This is Congo

Un docu-film sulle contraddizioni, il saccheggio, il colonialismo e la guerra infinita che insanguinano la Repubblica Democratica del Congo.


This is Congo Credits: Reuters (Corruption in Congo)

In un momento storico complesso durante il quale si dimentica la storia e, perciò, non si sa come affrontare il presente, e nel quale si percepisce la cultura come velleitaria zavorra senza alcuna utilità per l'avvenire, si inseriscono iniziative pubbliche volte a svelare ''(…) l'unico continente rimasto, il Continente Umano''.

Questo è l'obiettivo de 'Il Mese del Documentario', manifestazione giunta alla sua quinta edizione:

i quattro film proiettati nell'ambito della rassegna, tenuta presso la sede dell'Istituto Superiore Regionale Etnografico di Nuoro, secondo le parole del Direttore Artistico Pinangelo Marino, mostrano ''un cinema che (…), nel cronachismo di un eterno presente, (…) ci riconsegna il tempo delle storie del mondo. Non esiste un solo cinema documentario. Non esiste un solo stile, un solo metodo (…) [ma] forme e contenuti diversi e in divenire (…). Pubblici che trovano nei temi e nei processi di creazione del cinema documentario contemporaneo una potente forza generatrice di idee e visioni ''.

La missione de Il Mese del Documentario è quindi quella di ''(..) svelare l'esistenza di tanti villaggi quante sono le sale cinematografiche dei nostri territori'', come riportato nella sinossi del programma: in un 'villaggio globale' che si dimentica dei suoi figli da crescere, ovvero del suo stesso futuro, si inseriscono documentari magistrali quale ''This is Congo'', di Daniel McCabe.

La parte internazionale della rassegna di cine-documentari si è inaugurata il 31 gennaio con questo racconto duro e privo di filtri: ben cinquecento ore di riprese portate avanti per tre anni da McCabe, originariamente recatosi nel Paese centrafricano per documentare l'insanguinato traffico di diamanti verso il nostro opulento Occidente.

La guerra nella quale si imbatte, invece, gli si mostra prepotentemente come conditio sine qua non della vita dei congolesi: ogni aspetto di quest'ultima, dagli ideali, passando per le aspirazioni ed i progetti, fino alle attività quotidiane, è condizionato dal conflitto con cause ed effetti estesi oltre l'ambito civile. Il regista, come si evince dalla visione del documentario, non ha mai il tempo di preparare le riprese, a causa dell'incalzare dei sanguinosi scontri armati tra l'Esercito di Liberazione Nazionale e le milizie ribelli congolesi, più di cinquanta su tutto il territorio della RDC.

La Repubblica Democratica del Congo, ex Zaire, è in realtà una sanguinosa dittatura sulla cui contemporaneità, strettamente legata alla sua drammatica storia, si sofferma lo sguardo pieno di amarezza del regista statunitense: da più di vent'anni, questo Paese è in uno stato di guerra permamente – quello del conflitto più lungo e sanguinoso dai tempi della Seconda Guerra Mondiale- che l'ha ridotto, di fatto, ad una condizione di perenne instabilità politica, economica e sociale.

Per capire le radici profonde ''dell'inferno che attanaglia i figli del Congo'', come sostenuto da uno dei civili protagonisti della narrazione di Daniel McCabe, si deve comprendere la sua storia.

Il Regno del Congo, multietnico da sempre, fu colonizzato dapprima dal Portogallo, poi dal Belgio del re Leopoldo II: divenuto Stato Libero del Congo, ovvero proprietà privata del sovrano belga, nel solco della tradizione dei nomi paradossali ed in contrasto con la realtà politica e sociale del Paese, si tramutò in enorme colonia a cielo aperto con una popolazione ''indigena, considerata alla stregua di un branco di scimmie da ammaestrare'', schiavizzata prevalentemente per la cattura e l'uccisione di centinaia di migliaia di elefanti, forieri di avorio da trafficare, e per la raccolta del caucciù che, se non accumulato in quantità ritenute soddisfacenti dall'arbitrio dei sadici caporali, prevedeva vere e proprie torture tra le quali il taglio delle mani.

