Lavoratori di tutto il mondo: intervista a Beverly Silver – Parte V

Il futuro della lotta di classe.


Lavoratori di tutto il mondo: intervista a Beverly Silver – Parte V Credits: https://www.flickr.com/photos/fabriciodepaula/

Segue da quarta parte.

Dove va la classe operaia statunitense? Dove vanno i lavoratori di tutto il mondo?

Per gentile concessione di Jacobin Magazine concludiamo la pubblicazione della traduzione dell'intervista a Beverly Silver, presidente del Dipartimento di Sociologia alla John Hopkins University. Silver è una delle più importanti figure della sociologia del lavoro e da sempre una militante per i lavoratori. Tra le sue opere Le Forze Del Lavoro e Caos E Governo Del Mondo firmato con Giovanni Arrighi, entrambi pubblicati da Bruno Mondadori.

[DOMANDA] In passato, le ondate di militanza e organizzazione hanno tendenzialmente portato nuove e potenti forme organizzative. Nel diciannovesimo secolo ci furono i sindacati dei lavoratori specializzati, nel ventesimo secolo i sindacati industriali. Queste forme sono destinate all’oblio? Se si, cosa potrebbe rimpiazzarle?

[RISPOSTA] Di sicuro non sono destinate all’oblio. Negli USA, per esempio, alcuni dei sindacati coi migliori risultati oggi - in termini di reclutamento di nuovi membri e di militanza - sono quelli che hanno le radici nella vecchia American Federation of Labor, nella tradizione dei lavoratori specializzati. Qualcuno sostiene che alcuni elementi di questo vecchio stile organizzativo sono più adatti alla natura orizzontale degli odierni posti di lavoro, piuttosto che i sindacati industriali tipici delle grandi imprese a integrazione verticale.

Questo non significa che i sindacati industriali siano morti. I successi tipici dei sindacati della Confederation of Industrial Unions - come lo sciopero di Flint e quelli successivi - si basavano sullo strategico potere di contrattazione dei lavoratori sul luogo della produzione. Penso ci siano ancora lezioni da trarre da quei successi.

Chiaramente nessuna di queste due forme ha avuto successo nei confronti dei problemi fondamentali del capitalismo. Come ho già detto, il problema dei sindacati è che, fino a quando sono efficaci, il capitale e lo stato non hanno interesse a collaborare con loro. Nella misura in cui invece non riescono a portare cambiamenti seri nelle vite dei lavoratori - ed è ciò che è successo in larga parte - perdono credibilità e legittimità agli occhi dei lavoratori stessi.

Penso che vediamo costantemente entrambi i lati di questa contraddizione. I sindacati sono parte della soluzione ma non sono la soluzione completa.

[DOMANDA] Una delle idee di Marx era che i sindacati avrebbero dovuto integrare i disoccupati in un’unica organizzazione. Questa è un’opzione negli Stati Uniti?

[RISPOSTA] Penso che sarebbe certamente l’ideale, è ciò che dicevano Marx e Engels nel Manifesto del Partito Comunista quando discutevano del ruolo dei comunisti e del movimento operaio.

Questo ci riporta anche alla questione della relazione tra il processo di sfruttamento e quello di esclusione, tra la lotta nei luoghi di lavoro e la lotta nelle strade.

Per i sindacati, cercare di seguire l’idea di Marx significa pensare strategicamente alle condizioni in cui i lavoratori con un impiego stabile possano essere portati e radicalizzati nelle lotte dei disoccupati e precari, e viceversa.

[DOMANDA] Quali sono le prospettive per la rivitalizzazione del lavoro negli USA? Ti aspetti un aumento della militanza e dell’organizzazione nel prossimo futuro?

[RISPOSTA] Da un lato, su un terreno teorico, mi aspetto un aumento della militanza dei lavoratori negli USA. A livello empirico, dal 2008, abbiamo visto un aumento dei disordini sociali legati alla classe in tutto il mondo, che potrebbe in retrospettiva apparire come l’inizio di una rivitalizzazione di lungo termine.

