A parere di Karl Marx, nella società capitalista, per poter accedere all’empireo della comunità statuale, l’uomo è costretto a spogliarsi della sua socialità, vissuta ancora quale destino estraneo nel medioevo in cui l’individuo era costretto dalla nascita a vivere in un ceto determinato. La rivoluzione borghese libera l’uomo dalla sua determinazione immediatamente politica, propria dell’eticità ancora immediata del mondo feudale, ma non ne riconosce l’essenza sociale [1] che estrania nell’iperuranio politico [2], il quale si definisce proprio in contrapposizione alla deiezione d’una società abbandonata al dominio degli spiriti animali del capitale [3]. Perciò, “la soppressione del giogo politico fu al tempo stesso la soppressione dei legami che tenevano vincolato lo spirito egoista della società civile. L’emancipazione politica fu al tempo stesso l’emancipazione della società civile dalla politica, dalla parvenza stessa di un contenuto universale” [4].
Perciò lo stesso diritto umano, almeno nella società borghese – dal momento che c’è chi ritiene, come George G. Brenkert, che anche nel socialismo sia possibile una nuova forma di diritto dell’uomo – è il diritto della società civile contrapposta allo Stato e che lo domina. Dunque, come è stato a ragione osservato, “in realtà, i diritti del borghese sono tanto poco i diritti dell’uomo che sono, piuttosto, quelli delle cose che egli consacra presentando i suoi diritti come diritti umani: essi non affermano “la sovranità dell’uomo”, ma “la sovranità della proprietà” (Lettera di Marx a Ruge del 1843) [5]. Perciò, “la società civile può emanciparsi attraverso i diritti umani – in quanto sono pure consacrazioni ideali-formali della proprietà – solo nella misura in cui detiene realmente la proprietà, cioè è socialmente soddisfatta: ora, la parte soddisfatta della società civile borghese, quella che ha potenza in essa e gli dà il proprio nome, è la borghesia. I diritti dell’uomo sono i diritti del borghese” [6]. L’individuo, per natura indipendente e portatore di diritti, non è che un’invenzione priva di fantasia della borghesia rivoluzionaria mirante a eternizzare il prodotto della dissoluzione del mondo feudale, in cui il singolo era parte accessoria di un agglomerato umano, determinato e circoscritto. Come è stato a ragione fatto notare: “si ha così la inopinata conclusione che la relazione sociale che traspare dalla concezione giusnaturalistica dell’uomo per natura libero e indipendente si identifica proprio con la reale condizione moderata dell’uomo: la condizione delineata dalla emancipazione di tutti gli uomini da vincoli di diretta dipendenza sociale (dalla schiavitù e servitù personale)” [7]. Del resto, dal punto di vista di Marx, come osserva Umberto Cerroni, se “nella comunità greca la società civile era schiava della società politica, nel mondo feudale la società civile fissa immediatamente le sue forme come forme politiche ed etiche e dunque rinchiude le sue articolazioni in vincoli esteriori (giuridici e religiosi); differenzia politicamente e anche sul piano dei valori le varie sfere che la costituiscono” [8]. Tanto più che, come ha messo in evidenza a ragione Roberto Finelli, “per la sua caratteristica di un’immediatezza e una spontaneità che rimane esterna alla riflessione critica, ciò che è “natura seconda” vale a definire la diversità delle due realtà storico-sociali che più di altre connotano (già) per Hegel, rispettivamente, il mondo antico e il mondo moderno:
1) quella di una comunità armonica, ma ingenua e primitiva, come quella caratteristica della Grecia classica, in cui non c’è alcuna distanza ed esteriorità tra individuo e collettività, perché il singolo non ha ancora alcuna coscienza di sé come ambito di vita differenziato da quello della comunità;
2) quella di una comunità, come quella moderna, in cui, conquistato il valore irriducibile dell’individualità nella sua differenza dalla comunità, il nesso sociale, per tale autonomia dell’individuo dall’ethos collettivo, non può che collocarsi all’esterno del singolo, assumendo di necessità la configurazione d’istituzioni astratte e impersonali” [9].
Dall’analisi critica della società borghese e dello Stato politico, Marx arriva alla conclusione che l’emancipazione politica non realizza di per sé l’emancipazione religiosa, ne è un frutto di quest’ultima. Dunque, l’alienazione dello Stato politico non si spiega sulla base dell’alienazione religiosa, ma è la prima che permette di far comprendere la seconda. La critica giovane-hegeliana non arriva a colpire il fondamento reale, la struttura sociale cui la religione si incardina. Ad esempio, Bruno Bauer ritiene che lo Stato per emancipare l’ebreo dovrebbe togliere il suo carattere religioso, ma questo non comporta affatto per Marx l’emancipazione dello Stato reale – che comprende anche la sua differenza, la società civile – dalla religione. Tanto l’emancipazione religiosa, quanto quella politica, non vanno poi, come mette in guardia Marx, confuse con l’emancipazione umana. Del resto, come denuncia Marx, “Bauer sottopone a critica solo lo ‘Stato cristiano’, non lo ‘Stato in quanto tale’; non indaga il rapporto fra l’emancipazione politica e l’emancipazione umana e pone perciò condizioni che sono spiegabili soltanto a partire da una acritica confusione fra l’emancipazione politica e quella universalmente umana” [10]. In altri termini, come mostra Marx, la critica di Bauer si limita allo Stato cristiano, non alla forma Stato in generale, non indaga, dunque, la relazione fra emancipazione politica ed emancipazione umana. “Ben lontana dall’avere criticato l’essenza dell’emancipazione politica e dall’avere studiato a fondo il suo rapporto determinato con l’essenza umana, la critica sarebbe arrivata solo al fatto dell’emancipazione politica, allo Stato moderno sviluppato, e quindi solo al punto in cui l’esistenza dello Stato corrisponde alla sua essenza” [11]. In altri termini Bauer non è in grado di elevare la sua critica all’essenza dell’emancipazione politica, ma si limita a sancirne il fatto, la conseguita corrispondenza fra esistenza e concetto dello Stato.
