Spero sia un inizio per tutti!”. Un entusiasmo per un risultato che non è solo il suo. Ѐ la prima svolta a sinistra su un percorso accidentato, che tende a demotivare la forza e la voglia di resistere dei lavoratori in lotta.

Ѐ il percorso tracciato dalle politiche neoliberiste che vanno in direzione opposta al ripristino dei diritti dei lavoratori, dei docenti e degli studenti, contro la sanità pubblica e contro i diritti del cittadino ad essere sostenuto da un welfare adeguato a migliorarne le condizioni sociali. Il reintegro dei 153 è una porta chiusa a chiavistello che improvvisamente si schiude, uno spiraglio che fa filtrare la luce della giustizia in fondo al tunnel. Altre vertenze sono in procinto di essere discusse dai legali di riferimento, sostenute anche dai sindacati di base Usb e Cobas. Quella porta non si deve più chiudere ed i lavoratori che hanno subito ricatti, come è accaduto ai licenziati Almaviva di Roma, devono anche loro avere il reintegro. A breve si discuteranno altre vertenze. Seguiamo, con La Città Futura, da quella notte del 22 Dicembre 2016, le loro peripezie nel districarsi da quell’infame ricatto e il coraggio che hanno mostrato nell’alzare la testa e lottare.

Estratto della sentenza - avv. Panici / giudice Buonassisi

La sentenza, emessa dal giudice Buonassisi, sezione Lavoro del Tribunale di Roma, è netta: nelle 35 pagine il magistrato definisce il licenziamento “ritorsivo” e parla di ‘’vera e propria rappresaglia’’ da parte di Almaviva nei confronti di coloro che avevano rifiutato l’intesa. Secondo il giudice, i motivi che l’azienda porta a supporto della propria decisione di licenziare “non sono assolutamente idonei a fornire la prova richiesta dalla legge”, ma “servono a nascondere i veri motivi della scelta: liberarsi del più costoso personale romano che non aveva accettato la riduzione delle sue spettanze per sostituirlo, almeno in parte, con personale meno costoso e più conveniente”. Anche a non volerla ritenere “ritorsiva” – insistono i giudici - si tratta comunque “di una scelta obiettivamente illegittima”, attuata “solo per ragioni inerenti il costo del personale romano che in nessun modo potevano giustificarla”. Pertanto, il tribunale dichiara “l'illegittimità del licenziamento intimato ai ricorrenti e, per l'effetto, lo annulla e condanna la società resistente a reintegrare gli stessi lavoratori nel posto di lavoro e a corrispondere loro, a titolo di risarcimento danni, una indennità pari a tutte le retribuzioni globali di fatto maturate dal dì del licenziamento, sino all’effettiva reintegra, detratto l'eventuale aliunde perceptum, con il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali; oltre rivalutazione ed interessi sull’importo via via rivalutato fino al pagamento come per legge”.

Oggi, dopo la sentenza del giudice Buonassisi, quali scenari si possono aprire per i lavoratori licenziati Almaviva?.

L'azienda continua il ricatto del trasferimento coatto: ‘attuo quello che decide il giudice, ma sempre a mio vantaggio’. Un comportamento ripetuto e tentato per i lavoratori della sede di Milano, ripetuto e tentato per le lavoratrici madri della sede di Roma. Ci chiediamo però, nel caso di altre sentenze a sfavore, se Almaviva percorrerà la strada della schizofrenia gestionale o quella di decidere il reintegro dei lavoratori nella sede ancora operativa di Roma. In ballo ci sono milioni di euro di spesa in indennità e risarcimento di mensilità pregresse, per un licenziamento discriminatorio, nato da un ricatto e illegale per quello che disciplina la legge in materia di licenziamento collettivo” dichiara Walter Ambrosecchio, che dopo aver partecipato alle lotte comuni nel Comitato 1666, si è inserito in un contesto più allargato di lotte, quelle del Clu (coordinamento lotte unite), a cui aderiscono tante realtà del mondo del lavoro e che sono sostenuti dai Clash city workers. Un aspetto che Walter evidenzia, è quello della coazione a ripetere del ricatto dell’azienda sul lavoratore, anche in caso di reintegro. Gli Ad, come già accaduto per la sede di Milano, tenteranno la via del trasferimento coatto, come hanno già prospettato per i 153 reintegrati da Buonassisi, indicando il trasferimento nella sede di Catania. La beffa ulteriore avviene proprio nella sede romana, dichiarata chiusa a dicembre scorso. In realtà l’azienda non ha affatto chiuso i cancelli, poiché il servizio di call center viene attualmente coperto da lavoratori a co. co. pro.

Sabrina Scalco, anche lei nel calderone dei licenziati Almaviva, è in attesa di sentenza. L’8 Gennaio si discuterà la causa. Lei ci spera, con lei Walter e molti altri. Tutto il mondo dei lavoratori sotto il ricatto del Jobs act è con loro, perché anche questa volta, se vittoria sarà, sarà di tutti. La sento al telefono, dopo averla incontrata innumerevoli volte, nelle piazze, nei cortei, nelle assemblee a protestare contro la protervia delle istituzioni che hanno voltato le spalle al problema che ha coinvolto migliaia di lavoratori romani: “Oggi ho appuntamento con i miei avvocati e spero che questa sentenza sia di buon auspicio anche alla mia causa, che sarà a gennaio. Intanto a metà dicembre un altro consistente gruppo di colleghi avrà la sentenza, speriamo bene. Le cause finora sono state credo 9 a favore di Almaviva ed una contro, ma il numero totale dei ricorrenti era inferiore ai 153 dell'unica causa vinta, dove un giudice ha esaminato profondamente il caso e prodotto 35 pagine di sentenza durissima. Sembrerebbe che l'azienda abbia inviato lettere di trasferimento a Catania, ma non ho la certezza e comunque per il 25 novembre non sarebbero rispettati i termini di legge”.

Le chiedo se è a conoscenza delle reazioni, alla sentenza di Buonassisi, della sindaca Raggi, dei politici governativi e dei sindacalisti Cgil. Se per caso si sono fatti vivi con messaggi di congratulazioni. “Riguardo le istituzioni - racconta Sabrina - confermo che c'è stato un tweet da parte di Virginia Raggi che si congratulava, ma non è mai stata presente agli incontri pre-licenziamento. La viceministra allo Sviluppo Economico, Bellanova ha twittato che le sentenze si accettano e non si commentano ed a specifiche domande non risponde. Il ministro Calenda, non pervenuto, nonostante lo abbia subissato di tweet. Idem il presidente della Regione Lazio, Zingaretti e la segretaria della Cgil, Camusso. Come vedi cercano comunque di continuare a coprire le malefatte causate quel 22 dicembre maledetto. Ad oggi spero che la giustizia sia dalla nostra parte”.

Grazie, Stefania, Walter e Sabrina per le testimonianze e perché la vostra lotta è la lotta di tutti. #Vinceremo. #Poterealpopolo. (martedì 28 Novembre – Viale delle Province, 196 - Roma)

25/11/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: facciamosinistra

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L'Autore

Alba Vastano

"La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perché il re è il Re. Non si rende conto che in realtà è il re che è il Re, perché essi sono sudditi" (Karl Marx)


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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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