A causa dell'inadeguatezza della struttura governativa dello Stato, già atavica, e delle proteste dei movimenti d'opinione che raggiunsero l'Europa e l'America settentrionale con la loro eco di proteste per l' elevatissima mortalità dei congolesi a causa delle loro condizioni di schiavitù, Leopoldo II inserì il Congo nel novero delle colonie belghe, facendolo diventare Congo Belga insieme al mandato di Ruanda- Urundi assegnatogli direttamente dalla Società delle Nazioni, antesignana dell'ONU.

A seguito dell'indipendenza dal Belgio, ottenuta nel 1960, emersero con tutta la loro prepotenza le realtà territoriali silenziate con la forza per secoli, ovvero quelle di gruppi etnici in lotta tra loro, armati e finanziati dagli Stati confinanti e da quelli esteri con mire sulle ricchezze naturali del Congo, simili a quelle che emersero in altre polveriere a noi più vicine, quale quella Balcanica.

In questo contesto Patrice Émery Lumumba, uno dei protagonisti della lotta per l'indipendenza del Congo, nazionalista visto dagli americani come minaccia filocomunista da eliminare, divenne primo ministro. Non fece in tempo, però, a realizzare i suoi programmi politici ed etnico-demografici in quanto, a seguito del colpo di Stato ordito dal colonnello Mobutu Sese Seko ed appoggiato dalla CIA statunitense, venne condannato a morte nel 1961.

Il regime fortemente autoritario e personalistico di Mobutu, una dittatura eterodiretta a stelle e strisce, portò il Congo a cambiare un'altra volta la denominazione in Zaire, nel 1971, e durò fino alla sua fuga e morte in Marocco, nel 1997, a seguito della Prima Guerra del Congo che vide vittorioso il generale Kabila, a capo delle forze ribelli ruandesi ed ugandesi.

Fu solo la prima di ben sei terribili guerre che hanno cambiato per sempre la storia del Paese in questione e che, fino ai giorni nostri, spingono i protagonisti-narratori a dichiarare esplicitamente che ''il miraggio è quello della fine fittizia della guerra. Finita una, ne ricomincerà un'altra''. Ed anche questa, come tutte le altre, vedrà il povero sarto profugo scappare dai suoi giacigli provvisori con la sua macchina da cucire, indispensabile strumento di lavoro e sopravvivenza, simbolo di dignità estrema per sé ed i suoi figli.

Geograficamente parlando, la Repubblica Democratica del Congo è un Paese particolarmente esteso, grande circa tre volte il Texas, particolarmente rigoglioso, con le sue foreste oggi utilizzate come impenetrabile nascondiglio dalle milizie ribelli, la sua suggestiva idrografia, il suo sbocco sull'Oceano Atlantico, ed anche uno ''scandalo geografico'', secondo le esplicative parole di un maestro dette dinnazi ai piccoli allievi nel corso di una lezione ripresa da McCabe.

Infatti, la Repubblica Democratica del Congo non può essere definita tale ma, semmai, uno ''Stato Collassato'', in base alle classificazioni del Diritto Internazionale, proprio a causa della sua ricchezza geologica: oro, diamanti, rame, cobalto, zinco ma, soprattutto, uranio (come quello utilizzato dagli Stati Uniti già dagli anni Quaranta, per bombardare poi Hiroshima e Nagasaki) e coltan (oggi acquistato a prezzi stracciati dalle voraci industrie tecnologiche, perché elemento essenziale per la costruzione dei moderni computer e degli smartphone).

Le ricchezze che potrebbero derivare dalle incessanti attività estrattive, però, non hanno mai contribuito all'incremento del PIL del Paese, che resta uno dei più bassi al mondo: le immagini del documentario ci mostrano le condizioni di sopravvivenza e di lavoro dei minatori, in stragrande maggioranza bambini, che scalano scalzi le montagne e scavano a mani nude per selezionare le gemme da rivendere agli avidi intermediari i quali, sovente, giungono dagli Stati confinanti, come l'Uganda, il Rwanda ed il Kenya, e che, successivamente, vengono rivendute ai compratori occidentali -banchieri, alti dirigenti aziendali, politici, imprenditori dalle attività certamente poco limpide. Questi ultimi, onde comprare il silenzio dei rappresentanti politico-militari congolesi, barattano la loro connivenza attraverso tangenti e favori politici e personali, tra i quali la vendita di armi ai gruppi ribelli condannati per crimini di guerra e contro l'umanità.

Questo cinema del reale apre uno squarcio sulla realtà di uno Stato che ripete ciclicamente gli schemi i quali hanno contraddistinto il suo drammatico passato. È così che i quattro personaggi principali del documentario, le colonne portanti della narrazione, si inseriscono nel contesto di un Congo privo di una territorialità inviolabile, di un governo democraticamente eletto ed effettivamente rappresentativo degli interessi popolari e non élitari esteri, di un esercito i cui soldati siano fedeli alla causa patriottica -in quanto la stragrande maggioranza lo abbandona per unirsi ai ribelli, per poi negoziare le condizioni del loro stesso ritorno col governo corrotto e corruttore come accaduto col gruppo di milizie M23, che ha causato l'ultima guerra con l'esercito regolare-, di una stabilità economica comprensiva di infrastrutture strategiche, come delle semplici strade asfaltate o delle case in muratura per una popolazione sempre più giovane e sempre più costretta a scappare in continuazione a causa delle sanguinose battaglie quotidiane. Narrano un Congo privo di un sistema socio-culturale che, al fine di evitare guerre civili tragiche tanto quanto quella ruandese, si dovrebbe posare su una forte struttura economica tale da far germogliare una sovrastruttura educativa accessibile a tutti, la quale si ponga come obiettivo il superamento delle corruttele e dei tribalismi basati sullo scontento generale.

I veri narratori della storia e dell'identità del Congo ci guidano attraverso una realtà che giunge a noi, allo sciovinismo ignorante ed indifferente delle nostre civiltà contemporaneamente imborghesite ed imbarbarite, grazie a fotogrammi incalzanti che svelano, secondo le parole di McCabe, ''i contrasti, la bellezza e l'orrore, la speranza e la disperazione. (…) di un Paese unico sia nei problemi che nelle qualità''.

Si tratta delle storie di vita di quattro personaggi: un informatore dall'identità tenuta strategicamente anonima, il sarto sfollato Hakiza, Mamadou, un comandante militare patriottico, e la rivenditrice di minerali e pietre preziose Mama Romance, alla quale ''la fame ha insegnato a procurarsi da mangiare''.

Il modo di dire che dà il titolo all'opera ''Questo è il Congo'', racchiude in sé tutta a rassegnazione dell'artigiano sfollato in un enorme campo profughi, che conta più di 60000 abitanti, a 7 km dalla città mineraria di Goma: ''il cibo è la medicina, le malattie realtà quotidiana. Con l'arrivo delle piogge invernali, come si potrà sperare di salvarsi dalle epidemie di diarrea e colera?

I bambini sono depressi, quotidianamente costretti ad assistere a scene drammatiche dovute alla promiscuità ed alle continue liti per un goccio d'acqua o una razione di cibo, o alle tumulazioni dei morti, per malattie o agguati dell'esercito regolare o dei ribelli, all'interno di enormi fosse comuni.

E più i bambini sono depressi, più il loro odio si accumula e cresce''.

L'attuale presidente della Repubblica Democratica del Congo, Joseph Kabila, è anche capo supremo delle forze armate: ma, anziché gestire la polveriera congolese, con le sue oltre 450 tribù, alimenta anch'egli le divisioni tribali con le loro indicibili violenze che destabilizzano l'intero Paese.

Tutto ciò accade mentre la Comunità Internazionale, con le sedi blindate per i suoi peacekeeping ed i suoi aiuti razionati all'interno degli sterminati campi profughi, dà alla popolazione poverissima e disperata l'impressione di essere totalmente indifferente alle scorribande tanto dell'esercito regolare quanto delle milizie ribelli ed, anzi, come ribadito da Mama Romance, ''(…) che, quando c'è la guerra, gli altri Paesi ridano perché il prezzo dei minerali cala''.

I leader delle milizie ribelli, sempre armate fino ai denti, dopo aver argomentato i loro ideali patriottici attraverso una critica compiuta al colonialismo causa della subalternità anche culturale del proprio Stato, vengono filmati mentre alimentano il culto della propria personalità con gesti eloquenti, quali il levarsi il cappello mimetico dinnanzi agli abitanti di un villaggio da loro conquistato con la forza al fine, come dice un miliziano, di ''sembrare uno di voi''.

In Congo, chiunque abbia il denaro, le armi e le informazioni necessarie per controllare un settore economico e corrompere altri esponenti della politica e dell'imprenditoria, può spadronaggiare localmente e terrorizzare la popolazione, costringendola a fughe spesso mortali: si mostra in tutta la sua crudezza, grazie alle spietate riprese di McCabe, il paradosso Laboétiano della storia con le sue metafore di servitù che, così, sembra spingersi fino all'estremo della sua volontarietà.

Quando si parla, sovente a sproposito, delle conseguenze dei flussi migratori a livello locale, si dovrebbe tener conto delle strategie imperialiste di sfruttamento coloniale dei Paesi occidentali, europei compresi, che, anziché contenere gli interventi militari, le esportazioni di armi ed i traffici illegali di materie prime insanguinate, dovrebbero incisivamente modificare le loro politiche estere frenando le disperate e sanguinose fughe delle povere popolazioni locali attraverso l'interruzione del commercio illegale di armi, lo sfruttamento selvaggio di tutte le risorse naturali da parte delle imprese multinazionali ed il degrado ambientale e socio-culturale.

Ma, soprattutto, dovrebbero smettere di fare accordi con regimi autoritari e corrotti, considerati ''alleati strategici'' e ''amici diplomatici'', e di fomentare le guerre civili e fra Stati che ingeriscono nella politica di quelli confinanti: nel caso specifico della Repubblica Democratica del Congo, il regista Daniel McCabe denuncia apertamente, attraverso alcune incontrovertibili testimonianze, l'esportazione di materie prime strategiche verso il Rwanda, l'Uganda ed il Kenya, ed il coinvolgimento di questi ed altri Stati, in primis africani, nelle sommosse delle milizie ribelli i cui membri, mostrati nella loro vita quotidiana, paiono totalmente votati ai sanguinosi combattimenti, ormai alienati dalla guerra.

Alla conclusione del documentario, con la morte dell' acclamato leader Mamadou, tradito dai suoi stessi commilitoni pagati dai mandanti ruandesi, e, accanto, la vita che continua con il matrimonio della figlia di Mama Romance ed il ritorno del sarto al suo villaggio, si comprende come sia necessario ma estremamente difficile, tanto per i nostri governi quanto per ognuno di noi, farsi carico degli effetti devastanti prodotti da secoli di politiche guerrafondaie e predatorie.


Note:

[1] ''This is Congo'', un docu-film di Daniel McCabe (Repubblica Democratica del Congo- Stati Uniti d'America, 2017), 93 minuti. Con: colonnello Kasongo, colonello Mamadou Ndala, Bibianne ''Mama Romance'', Hakiza Nyantaba. Fotografia di Daniel McCabe, montaggio di Alyse Ardell Spiegel, musiche di Johnny Klimek e Gabriel Mounsey. Prodotto da Vision Entertainment, S2BN Films, Sabotage Films Vienna. Presentato fuori concorso alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia (2017), con versione in inglese e francese sottotitolata in italiano.

10/02/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Reuters (Corruption in Congo)

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L'Autore

Eliana Catte

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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