Chi non abbia chiaro il segno di classe del governo Draghi è bene che vada a leggersi o riascoltare il suo discorso in senato, che potete trovare integrale qui.
Accanto alle dichiarazioni di rito, che lavorerà per il paese e per tutti i cittadini, per combattere la pandemia ecc. ecc., balza subito agli occhi un passo: “il governo farà le riforme ma affronterà anche l’emergenza. Non esiste un prima e un dopo. Siamo consci dell’insegnamento di Cavour: «... le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano»”. Quindi accanto alle azioni legate all’emergenza non si attenderà a fare le “riforme”. Sappiamo bene quali riforme abbiano fin qui caldeggiato e imposto Draghi e i centri di potere economico che egli rappresenta. Chi riteneva che la sospensione delle regole di austerità, dei limiti al debito ecc. potesse rappresentare una sorta di tregua, salvo poi richiedere con gli interessi politiche di massacro sociale, oggi può presumere che invece un “memorandum” è già in programma, senza bisogno che ci sia imposto domani per far fronte al debito che sta esplodendo.
Per chi non avesse chiaro cosa si intende per “riforme”, Draghi ci offre qualche vago ma indicativo cenno.
Per il fisco si parla di riduzione del carico fiscale, che come abbiamo già avuto modo di motivare, non è proprio cosa “di sinistra”. Si dice in aggiunta che si dovrà farlo “preservando la progressività”. Quindi per Draghi il nostro sistema è già adeguatamente progressivo. E inoltre non si parla di tassare i grandi patrimoni, ci mancherebbe. Si fa poi la solita affermazione sulla lotta all’evasione che, se ci sarà, c’è da giurare che colpirà le piccole imprese, accelerando il processo di centralizzazione dei capitali, perché le grandi hanno poco da temere, visto che dispongono di ampi strumenti legali di elusione, a cui Draghi si guarda bene dal fare cenno.
Per la pubblica amministrazione si parla genericamente di aumento dell’efficienza e di “smaltimento degli arretrati”. Con Brunetta addetto alla cosa, i dipendenti pubblici dovranno fare gli scongiuri.
Frasi di rito sulla giustizia, incentrate su quella civile, senza riferimento a quella penale e all’impunità pressoché sistematica degli abbienti.
Fermo invece è il richiamo all’europeismo e all’atlantismo con la centralità del nostro rapporto con Germania e Francia, naturalmente si elencano poi altri partner per non scontentare nessuno: paesi mediterranei, Turchia, e persino Russia e Cina, senza però privarle di uno scappellotto per i diritti civili e le “tensioni” interne, mentre dagli Usa, che notoriamente sono all’avanguardia nei diritti civili, ci si aspetta rose e fiori, grazie alla nuova amministrazione di Biden. Tolti gli elementi di dettaglio, l’elemento di fondo che emerge, e non poteva essere diversamente, è l’adesione piena e inflessibile all’Unione europea e alle sue regole, alla Nato e alla sua politica aggressiva. Difatti non si fa cenno alla necessità di ridurre la spesa per gli armamenti.
Importante è il ritorno, sia pure in forma meno irruenta, sul concetto già da lui espresso pochissime settimane fa secondo cui non è il caso di salvare le “imprese zombie”: occorre “proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente”. E se non sono in condizione di cambiare? E i lavoratori che ci vivono che fine faranno? Ecco la risposta: “Centrali sono le politiche attive del lavoro. Affinché esse siano immediatamente operative è necessario migliorare gli strumenti esistenti, come l’assegno di ricollocazione, rafforzando le politiche di formazione dei lavoratori occupati e disoccupati”. Adeguandosi a vecchie teorie e politiche dimostratesi fallimentari, evidentemente Draghi ipotizza una sorta di automatismo: gli espulsi dal lavoro, previa una opportuna riqualificazione e qualche ammortizzatore sociale, troveranno occupazione nelle imprese virtuose (ridete pure), senza la necessità di un piano pubblico per creare nuovi posti di lavoro.
Sempre a proposito di ammortizzatori sociali ha ricordato le differenze di copertura fra i lavoratori dipendenti fissi e i precari. Parrebbe di capire che per far fronte, giustamente, ai precari e ai lavoratori con contratti anomali verranno tolti un po’ di soldi a chi deve accontentarsi di 800-1.000 euro al mese quando va bene, senza necessità di rivedere l’iniqua distribuzione del redditi e delle ricchezze.
