Il nuovo Coronavirus ha reso evidente la crisi economica che covava da tempo. Ciononostante, sui grandi mezzi di informazione, nelle università e nei bar, il virus viene dipinto come la causa dei problemi. Un’operazione di disinformazione molto simile a quella messa in campo nel 2008 quando ad essere portati sul banco degli imputati furono l’avarizia dei banchieri, la deregulation, i mutui subprime. Per rimettere le cose al proprio posto c’è bisogno di analizzare la realtà in maniera scientifica e per farlo è necessario possedere le giuste categorie analitiche. Un’ottima occasione per impossessarsene è rappresentata dalla Scuola estiva internazionale organizzata dall’Università critica, l’Università di Brescia ed il Coordinamento comunista. Ne parliamo con Giulio Palermo, economista e animatore di questa seconda edizione che si intitola “crisi economica e lotte sociali nell’Unione europea”.
D. Ciao Giulio. Innanzi tutto grazie per l’intervista. Puoi raccontarci come nasce questa scuola estiva e a chi è rivolta?
R. La scuola estiva nasce all’interno di un progetto scientifico-politico di trasformazione dell’università borghese e della società capitalista intitolato Università critica.
L’università svolge precise funzioni economiche e sociali nella produzione scientifica e nella riproduzione ideologica del capitalismo. La critica scientifica e la produzione di nuove conoscenze utili alla lotta non possono quindi separarsi dalla critica dell’università stessa, sempre più asservita al capitale, in cui non c’è coerentemente spazio per la critica anticapitalistica.
Non si tratta dunque semplicemente di sviluppare un lavoro di critica scientifica per supplire alle carenze dei centri ufficiali del sapere ma anche di trasformare il ruolo stesso della produzione scientifica nella trasformazione della società.
L’Università critica intende ridefinire i rapporti tra scienza e società, demistificare la scienza borghese e rivolgere la scienza contro il capitale. Il suo obiettivo è di mettere la scienza al servizio della lotta di classe. Dobbiamo quindi riappropriarci consapevolmente della scienza e sottrarre al capitale il timone che guida il suo sviluppo. A questo fine, l’Università critica si sviluppa attraverso due linee di intervento: 1) nella formazione scientifico-politica e 2) nello studio delle questioni socio-economiche più urgenti ai fini della lotta di classe.
La scuola estiva si inserisce nel primo asse, avendo un carattere primariamente formativo, ma intende al tempo stesso porre le basi per lo sviluppo del secondo asse, attraverso l’integrazione di momenti di studio teorico e di discussione politica delle strategie di lotta da sviluppare.
L’anno scorso si è tenuta la prima edizione della scuola presso l’Università di Brescia, con la collaborazione dell’Università di Bifrost (Islanda) e dell’Istituto universitario di Lisbona. Quest’anno, purtroppo, la collaborazione con queste università non è stata possibile e l’Università di Brescia non mette a disposizione i suoi locali per via del Covid-19.
Per fortuna, sono corsi in soccorso compagne e compagni, con i quali abbiamo trovato una sede alternativa a Seriate (BG) e stiamo cercando di rendere tutto gratuito, oltre che denso di contenuti scientifici e politici.
La scuola si rivolge a tutti i soggetti in lotta, agli studenti, ai lavoratori, a chi si interroga sui rapporti di dominazione di genere, di razza e di qualsiasi altro tipo e al loro innestarsi nei rapporti di classe, a chi è parte di percorsi politici collettivi e a chi non riesce più nemmeno a socializzare il proprio disagio, a chi vuole solo capire un po’ di economia e magari cos’è la critica dell’economia politica, a chi ha bisogno di vedere oltre il velo mistificatorio del mercato e a chi quel velo vuole squarciarlo per affondare la realtà che c’è dietro. Insomma, alla scuola estiva ci deve venire chiunque voglia affinare le armi della critica scientifica per essere più incisivo nella lotta politica.
D. Visto il pubblico a cui ti rivolgi, quali sono le differenze dai corsi di economia tradizionale?
R. Questa è una scuola marxista che si sviluppa all’interno di un processo di lotta per la ridefinizione del ruolo stesso dell’università borghese. La differenza essenziale rispetto ai corsi tradizionali riguarda quindi l’approccio stesso allo studio dell’economia e del marxismo, dato che, nei corsi tradizionali di economia, Marx o non compare proprio o costituisce al meglio una curiosità storica, da studiare per il piacere dell’erudizione, invece che come strumento di interpretazione e trasformazione della realtà attuale.
Le scienze sociali – con l’economia politica in testa – si sono trasformate da tempo in strumenti ideologici di legittimazione e sviluppo della logica di mercato. L’economia politica ha perso la dimensione critica – che storicamente aveva assunto grazie al contributo marxiano – per diventare scienza borghese, finalizzata a nascondere le più grandi contraddizioni del capitalismo e a difendere la tesi della sua razionalità ed efficienza economica. A questo fine, gli economisti borghesi hanno costruito un complesso sistema teorico, che utilizzano per sostenere che il sistema capitalista è il solo mondo possibile – o, comunque, il solo economicamente razionale – e per denunciare l’irrazionalità del conflitto, l’illegittimità della lotta e l’impossibilità del governo cosciente dell’economia senza il tramite del mercato. Questo insegnano le università.
Invece di criticare la realtà, per comprenderla e trasformarla, cattedratici ed esperti esaltano le virtù dell’unico mondo possibile, quello in cui viviamo. Le scuole di pensiero critiche non hanno più alcun ruolo da svolgere e sopravvivono solo grazie alle roccaforti che si sono create all’interno di un sistema accademico assoggettato al capitale, di cui fanno parte a pieno titolo, come panda inoffensivi, da tenere in vita in nome della sopravvivenza della specie.
Il marxismo — l’arma scientifica più potente contro il capitale — è stato assorbito e assimilato dall’università del capitale, perdendo i suoi contenuti rivoluzionari, sia dal punto di vista scientifico, sia da quello politico, per diventare materia di dibattito accademico tra autoproclamati esperti, più attenti alle note a piè di pagina di Marx e ai commenti a margine di Engels, che alla lotta di classe e ai processi rivoluzionari. La critica dell’economia politica non ha spazio nell’università capitalistica.
Mentre Marx, per ovvi motivi, è stato tenuto attentamente lontano dalla cattedra universitaria, i nuovi marxisti d’accademia sgomitano, in nome di Marx, per avere il loro posto nell’università del capitale. Grazie a loro, Marx entra ufficialmente nelle aule universitarie (non molte, per la verità) come reliquia del passato e il marxismo diventa marxismo accademico, utile al pluralismo borghese, non alla lotta e alla Rivoluzione.
Il vero problema è che la critica accademica, quella ortodossa come quella eterodossa, contiene in sé un elemento contraddittorio: vorrebbe cambiare puntualmente le degenerazioni della società borghese, senza rimettere in discussione la logica generale del capitalismo e senza nemmeno interrogarsi sul ruolo dell’università nel funzionamento e nella riproduzione di questo sistema di sfruttamento. D’altra parte, per chi insegna e fa ricerca, criticare l’università capitalistica significherebbe criticare se stesso, l’aver accettato passivamente la logica cooptativa e corporativa, le relazioni di potere formali e informali che ne discendono e, più in generale, il ruolo di cellula di riproduzione ideologica e agente di selezione per conto del capitale, cui si riduce in definitiva la raison d’être del docente universitario nell’università mercificata del sistema capitalista.
Nel capitalismo, la sola scienza legittima è quella borghese e la critica scientifica, soprattutto se si rivolge ai principi stessi della società capitalista, è messa ai margini e buttata fuori dai centri ufficiali del sapere. Con l’Università critica e la scuola estiva, noi vogliamo fare l’opposto: sviluppare la critica scientifica a fini espliciti di lotta politica.
Lo studio del marxismo, da questo punto di vista, non è una delle opzioni possibili. È un passaggio obbligato nella doppia funzione di strumento di demistificazione della teoria borghese e di base teorica per la costruzione del socialismo scientifico. La vera sfida è di riuscire a connettere l’analisi marxista delle dinamiche capitalistiche alle strategie di lotta anticapitalistica.
D. Qual è dunque il programma dei corsi?
R. L’oggetto dei corsi, come dice il titolo, riguarda la crisi economica e le lotte sociali nell’Unione europea. Vediamo brevemente come si presenta il problema.
