Da diversi anni il dibattito politico tra i comunisti si arroventa attorno al problema di come unire le forze disperse della sinistra. La questione è quasi sempre mal posta. Non stupisce quindi che le soluzioni proposte (Arcobaleno, FdS, Ingroia, ora Altra Europa...) siano state parziali o inadatte, tanto da trascinare anche la sinistra (comunista e non) nella sfiducia e mancanza di consenso di cui soffre il ceto politico italiano.
di Alessandro Pascale, CPF PRC di Milano
Da diversi anni il dibattito politico tra i comunisti si arroventa attorno al problema di come unire le forze disperse della sinistra. La questione è quasi sempre mal posta. Non stupisce quindi che le soluzioni proposte (Arcobaleno, FdS, Ingroia, ora Altra Europa...) siano state parziali o inadatte, tanto da trascinare anche la sinistra (comunista e non) nella sfiducia e mancanza di consenso di cui soffre il ceto politico italiano. A seconda delle mode e della convenienza si esaltano modelli politici stranieri molto difformi tra loro come Front de Gauche, Linke, Izquierda Unida, Syriza ed in tempi recentissimi Podemos, salvo poi esultare e rivendicare i risultati delle forze comuniste del Giappone, della Repubblica Ceca, della Russia o del Portogallo, realtà sopra il 10% che attestano la validità del modello del partito comunista anche in condizioni di capitalismo avanzato.
Molti comunisti nostrani affermano la necessità di seguire modelli politici simili a quelli di Syriza o Podemos, in cui i comunisti svolgono un ruolo di corrente culturale e politica con lo scopo di praticare l'egemonia in un bacino sociale più ampio di quello attuale assai più ristretto. Il ragionamento ha una sua logica, per quanto vada sempre valutato dialetticamente e analiticamente in base alla realtà concreta esistente. In Italia ad esempio non si sta seguendo un percorso simile, quanto piuttosto un tentativo di unificazione di ceti dirigenti di due organizzazioni (PRC e SEL) in evidente declino organizzativo (se non propriamente politico).
L'errore è doppio: la ricomposizione della sinistra viene ricercata sulla condivisione dell'opposizione al liberismo e dell'autoproclamata appartenenza all'identità di “sinistra” (ma cosa vuol dire essere di sinistra? Fioccano molteplici risposte diverse...). La si pratica insomma su un livello “politicistico” di unità di organizzazioni residuali, mentre non viene praticata sul terreno della classe oppressa, che peraltro tende ormai a identificare spesso e volentieri spregiativamente il termine “sinistra” con Matteo Renzi o con i vari Fassina, Civati, Cuperlo (altri personaggi discutibili e in cerca di ricollocazione politica). Podemos offre invece uno spunto certo interessante quando afferma, per bocca del suo leader Pablo Iglesias, che Lenin non parlò ai russi di “materialismo dialettico”, ma di “pane e pace”.
Verissimo. Ma qui si confondono i piani. Il discorso della comunicazione e della propaganda tra le masse è ben diverso da quello dell'organizzazione e dell'impostazione del partito. Podemos potrà anche essere composta da molti marxisti-leninisti (anche se la cosa rimane da verificare), ma non sarà minimamente in grado di reggere al tempo se non sarà in grado di coniugare il suo tentativo di porsi mediaticamente oltre destra e sinistra (ricorda qualcosa?) con la costruzione di una salda coscienza interna tra i militanti che siano quindi ben consapevoli della strumentalità di tale progetto.
In altri tempi si sarebbe detto che occorre mantenere ferma la distinzione tra tattica e strategia. Il superamento di destra e sinistra proposto da Podemos è tattico o strategico? La sua natura sostanzialmente non comunista è tattica o strategica? Il superamento di destra e sinistra è tattica o strategia? I dubbi vanno senz'altro espressi, e sono gli stessi che riguardavano all'epoca il fenomeno di SEL e Vendola, pompati a spron battutto dai media nostrani per poi sciogliersi come neve al sole dopo aver distrutto la sinistra comunista e non aver mai raggiunto il 5% in nessun risultato elettorale di rilievo. Occorre inoltre ricordare che in Italia ogni progetto tattico proteso ad allargare il campo d'azione dei comunisti si è trasformato col tempo in un obiettivo strategico. Lukàcs, ripreso in tempi recenti da Preve, spiega così la lunga metamorfosi del PCI: da partito di Gramsci al PD servo del grande Capitale.
Ma noi vogliamo essere ottimisti e fidarci. Diamo per scontata la buona fede di Podemos, nonostante il dubbio sostegno mediatico, spesso indicatore di una spintarella politica data dalla borghesia locale per sottrarre consenso alle forze comuniste. Torniamo al contesto italiano e ragioniamo: è in grado il PRC di portare avanti la sua progettualità della costruzione del soggetto di sinistra unitario in parallelo con la sopravvivenza del partito? Io credo di no. Per il semplice motivo che si sottovalutano i rischi a cui è esposto ormai in maniera sempre più evidente il PRC, un partito che ha perso decine di migliaia di iscritti nel giro di pochi anni e che oggi si attesta su un dato (poco più di 20 mila iscritti, il che non coincide con il numero di militanti) che significa una cosa sola: oggi il PRC non è una forza politica capace di reggere un gioco più grande di quello che rappresenta.
Un tale diceva che per fare una guerra occorre un esercito. Oggi tale esercito non è presente nelle organizzazioni esistenti, che abbondano invece di generali decorati di molteplici sconfitte. Il tatticismo che si sta portando avanti si basa sull'assunto che i pochi iscritti (i pochi battaglioni...) rimasti siano ben formati ideologicamente, abbiano una coscienza salda ed energie sufficienti per dedicarsi sia alla costruzione del soggetto unitario che al rafforzamento del partito comunista. Un'analisi che si mostra però tragicamente inadeguata e che sarà smentita in maniera evidente da qualunque militante che abbia un minimo di polso del proprio territorio.
Il binario che si apre è quindi doppio: dato per scontato che il rifiuto del settarismo impone la costruzione di una sinistra allargata, occorre capire che tale progetto potrà riuscire solo se si sarà in grado di invertire il declino del PRC, investendo energie e risorse anzitutto sul suo rafforzamento politico, a partire da un'adeguata formazione politica (pratica ma anche teorica, attraverso una riscoperta del modello perduto del marxismo-leninismo). La ricostruzione di un esercito non è cosa semplice, ma di sicuro non potrà avvenire sul terreno di un indistinto soggetto unitario di sinistra antiliberista incapace di dare le risposte politiche più adeguate. Lo insegna la storia italiana degli ultimi anni, ma soprattutto la storia intera del movimento operaio internazionale.
Se la questione del superamento del capitalismo rimane attuale (e lo è!) occorre capire che il processo fondamentale da attuare oggi è la ricostruzione di un partito comunista degno di nota, capace di aumentare il consenso sociale e rafforzare la propria organizzazione con un aumento degli iscritti e dei circoli territoriali. Questo è il problema vero all'ordine del giorno. Se qualcuno si azzarderà ad affermare che è quello che si è provato a fare dal 2008 ad oggi ricordategli che è stato costretto a votare Ingroia...