Delocalizzazioni: come vogliamo combatterle?

Il governo interviene sulle delocalizzazioni, ma per peggiorare le cose. Manca il ruolo dello Stato e il suo indirizzo e controllo sull’economia. Tornano in epoca pandemica gli spettri del neoliberismo.


Delocalizzazioni: come vogliamo combatterle?

La Rsu della Gkn aveva già accolto l’emendamento depositato alla Commissione Bilancio del Senato – e successivamente votato quasi all’unanimità – con un commento che non ammette alibi per il governo: “Una norma che ci avrebbe già chiuso. Riproponiamo il nostro testo e chiediamo di non votare quell’emendamento”.

L’emendamento si riferisce alle aziende con più di 250 dipendenti: appena 4mila in tutto il paese, solo lo 0,1% delle imprese esistenti, mentre le delocalizzazioni riguardano ormai anche piccole imprese che chiudono i battenti per portare le produzioni dove il costo del lavoro è più basso. A partire dagli anni Novanta del secolo scorso fino a tutto il primo decennio dell’attuale sono nati distretti industriali del made in Italy in Romania, Albania e poi Serbia. Parliamo anche di piccole aziende che hanno mantenuto uffici e direzioni nel paese di origine delocalizzando le produzione ove il costo del lavoro era a livelli infimi e sovente i regimi fiscali favorevoli.

Il Collettivo di fabbrica aveva in mente ben altro e aveva lavorato, insieme all’Associazione Giuristi Democratici, a una proposta ben diversa presentata da vari parlamentari per arrestare i processi di delocalizzazione.

Quella proposta prevedeva la continuità occupazionale, sanzioni per i comportamenti illeciti delle imprese e si rivolgeva ad aziende con oltre 100 dipendenti, anziché 250, quintuplicando all’incirca il numero di imprese obbligate e in particolare racchiudendo sostanzialmente tutte quelle interessate da processi di delocalizzazione. Il testo prevedeva l’obbligo a carico dell’impresa di comunicare preventivamente al governo il progetto di dismissione e presentare al ministero per lo Sviluppo economico un piano per la salvaguardia dei lavoratori con la diretta partecipazione dei sindacati in tutta la fase di discussione.

Cassa Depositi e Prestiti avrebbe potuto decidere di subentrare nella proprietà Gkn (un fondo di investimento del Nordamerica) e comunque avrebbe dovuto controllare l’affidabilità di un eventuale acquirente esterno. Era prevista per l’acquisto dell’azienda la precedenza per i lavoratori riuniti in cooperativa e per lo Stato

La proposta del collettivo di Fabbrica mirava non solo ad aspetti formali ma sostanziali, a erigere paletti efficaci per contrastare i processi di delocalizzazioni investendo lo Stato direttamente nelle decisioni da assumere a tutela dei posti di lavoro, tanto che, in assenza di certe procedure, i licenziamenti sarebbero stati illegittimi. L’iniziativa a sostegno della proposta del Collettivo è stata oggetto di discussione in tante città e sostenuta anche da una petizione pubblicata su Change.org

Al contrario il governo si è sottratto alle sue responsabilità ribadendo la centralità del mercato e l’assenza del Pubblico da ogni atto di controllo e di indirizzo dell’economia. Nasce in questa ottica la formula generica, poi votata in parlamento, mirante solo alla mitigazione sociale dei licenziamenti e scartando a priori la continuità occupazionale e produttiva. Verranno così previste solo irrisorie sanzioni per chi non rispetterà le procedure di chiusura e di licenziamento. 

Già dalla prima lettura dell’emendamento era evidente, anche per il Collettivo di fabbrica, che tale esito non sarebbe stato quello auspicato, per il quale era iniziata una forte mobilitazione iniziata fin dalla scorsa estate. Al fine di non produrre norme antidelocalizzazione, il governo ha preferito regolamentare in maniera soft le procedure di licenziamento che si limitano a una comunicazione formale ai sindacati e agli enti bilaterali (dove ci stanno sempre i sindacati). Poi tutti insieme appassionatamente verso la disoccupazione preceduta da qualche ammortizzatore sociale, ricorrendo a qualche azione per ricollocare la forza lavoro.

Avevamo ragioni da vendere nel denunciare che il problema per il governo fosse solo evitare scorrette procedure di licenziamento senza affrontare una volta per tutte il nodo delle delocalizzazioni e senza sanzionare adeguatamente chi vuole portare all’estero i processi produttivi.

L’argomento è stato prima oggetto di voto in Commissione Bilancio del Senato, dove, l’emendamento del governo è stato presentato dal ministro del Lavoro Andrea Orlando e dal viceministro dello Sviluppo economico Alessandro Todde. Tale provvedimento, rispettoso delle esigenze padronali, è stato poi rinviato all’esame del parlamento. In antitesi al testo governativo c’era la proposta del Collettivo di fabbrica fatta propria dal senatore di Potere al Popolo Matteo Mantero, e dalle senatrici del gruppo misto Paola Nugnes, Virginia La Mura e Barbara Lezzi.

Ovviamente, visti i rapporti di forza, è stato approvata la proposta governativa e non quella sostenuta dai lavoratori Gkn.

In particolare hanno votato contro l’emendamento dei lavoratori i senatori del Pd, di Leu, di Fratelli d’Italia, di Italia Viva, della Lega, di Forza Italia e di altri gruppi minori. Al danno è seguita quindi la beffa: i parlamentari accorsi ai cancelli della fabbrica Gkn, evidentemente volevano solo ben figurare salvo poi non tenere fede agli impegni assunti con i lavoratori.

Non ci sono solo i fondi di investimento previdenziali a favorire le delocalizzazioni (Gkn e Caterpillar di Jesi). Il processo va avanti senza che lo Stato intervenga rinunciando a qualsivoglia atto di indirizzo dell’economia a fini sociali. Del resto la manovra finanziaria è stata presentata in anteprima a Bruxelles, e ha ricevuto un plauso dalla Ue, prima di essere presentata alle forze di maggioranza. Una premura, quella di presentarla prima in maggioranza, ritenuta superflua visto che ancora una volta centrodestra e centrosinistra, che su altri argomenti si scontrano ferocemente, si dimostrano fatti della stessa pasta quando si tratta di negare i diritti sociali e di assecondare gli interessi del capitale.

Nota di redazione: Quando questo articolo era già pronto per la pubblicazione, ci è giunta la notizia che Qf Spa (Gruppo Borgomeo) ha acquistato da Melrose il 100% della Gkn di Firenze e ha ritirato l’impugnazione del vecchio proprietario contro la sentenza che aveva annullato i precedenti licenziamenti, annunciando la sua intenzione di rilanciare lo stabilimento.

Al momento soprassediamo da ogni commento e ci limitiamo a pubblicare di seguito il documento in merito, assai impegnato e tempestivamente approvato dall’assemblea dei lavoratori Gkn.

“1. È stato annunciato sui giornali il passaggio di proprietà da Gkn Firenze da Melrose a Francesco Borgomeo. È un accordo tra privati i cui termini probabilmente non saranno nemmeno mai conosciuti fino in fondo. Noi non possiamo che prendere atto di questo passaggio, su cui non c’era nulla da concordare con noi e nulla, per il momento, è stato concordato. I termini di questo passaggio dovrebbero essere spiegati non sui giornali, ma con una comunicazione dettagliata in sede istituzionale.

2. I licenziamenti in Gkn sono stati sconfitti non una ma due volte. Avevamo detto che se sfondavano qua, avrebbero sfondato dappertutto. Qua non hanno sfondato. E questo è quanto portiamo in dote a chiunque voglia trarne coraggio, lezione, bilanci, metodo. Il rischio ora è di essere in un nuovo calcolo. Entriamo in una fase di attesa, dove non si rischia la morte improvvisa ma per lenta agonia. Chi ci acquista non ha un proprio piano industriale ma lo fa per venderci a un terzo soggetto industriale. E veniamo acquistati non per tornare a fare semiassi, ma per una reindustrializzazione che potrebbe comprendere lo svuotamento totale del capannone e una produzione completamente diversa. Un’operazione complessa la cui riuscita è tutta da verificare. 

È la fase dove rischiamo di fare la fine della rana bollita di Chomsky. La rana immersa in un pentolino d’acqua fredda prova sollievo quando accendi il fuoco perché avverte un certo tepore. Man mano che l’acqua sale di temperatura la rana si abitua al calore. Quando infine avverte pericolo di morte, l’acqua calda le ha tolto ogni forza e non riesce più a saltare fuori dalla pentola.

3. Non si smobilita, quindi. La mobilitazione forse cambierà nei tempi e nei modi. Ma non smette, per tre ragioni fondamentali: primo, perché niente è stato ottenuto. Non c’è stato alcun accordo. In secondo luogo, perché anche se accordo sarà, l’assemblea dei lavoratori e il territorio rimangono a guardia e supervisione di ogni passaggio della reindustrializzazione. E infine non smobilitiamo perché siamo arrivati qua assieme e continuiamo assieme. La solidarietà che abbiamo ricevuto non muore, si trasforma e si mette a disposizione. Vi siete fatti un favore unendovi alla lotta. Ci dobbiamo tutti il favore di continuare. Il nostro «Insorgiamo» continua così come continuerà il tour toccando nuove città. E lanciamo subito un nuovo «tenetevi liberi» per marzo. Lo lanciamo a tutti i solidali, a chi era in piazza il 18 settembre, alle vertenze in crisi, ai precari, agli studenti, alle reti di lotta ambientalista. Si continua a convergere e a insorgere.

4. Per quanto ci riguarda il passaggio di proprietà avviene in piena continuità occupazionale e di diritti. Manteniamo stessi posti di lavoro e stessa accordistica. E avviene in continuità di salute dello stabilimento visto che l’abbiamo preservato e curato. Così è, così dovrà essere. Qualsiasi soggetto industriale arrivi, lo deve fare mantenendo diritti e posti di lavoro. Non saremo mai terreno di operazioni opache o di ricatti.

5. Tuttavia il passaggio di proprietà non avviene in continuità produttiva. Gkn Firenze viene comprata ed «estratta» dal gruppo Gkn e dalla filiera produttiva. Diventa una società a sé stante senza volumi e senza missione industriale. I macchinari rimangono qua ma cessano probabilmente di avere una funzione. In un modo o nell’altro quindi Gkn Firenze viene smantellata. Certo, viene smantellata sotto la promessa di impiantare un’altra produzione. E probabilmente una produzione che non c’entra nulla con i semiassi. Così forse salveremo 500 posti di lavoro ma un altro pezzo dell’automotive se ne va. E non è questione di essere affezionati all’automotive. Il problema è un altro. Qua c’era una storia industriale di decenni che veniva dalla Fiat. E questa storia viene chiusa non per una decisione collettiva o per un piano sociale. Ma perché un fondo finanziario ha deciso, di concerto con Stellantis probabilmente, che qua non si dovevano più produrre semiassi. Noi non ne usciamo sconfitti, ma c’è poco da cantar vittoria: rimangono migliaia di posti di lavoro a rischio in tutto l’automotive e lo Stato esce da questa vicenda come un semplice passacarte.

6. Proprio per questo la nostra proposta di Ppms, di Polo Pubblico per la Mobilità Sostenibile, rimane in campo. E confermiamo l’attività del gruppo di competenza contro le delocalizzazioni. Rimane cioè in piedi la collaborazione con ricercatori e ingegneri solidali. Rimane la legge antidelocalizzazioni da promuovere, insieme ai giuslavoristi progressisti.

7. I macchinari, come abbiamo detto, rimangono qua. Ma senza volumi e probabilmente con un accordo di non vendita alla concorrenza, rimangono magari per essere girati a Melrose più avanti. In un modo o nell’altro, quindi, il fondo li porterà via da qua. Per quanto ci riguarda invece il principio non cambia. È quello che ci ha sempre guidato: macchina entra, macchina esce. Per ogni macchinario che esce, ci deve essere chiarezza su quali macchinari arrivano. Altrimenti, come già detto, da qua non esce uno spillo.

8. I licenziamenti sono sconfitti e c’è una prospettiva di ripartenza. È vero. Ma la prospettiva si colloca nel futuro ed è tutta da verificare. A breve invece i passaggi concreti coincidono parzialmente con la volontà di Melrose: l’eventuale ammortizzatore interviene a sollevare un privato dai nostri stipendi, cessa la produzione di semiassi a Firenze, Gkn Firenze è una società che si avvia al termine. Se quindi la prospettiva futura non si verificasse, rimarrebbe solo la chiusura e la delocalizzazione. Per questo il percorso verso la reindustrializzazione deve essere sancito da un accordo chiaro, dettagliato, granitico nei tempi e nelle certezze.

9. Abbiamo chiesto che lo Stato intervenisse da subito nel capitale di Gkn Firenze a garantire tale percorso. Ci è stato risposto a più voci che non ci sono le condizioni di un intervento pubblico. Ma in verità l’intervento pubblico c’è e ci sarà. C’è perché Invitalia e il Mise di fatto danno benedizione e garanzie a parole che si tratta di un’operazione credibile e seria. E ci sarà perché l’eventuale ammortizzatore e i corsi di formazione saranno probabilmente fatti con soldi pubblici. L’intervento pubblico c’è, quindi, ma si limita a monitorare dalla finestra. E di questi tipi di monitoraggi abbiamo già apprezzato la mancanza di efficacia.

10. Per tutte queste ragioni deve essere convocato un incontro in sede istituzionale e chiediamo un accordo che sancisca: rientro dei lavoratori degli appalti all’interno del percorso di continuità occupazionale, continuità dei diritti e dei posti di lavoro anche con il futuro soggetto reindustrializzatore, presentazione di un piano industriale certo e dettagliato, tempistiche certe con un termine entro il quale l’assenza di progressi chiari preveda l’intervento dello Stato e il passaggio al nostro piano industriale, piano di formazione concordato e chiaramente finalizzato, accensione di un ammortizzatore sociale che preveda l’integrazione economica e principi chiari di rotazione, incontri di verifica costanti del piano, prepensionamenti o pensionamenti o uscite volontarie devono avvenire con una previsione di saldo occupazionale, l’analisi e la presa in considerazione di tutta l’elaborazione del nostro gruppo di competenza solidale e quindi l’analisi con pari dignità anche delle proposte di reindustrializzazione elaborate dai lavoratori e dai soggetti solidali territoriali.

Non si smobilita. Tenetevi liberi a marzo.”

Abbiamo salvato la fabbrica per il territorio, con il territorio. E per il territorio, con il territorio, la rimetteremo in movimento.

Continuiamo a farci il favore della lotta. Continuiamo a essere classe dirigente.

Non crediamo alle favole o ai supereroi. Crediamo che le nostre debolezze possano scrivere la storia.

24/12/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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