Dal punto di vista economico-finanziario, la crisi da coronavirus non è affatto un fulmine a ciel sereno. Al contrario, si innesta in un contesto preesistente di crisi globale. Nel caso dell’Unione europea, il dato più evidente è che il capitale finanziario e le istituzioni internazionali sono state repentinamente costrette a ridefinire la loro strategia. L’Europa non si è mai ripresa dalla crisi finanziaria scoppiata nel 2007 negli Stati Uniti e manifestatasi nella zona euro come crisi del debito pubblico. La strategia delle istituzioni europee fu infatti di aiutare il capitale attraverso gli stati, trasformando così la crisi del capitale privato in crisi del debito pubblico, per poi prendersela con i paesi più esposti sul fronte delle finanze pubbliche, costringendoli a dure misure contro i lavoratori e lo stato sociale. Questa strategia ha funzionato (per il capitale, ben inteso) proprio perché gli stati inadempienti sono stati attaccati uno a uno da un capitale europeo unito in grado di far valere i suoi interessi di classe.
Ma da dove viene questa strategia di lotta di classe tra un capitale sempre più centralizzato e un movimento operaio sempre più diviso? Dall’assetto istituzionale stesso dell’Unione europea, definito sin dalla sua nascita, il quale si è strutturato attraverso un processo economico e politico altamente mistificato: nel discorso politico, sono sempre prevalsi valori morali di solidarietà sociale e cooperazione internazionale e, nelle pratiche economiche, hanno sempre contato solo le dure leggi del mercato e del capitale cui i lavoratori e la società intera devono piegarsi.
Capire l’attuale fase di crisi significa quindi innanzitutto contestualizzarla nel processo di lotta di classe già in corso. Capire i meccanismi della lotta di classe nell’assetto istituzionale dell’Unione europea richiede a sua volta un’analisi critica delle istituzioni europee e della loro stessa missione nella gestione dei rapporti di classe, anche prima della crisi finanziaria. A sua volta questa operazione presuppone una comprensione profonda dei meccanismi generali attraverso cui il capitale scarica sul lavoro il prezzo di ogni crisi. Perché al di là degli slogan politici, nel capitalismo, dalla crisi del tasso di profitto si esce in un solo modo: aumentando il tasso di sfruttamento.
Questi sono i nessi causali che dobbiamo ricostruire, criticare e trasformare se vogliamo definire una strategia di lotta contro il capitale. Per farlo però conviene procedere in ordine inverso: dal punto di vista didattico, dunque, partiamo dalla critica teorica del modo di produzione capitalistico e ci avviciniamo poi gradualmente alle sfide cui siamo chiamati oggi come militanti, attraverso la critica delle istituzioni europee nella lotta di classe, l’analisi delle strategie del capitale europeo per far fronte alla crisi e la discussione delle vie per una possibile uscita anticapitalistica dalla crisi.
Su quest’ultimo punto, per fare un esempio, dedicheremo ampio spazio al problema del debito pubblico. Si tratta di un tema delicato su cui la sinistra borghese segue posizioni spesso contraddittorie: da una parte vorrebbe ridimensionare il debito — che è la causa di un’ingente spesa per interessi e che comprime ogni altro capitolo di spesa pubblica — e dall’altra vorrebbe aumentare la spesa in deficit come soluzione temporanea alla crisi, pur sapendo che questo aggraverà il problema del debito. Intervenire in questo dibattito senza una piena consapevolezza del ruolo del debito pubblico nella strategia di lotta di classe condotta dal capitale europeo e senza aver capito a fondo il ruolo generale del credito e del debito nella crisi è un puro esercizio accademico. Viceversa, in una prospettiva di lotta, costruita sulla comprensione critica delle contraddizioni del capitale, la lotta per il default sul debito può diventare un elemento importante ai fini di un’uscita anticapitalistica dalla crisi.
Il programma può dunque essere così sintetizzato:
1. Sfruttamento e crisi nella teoria marxista
2. Il ruolo delle istituzioni europee nella lotta di classe
3. La “crisi da coronavirus” nella crisi globale
4. Vie per un’uscita anticapitalistica dalla crisi
D. Un programma molto impegnativo. Puoi dirci qualcosa in più sugli organizzatori e i docenti?
R. Quest’anno, la responsabilità dei contenuti scientifici della scuola è solo mia poiché, come dicevo, sono venute meno le collaborazioni europee dell’anno scorso. Sul piano politico, tuttavia, ci saranno anche contributi militanti di compagni italiani e docenti stranieri.
In continuità, con la prima edizione della scuola, l’attenzione sarà concentrata sull’Unione europea: questo è il contesto su cui siamo chiamati ad intervenire in modo più diretto e questo resta quindi l’oggetto principale del nostro studio critico.