La filosofia liberista traspare anche nei suoi riferimenti alla questione meridionale. Di fronte a un’economia malmessa, alla criminalità e alla corruzione superiori al già deprecabile standard nazionale, ci si rivolge nuovamente alle imprese, senza richiamare il ruolo dello Stato e gli investimenti pubblici per politiche industriali e infrastrutturali.
Presente è anche l’accentuazione dell’emergenza ecologica individuando fra gli obiettivi prioritari la transizione ecologica (sappiamo a quale ministro affidata!), insieme alla “innovazione, la
digitalizzazione, la competitività e la cultura, le infrastrutture per la mobilità sostenibile, la formazione e la ricerca, l’equità sociale, di genere, generazionale e territoriale, la salute e la relativa filiera produttiva”. Solo che tutte queste belle cose paiono più un’occasione per rilanciare i profitti, utilizzando i 210 miliardi del Recovery per incentivare le imprese, che un terreno di impegno per iniziative pubbliche. Questa visione è completata dal discorso sulle infrastrutture: “Il settore privato deve essere invitato a partecipare alla realizzazione degli investimenti pubblici apportando più che finanza” – quella ce la mette lo Stato, cioè noi! – “competenza, efficienza e innovazione per accelerare la realizzazione dei progetti nel rispetto dei costi previsti”. Difatti, fra gli obiettivi strategici include l’alta velocità, ridenominata pudicamente “rete ferroviaria veloce”, tanto per essere ambientalisti e lo “snellimento” delle procedure dietro a cui ci sta il rischio di una legislazione meno attenta alla corruzione e alle infiltrazioni mafiose.
La sanità non poteva non essere al centro del suo discorso. Vedremo se la sua revisione del piano per i Recovery Fund assegnerà a questo settore più soldi del misero 8% previsto dal governo Conte o se invece si toserà ancora di più questa assegnazione. Tuttavia bisogna riconoscere che c’è una indicazione positiva, quella di puntare sulla medicina territoriale, il cui smantellamento abbiamo pagato carissimo in questo brutto momento. Però anche a questo proposito manca l’indicazione chiara di una sanità universale, pubblica, gratuita per tutti e incentrata sulla prevenzione. Non vorremmo che, anche grazie all’autonomia differenziata (altro tasto non toccato), molte regioni favoriscano lo sviluppo di una medicina territoriale basata sul privato, che certamente non favorirebbe la prevenzione, ma la speculazione sulla malattia.
In sostanza i fondi europei che ci saranno gentilmente prestati, e che dovremo ripagare quasi per intero, serviranno a un massiccio trasferimento di ricchezza in favore del grande capitale. E risulta quindi beffardo il richiamo retorico di Draghi ai meriti di un’epoca ormai preistorica, quella dell’immediato dopoguerra, quando fu avviata “una Nuova Ricostruzione” (maiuscole sue) e “l’Italia si risollevò dal disastro della Seconda guerra mondiale con orgoglio e determinazione [...] grazie a investimenti e lavoro”, una prassi poi capovolta da decenni di politiche liberiste che l’hanno visto fra i maggiori protagonisti.
Ma indicativo è anche quello che Draghi non ha detto.
Glorificando le istituzioni europee non ha rammentato la nostra Costituzione e non poteva farlo visto che la differenza fra i valori fondanti delle due istituzioni sono profondissime e visto che l’antifascismo su cui si fonda sarebbe di disturbo per qualche partner di governo.
È stato silente pure sull’attacco subito dal mondo del lavoro che ha diffuso precarietà, bassi salari, perdita di diritti, sulla concentrazione dei media in pochissime mani, sulle pensioni da fame di oggi e su quelle ancora peggiori a cui andranno incontro gli attuali lavoratori, sulla necessità di eliminare i brevetti dei vaccini per consentire la loro libera produzione, visto che la loro scoperta è avvenuta a suon di finanziamenti pubblici.
Di fronte al prevedibile attacco che i lavoratori potrebbero subire, occorre una pronta mobilitazione con l’obiettivo di costruire un vasto e unitario fronte di opposizione.