Questo va contro il sentimento prevalente; è interessante comparare il pessimismo di oggi con ciò che dicevano gli esperti negli anni ‘20. Allora, gli esperti osservavano come i lavoratori specializzati fossero minacciati dall’espansione della produzione di massa, e sostenevano che il movimento dei lavoratori fosse indebolito mortalmente, definitivamente morto. E hanno continuato a ripeterlo fino alla vigilia dell’ondata di disordini operai a metà anni ‘30.

Non comprendevano che, mentre era vero che molti dei sindacati dei lavoratori specializzati erano ormai indeboliti, si stava formando una nuova classe operaia. Osserviamo la stessa cosa oggi, una situazione in cui la classe operaia della produzione di massa del ventunesimo secolo viene indebolita, ma c’è anche una nuova classe operaia in formazione, anche nella manifattura.

È importante non rimuovere la manifattura dal ragionamento su ciò che sta accadendo, anche negli USA, tantomeno nel mondo intero. Ogni volta che avviene una nuova ondata di disordini operai, la classe operaia appare fondamentalmente diversa, e le strategie e le mobilitazioni sono fondamentalmente diverse.

[DOMANDA] Chi pensi che guiderà la rivolta, questa volta?

[RISPOSTA] Difficile da dire. Ciò che è chiaro sono le questioni critiche per il lavoro oggi, che in buona parte riguardano la base di massa e la guida necessarie affinché la “prossima rivolta” sia trasformativa. Siamo in una situazione in cui il capitale sta distruggendo le condizioni di vita più velocemente di quanto ne crei di nuove. Stiamo sperimentando su scala globale, e anche nei paesi centrali come gli USA, un’espansione del surplus di popolazione, in particolare quello a cui Marx nel Capitale si riferiva come il surplus di popolazione stagnante: coloro che non verranno mai davvero incorporati nel lavoro salariato stabile.

I lavoratori a chiamata, a tempo determinato, part-time, e i disoccupati di lungo termine, tutto questo gruppo si sta espandendo, portandoci verso la strada della povertà. Nonostante la crisi di legittimità che ciò crea al capitalismo, non c’è nessuna tendenza in direzione diversa all’interno del capitalismo. Se cambieremo direzione, sarà qualcosa che verrà dal movimento politico di massa, piuttosto che dal capitale.

Ci sono due importanti punti da considerare. Uno è che la redditività del capitale, in tutta la sua storia, è dipesa dall’esternalizzazione parziale non solo dei costi di riproduzione del lavoro, ma anche dei costi di riproduzione della natura. Questa esternalizzazione è diventata sempre più insostenibile, ma non c’è nessuna tendenza interna al capitale per correggerla.

In più, dato che la natura come bene liberamente accessibile è stato uno dei pilastri del patto sociale del dopoguerra che legava la produzione di massa al consumo di massa della classe operaia, non è possibile un semplice ritorno all’età dell’oro del keynesismo e dello sviluppismo.

Secondo punto, la tendenza storica del capitalismo è risolvere le crisi politiche ed economiche attraverso politiche espansionistiche e militariste, dobbiamo prendere sul serio la guerra, in particolare in questo periodo di crisi e declino egemonico degli USA.

Il controllo del petrolio, l’accaparramento di risorse, gli scontro per strisce di mare nel Mare Cinese, questi conflitti hanno il potenziale per conseguenze orribili per l’umanità nel suo complesso. Per evitare questo, un internazionalismo del lavoro rinnovato e aggiornato dovrà superare le tendenze visibili verso l’atavico e risorgente nazionalismo del lavoro.

Dobbiamo quindi partire da una considerazione della geopolitica - esaminando i collegamenti tra militarismo, conflitto interno e movimenti dei lavoratori - per arrivare a un’analisi seria. La vecchia dicotomia tra socialismo e barbarie è rilevante oggi come non mai.

09/09/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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