Peppino compagno e rivoluzionario

Un ricordo del rivoluzionario Peppino Impastato barbaramente assassinato dalla mafia, complice l’apparato di potere borghese-democristiano, in contrapposizione ad una certa immagine iconica prevalente.


Peppino compagno e rivoluzionario Credits: agi.it

Il 9 maggio del 1978 Giuseppe “Peppino” Impastato vedeva concludere la propria esistenza ad opera di un barbaro assassinio perpetrato con la brutalità caratteristica di una mafia arcaica, ma allo stesso tempo già perfettamente integrata in un sistema di potere economico, sociale e politico caratterizzato dall’alleanza tra la borghesia mafiosa e parassitaria localmente dominante e settori del grande capitale nazionale e internazionale di cui è subalterna.

Peppino nasce proprio in una famiglia appartenente a questa borghesia mafiosa, nella sua variante che potremmo definire “rurale”, ma le virgolette sono necessarie, in uno dei territori di suo maggior radicamento, quello di Cinisi, che è un territorio di cerniera tra la mafia dei giardini tipica del litorale tirrenico attorno a Palermo e quella del latifondo che caratterizza invece l’immediato entroterra. Un suo zio paterno, Cesare Manzella, con il quale durante l’infanzia Peppino ebbe un rapporto affettivo molto intenso, era al vertice della mafia locale ed era l’espressione di quella mafia agraria che stava subendo un profondo processo di trasformazione determinato dalla fase economica espansiva degli anni ’50 e ’60, durante la quale il boom economico dal Nord Italia riverberò nei territori marginali del Mezzogiorno e della Sicilia, grazie soprattutto alle rimesse dei milioni di contadini e braccianti siciliani emigrati al Nord per andare ad allargare la base operaia al servizio della crescente industria del grande capitale settentrionale.

All’età di 15 anni, anche a seguito dell’evento, per lui traumatico, che fu l’assassinio dello zio tramite quello che risulta essere il primo attentato con autobomba della storia della mafia siciliana, Peppino entra in una fase di maturazione intellettuale autonoma e di progressiva presa di coscienza che segneranno l’inizio di un percorso politico che si concluderà, purtroppo prematuramente, soltanto con il suo barbaro assassinio.

La vicenda di Peppino Impastato per molti anni è rimasta conosciuta soltanto ad un livello locale, al massimo regionale, e soltanto a partire dal 2000, il film I cento passi di Marco Tullio Giordana diede alla sua figura notorietà nazionale e internazionale. La causa di questo iniziale oblio della vicenda di Peppino non è da attribuirsi tanto alla casuale (o quasi) coincidenza temporale della sua morte con il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, eventi che si verificarono entrambi quella mattina del 9 maggio 1978 a distanza di poche ore, quanto piuttosto alla sistematica e costante opera di depistaggio e di manipolazione delle circostanze della sua morte. Tale strategia si sviluppò non soltanto sul piano giudiziario, a partire dalla locale stazione dei carabinieri di Cinisi che pervicacemente volle seguire una serie di piste investigative quali l’attentato terroristico suicida, il movente passionale e poi quello del suicidio, ma fu fortemente corroborata dalla stampa e dalla politica locale, con l’unica eccezione, per la verità, del quotidiano L’Oradi Palermo, all’epoca di proprietà del PCI, che però rappresentava una voce minoritaria.

Tutte queste piste giudiziarie vennero fortemente contrastate per oltre due decenni grazie all’azione tenace del piccolo ma determinato gruppo dei compagni di lotta di Peppino e di alcuni movimenti e organizzazioni della sinistra antagonista siciliana di allora, tra le quali va ricordato soprattutto il ruolo del Centro Siciliano di Documentazione (CSD) fondato da Umberto Santino e poi intitolato allo stesso Peppino Impastato. Ma non si può ovviamente dimenticare il ruolo coraggioso e battagliero svolto dalla madre di Peppino, Felicia. Alla fine questi sforzi di resistenza, nel mutato contesto politico e mafioso della fine degli anni ’90, ebbero successo almeno nell’affermare la verità sulla morte di Peppino, voluta dal sistema di potere mafioso locale, all’epoca impersonato dal boss Gaetano Badalamenti.

