I figli di nessuno

Da sempre, il branco è composto dai figli di nessuno. Noi siamo i padri, noi siamo quelli che vedono, quelli che accettano una civiltà alla deriva, quelli che credono d’essere genitori di figli modello, mai implicati e sempre bravi.


I figli di nessuno Credits: zoomsud.it

La stima è difficile, non si sa quanti siano. I figli di nessuno vanno in prima pagina e non possono difendersi, fanno parte del branco, il famoso branco. Tutti i genitori possono prendere le distanze da essi e, nelle migliori occasioni, i padri indosseranno un mantello nero, tanto per coprire cuori insensati e maglie strette, troppo strette. I figli di nessuno portano il segno dell’infamia, per cui l’Italia malfatta, corrotta, ambigua e vigliacca non sente colpe, non avverte spasmi, ma odio viscerale. Strano, però. Anche la tv piange sulla vittima del branco, gli altri non sono figli nostri, non c’entrano con noi. Gli organi preposti per informare ricostruiscono i fatti, i teppisti vengono arrestati. Tutti vogliono una pena esemplare. “Noi abbiamo educato bene i nostri figli, non dobbiamo temere”, queste sono le parole che mi disse una madre, troppo convinta, troppo sicura, che suo figlio fosse il buono.

Strano, però. I giovani che giocano in nazionale sono nostri figli a tutti gli effetti, con tutti i vizietti, con tutti i loro lamenti e le loro uscite stagionali da veri eroi. Se fanno gol sono ancor più belli, essi non farebbero mai parte di una gang. I figli di nessuno? Questa nazione non li ha cresciuti, non sono Italiani, non sono il frutto di questa società, sono alieni caduti sulla terra per caso, prodotti d’importazione, merce fallata. Anche i cattolici, i ferventi cattolici pregano per la vittima, gli altri sono figli di nessuno e nulla potrà salvarli dall’inferno. Il perdono? Il perdono è opera di dio. Ipocrisia e bigottismo veleggiano con il vento in poppa, ricoprendo di ridicolo i buoni propositi. Siamo ubriachi della nostra viscida considerazione della realtà.

Da sempre, il branco è composto dai figli di nessuno. Li vediamo sotto casa, mentre parlano tra di loro. Li giudichiamo dall’alto dei nostri sensi artefatti, secondo i nostri canoni marci, confondendo la giovane età dei soggetti con i peli bianchi, che troviamo sul petto e i chili di troppo imbarcati durante il viaggio. Noi siamo i padri, noi siamo quelli che vedono, quelli che accettano una civiltà alla deriva, quelli che credono d’essere genitori di figli modello, mai implicati e sempre bravi. Di chi sono figli quei ragazzi giovani e sbarbati, belli e delinquenti, come nei film cult /rozzi dati in tv a prezzi modici?

Essi sono figli di questo tempo infame e noi siamo la generazione dei padri e delle madri, non dimentichiamolo mentre li accarezziamo. Bisogna avere il coraggio di chiamarli anche figli nostri, figli di questa Italia, figli della disperazione, della follia, della disoccupazione, delle grandi tragedie famigliari, di corruzione ai massimi livelli, dell’ingiustizia sociale. Non solo il giovane accasciato a terra senza più vita, bello anche nelle foto più tragiche; anche quei giovinastri bastardi sono figli nostri.

Questa ipocrisia con cui crediamo di seppellire le nostre colpe, come fossimo estranei, come fossimo stranieri, come fossimo noi di un altro pianeta è la dimostrazione pratica di quanto sia instabile e fasulla la nostra formazione mentale bigotta ed egoista. Vorrei ricordare a tutti noi, che la vita non è sempre un viottolo alberato, un parco dove sdraiarsi, un viale illuminato da percorrere. Da giovane si sbaglia spesso, qualche volta succede la tragedia, qualche volta si è più colpevoli di altri, qualche volta stupidi e ubriachi. La giustizia interverrà, quei giovani colpevoli pagheranno l’infamia. Nella famiglia del ragazzo ucciso forse non tornerà mai più la pace, come nelle famiglie dei figli del nulla. Ma questa società che giudica e classifica, onora e disonora, logorata dagli impegni, assassinata dal sistema, abbia il coraggio di alzare le mani e chinare il capo davanti ai colpevoli.

01/04/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: zoomsud.it

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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