Gutierrez: la sfida teorica e pratica della povertà

Padre Gutierrez ci ha lasciato. Con lui se ne va uno dei principali teologi della liberazione (il fondatore per certi versi), una voce nitida di denuncia, che dal Concilio Vaticano II (Patto delle catacombe) ad oggi, a partire da una riflessione sulla povertà, assunta come chiave ermeneutica dei processi storico-economici in atto, ha rappresentato e accompagnato le profonde tensioni presenti nel continente sud-americano colonizzato ed oppresso dall'imperialismo occidentale, e le sue capacità di delineare trasformazioni e alternative politiche e sociali.


Gutierrez: la sfida teorica e pratica della povertà

Tra seconda metà degli anni '50 e degli anni '70 si imposero in America  Latina dittature vere e proprie, su cui gravava l'appoggio implicito od esplicito degli USA: torture, esili, violenze, desaparecidos, controllo totale.  La loro funzione fu di reprimere lotte e dissenso mentre i loro paesi furono subordinati alle  merci, alle  tecnologie occidentali, a fronte di enormi capitali presi a prestito. Dagli anni '60 i processi di decolonizzazione, soprattutto in Asia e Africa, la politica di aiuto allo sviluppo da parte dell'occidente, permisero di estendere alle ristrette classi privilegiate locali il nostro modo di sviluppo, facilitando così l'appropriazione/esproprio delle ricchezze prodotte dalle ex colonie, un vero e proprio trasferimento dei profitti dalla periferia al centro, a cui si devono aggiungere le politiche di aggiustamento strutturale che resero ancor più subordinato lo sviluppo dei paesi poveri agli interessi dei poteri economici e finanziari forti dell'occidente. La disuguaglianza era la cifra di quei regimi: l'élite costituiva il 5%, il  ceto povero l'85%. Gustavo Gutiérrez conferì alla Teologia della Liberazione una curvatura capace di legare la fede all’azione politica, sottolineando la forza di liberazione sociale del messaggio cristiano e la conseguente necessità di agire per la liberazione dei più poveri.

Nel '68 c'era stata la Conferenza episcopale della chiesa latino-americana, tenuta a Medellin in Colombia nel 1968 su  La Chiesa nell'attuale trasformazione dell'America latina alla luce del Concilio, in cui il principio metodologico adottato  fu quello del  "vedere-giudicare-agire": partire sempre dalla realtà, proporre un'analisi biblica e teologica, avanzare  suggerimenti per l’azione sociale e pastorale. "La Chiesa latino-americana [,....] ha posto al centro della sua attenzione l’uomo di questo continente, che vive un momento decisivo del suo processo storico. Ma in questo modo non crede di aver ‘deviato’, bensì di essere ‘tornata verso l’uomo’, cosciente del fatto che, ‘per incontrare Dio, è necessario incontrare l’uomo’, poiché Cristo è colui in cui si manifesta il mistero dell’uomo. La Chiesa ha cercato di comprendere questo momento storico dell’uomo latino-americano alla luce della Parola che è Cristo. Un sordo clamore proveniente da milioni di esseri umani chiede ai loro pastori una liberazione che non arriva loro da nessuna parte" (Pobreza de la Iglesia). In tutto il continente crebbero gruppi di resistenza. Tra essi gruppi di cristiani, convinti che occorresse battersi  contro la brutalità e la disumanizzazione di un continente, che  fosse necessario sostenere i processi di liberazione, misurarsi con la lotta di classe ed il marxismo, in forte contrasto con le scelte della gerarchia ecclesiastica che  spesso si era schierata a fianco di quei regimi, indulgente con i loro crimini quando non complice.