Ma qui non vogliamo ripercorrere la vicenda giudiziaria dell’omicidio (politico) di Peppino, quanto piuttosto ricordarne la memoria mettendo in evidenza il suo percorso politico di autentico comunista e rivoluzionario, anche per contrapporre questa verità di fondo alla trasformazione iconica della sua figura ad opera del sistema mediatico e culturale dominante, come purtroppo avviene abbastanza abitualmente in questi casi. Un’icona che serve di fatto a svuotare i contenuti di vita politica realmente vissuta, nei suoi travagli e nelle sue contraddizioni, per creare al suo posto una leggenda utile solo ad una sterile celebrazione rituale ma del tutto innocua poi sul piano della formazione delle coscienze, soprattutto per le nuove generazioni.

Come si ricordava quindi più sopra, all’età di 15 anni Peppino iniziò il suo percorso di maturazione politica e la molla scatenante fu la presa di coscienza di un sistema di dominio, oppressione e sfruttamento che caratterizzava, e continua, sia pur in forme diverse, a caratterizzare, la società siciliana. Una presa di coscienza che si trasforma in un rifiuto, che il giovane Peppino da subito decide consapevolmente di non sublimare in ribellione individuale nè in desiderio di fuga, ma di far confluire invece nelle lotte e nei fermenti politici che già esistevano in quella società. Da qui l’avvicinamento prima al PSIUP poi alla sezione del PCI di Cinisi, all’epoca diretta da un intellettuale di una certa personalità quale il pittore Stefano Venuti, e al movimento di Danilo Dolci, attivo in quegli anni in quel territorio per organizzare le lotte dei contadini e dei braccianti siciliani contro il latifondo, partecipando alla famosa Marcia della protesta e della pace nel 1967.

In questi anni Peppino si forma politicamente e intellettualmente comprendendo bene la necessità sia della formazione intellettuale personale sia quella dell’organizzazione e della mobilitazione collettiva. Dà vita all’esperienza dell’Idea Socialista, un piccolo giornale studentesco che viene soppresso dopo pochi anni ma che testimonia di una consapevolezza intellettuale e rivoluzionaria del giovanissimo Peppino. Siamo, non dimentichiamolo, nella provincia siciliana dell’Italia dei primi anni ’60, ancora non è iniziato il movimento del ’68 e tutto il fermento di lotte operaie e studentesche che dominarono la politica italiana nel decennio successivo. Ma già in Peppino è maturata la consapevolezza dell’unità di teoria e prassi e della necessità di azione collettiva e non individuale. Fu protagonista delle lotte dei contadini dell’area di Terrasini e Cinisi contro gli espropri dei loro terreni per la costruzione della seconda pista dell’aeroporto di Punta Raisi, un’operazione di grande speculazione affaristico-mafiosa che mostrava chiaramente il carattere di conflitto di classe tra gli interessi della classe borghese mafiosa e quelli del proletariato contadino.

Nonostante la forte personalità Peppino dimostrava già in quegli anni un quasi fastidio per la leadership individuale che la sua stessa personalità ed energia rivoluzionaria imponeva sugli altri, e questa forse è stata una delle ragioni dei suoi tormenti interiori che lo accompagnarono fino alla fine, insieme al senso di isolamento provocato dalla necessaria e inevitabile rottura con l’ambiente familiare, in particolare con la figura paterna. C’era forse in lui un rifiuto istintivo della figura dell’eroe solitario che poi gli è stata attribuita dopo la morte.

Negli anni del ’68 e successivi Peppino fu partecipe di molte delle lotte e dei fermenti dell’epoca, sia nella sua dimensione di studente universitario a Palermo, in un contesto più metropolitano ma pur sempre provinciale rispetto al resto d’Italia, sia continuando il suo impegno a livello locale a Cinisi. Anche questo dimostra una visione autenticamente rivoluzionaria, con la consapevolezza della necessità di sviluppare e partecipare alla lotta politica a diversi livelli, dal locale al nazionale fino all’internazionale.