Con l’avvento del coronavirus e le misure drastiche che ne sono seguite a livello planetario, è però importante anche allargare lo spettro della critica. Grazie ai legami internazionali che l’Università critica ha stabilito con alcune università impegnate nel processo rivoluzionario, discuteremo quindi anche delle conseguenze economico-sociali della crisi in America Latina e nei Caraibi e del loro impatto sui processi di lotta in corso in quell’area, con interventi in videoconferenza da Cuba, Venezuela, El Salvador e Nicaragua.
Ai quattro punti del programma, se ne aggiunge dunque un quinto, che sarà sviluppato lungo tutti e cinque i giorni della scuola estiva:
5. Coronavirus e lotte sociali in America latina e nei Caraibi.
D. Come si inserisce questa iniziativa all’interno del più ampio processo unitario che si sta sviluppando nella sinistra cosiddetta radicale?
R. Oggi purtroppo manca tra i militanti una solida formazione di critica dell’economia politica. Le condizioni materiali di crisi sono gravi e su molti fronti si osservano fronti di resistenza al capitale: dal lavoro alla scuola, dalla casa ai servizi, dalla salute all’ambiente. Eppure, il movimento va spesso a braccio, senza nessuna critica organica del modo di produzione capitalistico da cui tutti questi problemi discendono.
Le lotte finiscono così per essere disgiunte e inefficaci. Senza una visione condivisa dei limiti del capitalismo non è possibile definire nessuna strategia organica di lotta e l’anticapitalismo resta solo un insieme di battaglie isolate, condotte su base solo tattica. Le stesse manovre di avvicinamento tra aree politiche rischiano così di ridursi a contatti tra leader (che, peraltro, sono spesso più un problema che la soluzione) invece di puntare alla condivisione di una concezione comune e alla costruzione di un percorso unitario.
Senza un attento lavoro critico, il discorso economico della teoria borghese si afferma anche tra le forze politiche progressiste e il dibattito politico, anche quando si finge radicale, resta impigliato in maglie del tutto convenienti per il capitale. Da Keynes a Hayek, dalla Modern monetary theory alla teoria della decrescita, dal socialismo di mercato al capitalismo cognitivo, la sinistra istituzionale e di movimento non sa più che pesci pigliare. Teorie borghesi di Lord e Von che apparentemente si scontrano in un dibattito tra esperti ma che condividono unanimemente l’essenza stessa del capitalismo, l’inviolabilità delle sue leggi e la necessità di assecondarle.
Distribuire redditi! Stampare moneta! Indebitarsi! questi sono i nuovi slogan politici della sinistra, nell’illusione che queste soluzioni di facciata cancellino l’antagonismo di classe o, chissà come, riducano lo sfruttamento. Invece di avviare percorsi che caccino il capitale dalla nostra società, che contrastino la formazione del profitto e che riducano lo sfruttamento, la sinistra borghese, come la destra capitalista, non sa far altro che sviluppare ulteriormente il mercato e difendere il profitto, aiutare il capitale dicendo di difendere il lavoro e illudersi che il pagamento a rate dei debiti (con gli interessi) risolva i problemi attuali, senza capire che questo aggrava però i problemi futuri. Insomma, invece di difendere il lavoro contro il capitale si finisce per scaricare le contraddizioni del capitale sui lavoratori.
Purtroppo, le questioni economiche non si possono affrontare col semplice buon senso o scegliendo le teorie economiche à la carte, secondo le convenienze del caso. Il capitalismo è un sistema mistificato, in cui le cose non sono come appaiono. Il lavoratore è sfruttato dal capitalista eppure è quest’ultimo che appare come un benefattore della società offrendo lavoro al primo. E quando le cose vanno male è sempre il lavoratore che soffre più di tutti ma la crisi capitalistica è, per sua natura, un inceppamento nel processo di accumulazione di capitale: è dunque la crisi del capitale, non del lavoro. Tant’è vero che quando la crisi passa, il lavoratore continua a soffrire e il capitale riprende a crescere. In questa rappresentazione mistificata dei rapporti capitalistici, la critica radicale è semplicemente impossibile: il bene comune prende il posto dell’antagonismo di classe e la lotta di classe perde di legittimità. Nell’incapacità di cogliere la natura di questo processo di mistificazione, la sinistra borghese vorrebbe smarcarsi dalla destra presentandosi come vera paladina del bene comune, senza più nemmeno accorgersi che, nel capitalismo, il bene comune è semplicemente il bene del capitale.