In questo contesto si affermò La Teologia della liberazione, che se va intesa a partire  dai testi del Concilio, che è il suo nucleo, si è formata a partire dalla sofferenza dei popoli oppressi, per difenderne la dignità  e la somiglianza con Dio, che  obbligano a prendere posizione per modificare le cause che producono saccheggi, povertà, morte, fame, repressione. Appariva  sempre più evidente che la condizione di dipendenza dei paesi del sud del mondo dallo sviluppo del nord, che la disumanizzazione, l'oppressione, lo sfruttamento non erano l'effetto di calamità naturali, ma il prodotto di un sistema socio-economico, di cui le gerarchie ecclesiastiche erano state spesso complici. La relazione fra povertà e capitalismo, che  ha via via acquisito una posizione centrale in questa riflessione teologica, ha costituto un punto di svolta nella ermeneutica dei processi storico-economici contemporanei. Gustavo Gutiérrez  definisce infatti la Teologia della Liberazione come  il «tentativo di interpretare la fede a partire dalla prassi storica concreta, sovversiva e liberatrice, dei poveri di questo mondo, delle classi oppresse, dei gruppi etnici disprezzati, delle culture emarginate» (La Teologia della liberazione, 1971).  Sottolineò la forza di liberazione sociale del messaggio cristiano e la conseguente necessità di agire per la liberazione dei più poveri. La povertà non veniva vista come un fenomeno naturale, frutto di arretratezza o di fallimenti di popoli o individui, ma come l'effetto di cause che la producono, che sono individuate in un sistema economico profondamente iniquo, che si regge sull' appropriazione privata del lavoro, della natura, dei beni fondamentali. Gutierrez parlava esplicitamente di 'imperialismo economico occidentale'. La povertà dunque assume un valore teologico. Il modo privilegiato attraverso cui la chiesa può intendere la parola di Cristo è quello di porsi in ascolto dell' 'oscura profezia di questo dolore'.  Gutierrez ha posto la necessità di guardare la storia dal punto di vista degli ultimi. La storia del patire degli uomini offre un nuovo criterio ermeneutico: per capire il mondo in cui viviamo occorre guardarlo dalla verità dei servi, di coloro che sono stati ridotti in servitù. Da un'altra prospettiva: quella dei vinti anziché dei vincitori, degli oppressi, martoriati, schiavizzati, disumanizzati, anziché dei dominatori, di coloro che godono dei frutti della terra e ne beneficiano in modo esclusivo. Fa capolino ovunque la figura del servo-padrone, teorizzata da Hegel, in cui è indicato che la verità è nel servo,  è il servo che indica la verità del rapporto col padrone, è il servo che – dice Gutierrez- ribalta il rapporto.  Gutierrez si richiama spesso a  Hegel, per il quale “la storia universale è il progresso della coscienza della libertà....E' la stessa libertà che racchiude in sé la infinita necessità di farsi coscienza e conseguentemente di farsi reale” (H., FdS). La storia del patire degli uomini indica una nuova antropologia: guardandoci con gli occhi dei servi si può aprire un processo di formazione di una nuova soggettività, contro la pulsione a costruire la nostra identità di potere, contro la cultura della dominazione, per una nuova identità solidale, frutto dell'esperienza dell’interazione con gli altri. Le potenzialità emancipative del messaggio cristiano, col suo annuncio di una vita degna di essere vissuta, una vita nuova che si preannuncia nella resurrezione di Gesù derivano dal vangelo,  forza liberatrice che va alle stesse radici dell'ingiustizia. Allora  la salvezza non è qualcosa di oltremondano, di fronte a cui la vita terrena non sarebbe che una prova;  essa è pienezza della comunione degli uomini con dio e degli uomini tra loro, è qui e ora, è concreta e assume la storia, la realtà umana, le trasforma e le porta alla sua salvezza in Cristo; la salvezza è piena liberazione. Non esistono due storie: una profana e una sacra, una redenzione spirituale o una redenzione temporale, ma un solo divenire umano assunto da Cristo, la cui opera redentrice abbraccia tutte le dimensioni dell'esistenza, conducendole al loro compimento. Gutierrez insiste sul fatto che la partecipazione al processo di liberazione dell'uomo sia già opera di salvezza. E parla di una vocazione unica alla salvezza, che, al di là di una distinzione di piani tra chiesa e mondo, fede e storia, soprannaturale e naturale, “valorizza religiosamente in modo nuovo, l'azione dell'uomo nella storia, cristiano o non “. ”L'impegno dei cristiani nella storia è vero luogo teologico”: è una sorta di  prassi della liberazione. Questo, secondo Gutierrez, è un nuovo modo di fare teologia, che non si limita a pensare il mondo, ma si pone come un momento del processo attraverso cui il mondo viene trasformato.

06/11/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: