Oggi, in particolare nel nostro paese, la condizione del proletariato è a tal punto disperata e disperante che la maggior parte dei lavoratori, ormai priva di coscienza di classe, non si oppone a Confindustria – al cui interno, peraltro, prevale il candidato più di destra – che pretende che tutti i salariati che può sfruttare tornino al lavoro, nonostante la pandemia sia ancora in atto ed è lungi dall’essere sconfitta e superata nel nostro paese. La parola d’ordine della Confindustria resta sempre la stessa, massimizzare i profitti, ma per questo scopo c’è bisogno di persone tanto disperate da continuare a vendere la propria forza-lavoro in piena pandemia, nonostante il suo prezzo resti ridotto al minimo.
Se buona parte della (a)sinsitra non si fosse bevuta – in quanto priva di una propria autonoma visione del mondo e, perciò, egemonizzata dall’ideologia dominante – la balla della fine del lavoro e della classe operaia, ovvero la fine del marxismo, potrebbe sfruttare l’occasione è contrattaccare rilanciando la centralità dell’analisi e della denuncia marxiana per cui il capitalismo si fonda esclusivamente sullo sfruttamento della forza-lavoro. In tal modo i lavoratori potrebbero riconquistare quel minimo di coscienza di classe, indispensabile a comprendere che invece di svendere al dettaglio la propria forza-lavoro, contrattandola in modo collettivo – senza delegare a sindacati tendenzialmente neocorporativi – potrebbero modificare sensibilmente i decisivi rapporti sociali fra le classi. Come ricordava a ragione Bertolt Brecht è “il semplice che è difficile a realizzarsi”.
Così, mentre tutte le attività dove è possibile con il pluslavoro estorcere al salariato il plusvalore sono ripartire, a meno che tale plusvalore non sia più facilmente estorcibile mediante il lavoro agile, attraverso cui si torna al lavoro a cottimo, mediante il quale il lavoratore stesso è portato ad autosfruttarsi il più possibile. Così, ad esempio, nel settore dell’istruzione e della formazione pubblica la classe dirigente e dominante è divisa tra chi preferisce proseguire con il lavoro agile – che, in prospettiva, oltre ad aumentare l’autosfruttamento, consentirebbe una drastica riduzione della forza-lavoro impiegata – e chi sarebbe per far ripartire la scuola pubblica per consentire ai lavoratori, pur con salari da fame, di avere un posto in cui lasciare i figli durante l’orario di lavoro. Del resto, anche in questo caso la mancanza di coscienza di classe consente a un ministro, che è stato eletto in parlamento facendosi interprete della sacrosanta lotta per la riduzione delle classi pollaio, a non fare nulla in questo senso, ma a ipotizzare le soluzioni più assurde e bizzarre, pur di non riqualificare la scuola pubblica.
D’altra parte, il fatto che la maggioranza dei lavoratori è così disponibile a riprendere a farsi sfruttare – pur rischiando oggettivamente la vita – e parte della classe dominante spinge per riaprire le scuole (per non dover aumentare i salari consentendo ai lavoratori di pagarsi la babysitter) dimostra che dal punto di vista ideologico la lotta per un salario minimo abbia un carattere paradossale. In effetti, nel modo di produzione capitalistico, il salario di regola è ridotto al minimo indispensabile a far riprodurre quel numero di sfruttati e di membri dell’esercito industriale di riserva necessario al capitale nel suo complesso per massimizzare i proprio profitti.
I risultati catastrofici della perdita della coscienza di classe sono più che mai visibili in Lombardia, in cui si può, per altro, ben vedere a cosa porta lasciarsi governare per anni dalla destra. La sistematica dequalificazione del sistema sanitario pubblico a vantaggio del privato, la mancanza di qualsiasi forma di prevenzione, perché contraria a i profitti dei privati, l’ideologia ultra individualista, ha fatto sì che il coronavirus abbia provocato in Lombardia un numero di morti di gran lunga superiori a quelli prodotti dalla Seconda guerra mondiale, con i sistematici bombardamenti ai danni della popolazione civile. In particolare c’è stata una vera e propria strage fra i lavoratori salariati produttivi e, in particolare, fra la classe operaia, che difficilmente può essere sfruttata con il lavoro agile. Per non parlare dell’altra spaventosa strage realizzata nelle case di cura per anziani, dove sono stati ricoverati coloro che avevano contratto il virus. Il modo più drastico e cinico per tagliare il salario differito, ovvero ridurre la spesa pensionistica.
Questo terrificante quadro dobbiamo tenerlo sempre bene a mente, in quanto è quello che purtroppo ci aspetta se questa destra dovesse malauguratamente governare il paese, generalizzando il sistema sperimentato in Lombardia.
Il problema è che nulla di buono ci si può aspettare dal governo Conte, non solo per la presenza di Renzi e del Pd, i più pedanti seguaci del pensiero unico neoliberista e dei programmi anti-popolari dei poteri forti alla guida dell’Unione europea, ma perché lo stesso antieuropeismo del Movimento 5 stelle è decisamente più analogo a quello proposto dalla destra, piuttosto che a quello che dovrebbe sviluppare una autentica forza di sinistra. Ad esempio Conte, su pressione del Movimento 5 stelle, ha meritoriamente rinunciato alla trappola del Mes, ma al contempo ha firmato accordi con gli Stati uniti di Donald Trump con delle clausole ancora più capestro. La prospettiva è, sostanzialmente analoga, a quella che sta portando avanti la destra britannica, rompere con l’Unione europea per sviluppare una politica ancora più apertamente neoliberista. Non a caso il Movimento 5 stelle è stato per anni il miglior partner della destra radicale inglese anti europea e poi ha formato il suo primo governo con Matteo Salvini.
Tale modalità di intendere la rottura con le politiche di austerità dell’Unione europea si colloca agli antipodi di quella che dovrebbe condurre una forza di sinistra, che dovrebbe al contrario incrementare i rapporti economici con la Cina, con la Russia, con l’Iran, con il Vietnam, Cuba e il Venezuela, ovvero con tutti quei paesi antimperialisti che in parte ci sono stati più vicini nel momento del bisogno, in parte sono stati in grado di affrontare la pandemia in modi decisamente migliori della maggioranza dei paesi capitalisti e imperialisti, sebbene debbano subire un costante stato di assedio da parte di questi ultimi.
Dunque l’obiettivo fondamentale, per evitare che le politiche antipopolari dell’attuale maggioranza favoriscano la conquista del governo da parte della destra radicale, è far sì che si formi una credibile alternativa di sinistra, innanzitutto sul piano sociale e, quindi, di conseguenza, sul piano politico. In questa prospettiva, significativi sono i segnali di ripresa della prospettiva di assemblee autoconvocate dei lavoratori, a prescindere dalle appartenenze sindacali e partitiche. Certo, al momento, una tale ripresa avviene necessariamente attraverso assemblee virtuali, ma è comunque il segnale della presenza del bisogno oggettivo di provare a rilanciare una prospettiva consiliare, anche dinanzi alla obiettiva crisi del sindacalismo nel nostro paese.
In effetti, come purtroppo era prevedibile, la conquista della direzione della Cgil da parte di Maurizio Landini non solo non ha spostato il maggiore sindacato italiano su posizioni conflittuali, ma ha esclusivamente contribuito a indebolire l’opposizione interna. D’altra parte i sindacati di base di sinistra non sembrano in alcun modo in grado di approfittare di questo vuoto che si è venuto a creare, in quanto non riescono a trovare nemmeno una prospettiva unitaria fra di loro. Problema analogo a quello che sta vivendo la sinistra radicale nel nostro paese, a partire da quella che non ha rinunciato a una prospettiva comunista, che non appare in grado di sviluppare una progettualità unificante, in grado di fargli recuperare quel minimo di credibilità che la faccia almeno prendere in considerazione da parte del proletariato.
In questa situazione sarebbe decisivo se dal basso, dalle assemblee autoconvocate dei lavoratori, si sviluppasse l’esigenza di dotarsi di un programma minimo di classe intorno a cui coagulare i lavoratori, ovunque collocati, che hanno sviluppato una minima coscienza di classe. Tale programma minimo dovrebbe riportare al centro delle rivendicazioni e delle mobilitazioni del proletariato, innanzitutto, la lotta per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e di ritmi. Prospettiva indispensabile affinché, attraverso il lavorare meno, lavorare tutti, si possa provare a ricomporre i lavoratori attivi, con l’esercito industriale di riserva nelle sue diverse configurazioni, ovvero i disoccupati, i precari e la forza lavoro in formazione.
Questa decisiva prospettiva, per tornare a essere praticabile, deve svilupparsi di pari passo a una lotta per riconquistare un salario sociale di classe indispensabile a non costringere i lavoratori, attraverso il necessario ricorso agli straordinari, a vanificare questa sacrosanta prospettiva di lotta. Infine, per dare un respiro più ampio alla ripresa del movimento dei lavoratori nel nostro paese bisognerebbe introdurre, all’interno del programma minimo, la rivendicazione di un audit sul debito pubblico, in grado di costruire i rapporti di forza necessari a porre fine a questa diabolica trappola del debito per cui, nonostante tutte le politiche di austerità portate avanti in questi anni, il debito complessivo aumenta sempre di più, sebbene il nostro paesi da anni esporti di più di quanto importi. D’altra parte, tutta questa pesantissima politica di sacrifici, fatti unilateralmente dalle classi subalterne, sono vanificati dalla necessità di pagare interessi sempre più pesanti sul debito. A tale lotta si dovrebbe collegare l’unità di azione con i movimenti dei lavoratori dei paesi dell’Unione europea contro le stesse politiche di austerità dettate dalla trojka, che hanno prodotto una costante diminuzione, in particolare, della componente indiretta del salario sociale di classe. Una politica imposta dalla trojka, ma da sempre votata e portata avanti non solo da tutti i governi che si sono succeduti, ma da tutti i partiti rappresentati attualmente all’interno del nostro parlamento.