Nella società in lotta c’è un forte bisogno di una formazione marxista. Tra gli studenti e i lavoratori, nei collettivi auto-organizzati e nelle realtà più strutturate, nelle lotte per il territorio e in quelle per l’ambiente, nelle questioni razziali e in quelle di genere, abbiamo un gran lavoro da compiere. Sta a noi riportare Marx sulle barricate.
Le forme di autorganizzazione, di resistenza e di controffensiva al capitale si moltiplicano a causa dell’aggravarsi delle condizioni materiali. Il problema tuttavia è far convergere questi percorsi verso una visione comune e una strategia unitaria, altrimenti si sviluppa la frammentazione. L’arretramento ideologico — rinforzato da una sinistra che disprezza l’ideologia — purtroppo si paga. Ma la risposta a questi problemi non può venire che dal lavoro scientifico e politico. Direi quindi che l’esigenza stessa di organizzare questa scuola estiva coincida con l’esigenza di dare sostegno teorico a questo processo unitario sviluppato dalla sinistra anticapitalista.
D. Un’ultima domanda. Che risultati ti aspetti da questa seconda edizione della scuola estiva internazionale?
R. La creazione di una comunità scientifica rivoluzionaria e di un movimento di lotta che si muova su basi scientifiche sono processi irti di ostacoli e di contraddizioni in un mondo e un’università sempre più asserviti al capitale.
Ma non esistono scorciatoie. Il cammino rivoluzionario si costruisce passo dopo passo con l’arma della critica e la forza della lotta. La scuola estiva vuole dare un umile contributo in questo percorso. Sviluppare assieme la critica, ricomporre una concezione organica dell’anticapitalismo e farlo attraverso il confronto politico esplicito tra i partecipanti sono gli obiettivi immediati di quest’esperienza. Individualmente, mi auguro che ne usciremo tutti più ricchi sul piano scientifico-politico. A livello collettivo, l’auspicio è che questa esperienza di studio sia utile anche nelle lotte e che la stessa condivisione di un percorso critico comune aiuti il coordinamento concreto tra aree politiche.
Questo per quanto riguarda i risultati a breve. Un bilancio complessivo di questa esperienza passa tuttavia anche per la sua capacità di sviluppare il progetto più generale di Università critica di cui fa parte. Solo nella misura in cui la scuola estiva riuscirà ad essere parte di questo progetto scientifico-politico più ambizioso, riusciremo a valorizzare veramente la dimensione collettiva e a indirizzarla in senso rivoluzionario. Altrimenti, dovremo accontentarci della crescita scientifico-politica individuale, il che è senz’altro necessario ma del tutto insufficiente a far avanzare la lotta contro il capitale.
Approfondire le nostre conoscenze in campo marxista, in un contesto in cui la sinistra borghese è sempre più convinta che Marx sia solo un economista un po’ a sinistra di Keynes, è un risultato per me enorme, se lo valuto da docente di economia politica di un’università sempre più mercificata. Ma se parlo da rivoluzionario, non posso certo accontentarmi. Il nostro obiettivo deve essere invece di camminare assieme e per farlo dobbiamo innanzitutto definire assieme la direzione verso cui procedere. Queste sono le vere sfide che abbiamo di fronte. E per questo credo che ripartire da Marx sia l’unica via.
La critica scientifica è uno strumento necessario alla formazione di persone pensanti, invece che obbedienti, e una società fatta di esseri pensanti è la sola garanzia di civiltà, democrazia, libertà e comunismo. Ma la capacità di vedere oltre le apparenze della teoria borghese non basta. È necessario anche ricostruire una visione alternativa, dimostrare che un altro mondo — senza capitale e senza sfruttamento — è veramente possibile ed è necessario anche indicare la via per realizzarlo. Per questo, la critica della teoria borghese e lo sviluppo del socialismo scientifico devono andare di pari passo.
Dunque, delle due l’una: o la scuola estiva resterà un’esperienza isolata e l’Università critica non avrà impatto sui processi reali di lotta, degenerando nell’ennesimo esperimento accademico per critici d’accademia; oppure la scuola estiva e l’Università critica riusciranno ad inserirsi nella dialettica di trasformazione della cultura, della scienza e della società e diventeranno parte integrante di un processo rivoluzionario. Perché una cosa è certa: se veramente riusciremo a creare una coscienza di classe nella comunità scientifica e una base scientifica nel movimento in lotta, non sarà per servire meglio il capitale, ma per liberarci dalle sue catene.