Peppino continuò parallelamente la sua formazione intellettuale, si interessava a tutte le vicende che caratterizzarono la sua generazione, a partire dal Vietnam, e maturò proprio in quegli anni la sua definitiva adesione ad una visione marxista della società. Sappiamo che i testi di Marx, Lenin, Che Guevara e altri autori marxisti furono parte fondamentale delle sue letture. Non era particolarmente orientato all’approfondimento teorico né alla speculazione filosofica, ma la sua profondità intellettuale e critica traspare da diversi suoi testi e testimonianze. Gli piaceva scrivere poesie ma non fu un poeta o un letterato. Peppino rimaneva fondamentalmente un uomo d’azione, il fuoco che gli ardeva dentro così come il forte tormento interiore della sua particolare condizione familiare lo spingevano entrambi all’azione. E non senza uno spiccato spirito critico che lo portò a consumare diverse rotture: innanzitutto, nei primi anni del movimento giovanile, con il PCI e con il suo mentore di gioventù, Stefano Venuti, per aderire alle ragioni del gruppo de Il Manifesto. Poi negli anni successivi entrò in crisi anche con il Manifesto e si orientò verso Lotta Continua, grazie anche all’incontro con il sociologo Mauro Rostagno che era andato a vivere in Sicilia e fu un rapporto inizialmente proficuo e intenso. Anche questo rapporto entrò in crisi nei suoi ultimi anni e soprattutto con l’emergere del movimento del ’77.

Peppino stava attraversando in quella fase gli anni forse più difficili della sua vicenda politica e personale. La morte del padre, pur dopo aver ormai definitivamente consumato il conflitto con la figura paterna già da un decennio, fu comunque un duro colpo, anche perché le circostanze di quella morte accidentale non furono mai del tutto chiarite e la scomparsa di quella figura eliminava l’ultimo possibile baluardo di copertura e lo esponeva direttamente alla ritorsione mafiosa, proprio negli anni in cui il suo attacco al gruppo di potere politico-mafioso di Cinisi fu il più intenso ed efficace. Dopo l’esperienza del circolo “Musica e Cultura”, si era creato un movimento di giovani molto attivo e determinato politicamente, sebbene rappresentasse pur sempre una minoranza. Ma era una minoranza combattiva e pungente che diede vita poi all’esperienza di Radio Aut che, grazie soprattutto all’arma della satira politica, molto tagliente e caustica, diede molto fastidio ai notabili e mafiosi locali. Molti ritengono che nella denominazione “Aut” ci sia stato un ascendente che Peppino aveva in quegli anni nei confronti dell’Autonomia Operaia. Di certo un suo giudizio piuttosto caustico sul movimento degli indiani metropolitani, Peppino percepiva, in anticipo sui tempi, che tutto stava per piombare nel “reflusso” degli anni ’80, esprimendosi con queste parole proprio nel fatidico 1977:

“La gente peggiore l’ho conosciuta proprio tra i ‘personalisti’ (cultori del personale) e i cosiddetti ‘creativi’ (ri-‘creativi’): un concentrato di individualismo da porcile e di ‘raffinata’ ipocrisia filistea: a loro preferisco criminali incalliti, ladri, stupratori, assassini e la ‘canaglia’ in genere.”

Nonostante alcuni testi autobiografici degli ultimi mesi della sua vita siano stati strumentalizzati dalla stampa e dalla politica del tempo per avallare la tesi del suicidio, in realtà la storia di Peppino dimostra al contrario che questo senso di profonda delusione e il pessimismo che aveva maturato negli ultimi anni non gli impedirono di continuare ad impegnarsi nelle lotte e nell’azione politica, dall’organizzazione degli operai edili del suo territorio fino alla decisione di candidarsi nelle liste di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali nella sua Cinisi del 1978, alle quali non riuscì ad arrivare vivo, pur risultando ugualmente eletto dopo la sua morte.

Il compagno Peppino, come mi permetto di chiamarlo affettuosamente, rendendomi orgoglioso della mia origine siciliana (i compagni e lettori perdoneranno questo piccolo sconfinamento sul piano personale), non fu scevro da contraddizioni, né in lui possiamo individuare un marxista “ortodosso”, ammesso che quest’ultimo aggettivo possa mai assumere un significato oggettivo. Ma la sua storia vissuta, prima ancora che i suoi scritti e le sue testimonianze, traccia il profilo di un autentico spirito rivoluzionario del suo tempo e di un comunista che, in quanto tale, sapeva che il suo primo impegno era quello di lottare, nelle condizioni reali date, per cambiare lo stato delle cose esistenti. E indubbiamente fu fedele e coerente fino in fondo con questo impegno.

Un saluto a pugno chiuso al Compagno Peppino!

Per approfondimenti:

Centro Siciliano di Documentazione “Peppino Impastato”
Per conoscere Peppino - Centro Impastato
Biografia su Peppino Impastato - Una vita contro la mafia

17/05/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Zosimo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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