Ma proprio da tale fatto Marx considera necessario mettere al centro della critica “non solo i difetti relativi, ma anche i difetti assoluti, quelli che costituiscono la sua stessa essenza” [12]. Al contrario con Bauer, “per quanto criticamente, ci muoviamo ancor sempre nel campo della teologia” [13]. In effetti, come nota argutamente Marx, “nel senso di Bauer, la questione ebraica (…) è la questione del rapporto tra religione e Stato, della contraddizione tra il pregiudizio religioso è l’emancipazione politica, l’emancipazione dalla religione viene posta come condizione sia all’ebreo (…) che allo Stato” [14]. In altri termini, “Bauer pretende quindi da una parte che l’ebreo rinunci all’ebraismo, e in generale che l’uomo rinunci alla religione, per poter essere emancipato come cittadino. Dall’altra identifica in tutto e per tutto la soppressione politica della religione con la soppressione pura e semplice della religione (…). A questo punto appare chiaramente il carattere unilaterale del modo di porre la questione ebraica” [15].
Tanto più che, secondo Marx, già con Ludwig Feuerbach “per la Germania, la critica della religione nell’essenziale è compiuta, e la critica della religione è il presupposto di ogni critica” [16]. Perciò, “quando Bauer domanda agli Ebrei: – Avete diritto dal vostro punto di vista di aspirare all’emancipazione politica? – noi domandiamo viceversa: – Il diritto dell’emancipazione politica ha il diritto di pretendere dagli ebrei la rinunzia all’ebraismo e dagli uomini in genere la rinuncia alla religione?” [17].
Secondo Marx, l’emancipazione politica è, dunque, incapace di assurgere all’universalità concreta dell’emancipazione umana, di cui, tuttavia, mediante il proprio limite pone l’esigenza. L’emancipazione politica è “gravata da un limite interno, strutturale, che le impedisce di rispondere alla questione cui essa conduce (con il suo stesso fallimento), quella dell’avvento dell’universalità concreta” [18]. Solo mediante la critica dei limiti dell’emancipazione politica si sarebbe risolta anche la questione dell’emancipazione dalla religione, in quanto sono entrambe risultato dell’alienazione dell’essenza umana [19]. Solo così si sarebbe potuto criticare non solo lo Stato cristiano-feudale (prussiano), ma lo Stato in generale, che a questo livello dell’analisi marxiana corrisponde essenzialmente allo stato liberale.
Note:
[1] Come nota il giovane Marx: “il carattere sociale è il carattere universale di tutto il movimento: come la società stessa produce l’uomo in quanto uomo, così l’uomo produce la società.” Marx, Karl, Manoscritti economico filosofici del 1844 a cura di Bobbio, Norberto, Giulio Einaudi editore, Torino 1968, p. 113.
[2] Al contrario, come osserva il giovane Marx, “l’occhio è diventato occhio umano non appena il suo oggetto è diventato un oggetto sociale, umano, che procede dall’uomo per l’uomo.” Ivi, p. 117.
[3] Perciò, lo stesso “Hegel – nota Marx – concepisce gli affari e le attività statali astrattamente per sé e come loro contrario l’individualità particolare. Ma egli dimentica che l’individualità particolare è umana e che gli affari e le attività statali sono funzioni umane; egli dimentica che l’essenza della «personalità particolare» non è la sua barba, il suo sangue, il suo fisico astratto, ma bensì la sua qualità sociale, e che gli affari statali etc. non sono nient’altro che modi di esistenza e attività delle qualità sociali degli uomini. S’intende dunque che gli individui, in quanto rappresentanti degli affari e poteri statali, sono riguardati secondo la loro qualità sociale e non secondo quella privata.” Id., Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, in Marx-Engels, Le opere, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 9.
[4] Bauer, Bruno, Marx, K., La questione ebraica, tr. it. di Tomba, Massimiliano, Manifestolibri, Roma 2004, p. 198.
[5] Bourgeois, Bernard, Philosophie et droits de l'homme: de Kant à Marx, éditions PUF, Parigi 1990, p. 109.
[6] Ivi, p. 110.
[7] Cerroni, Umberto, Marx e il diritto moderno, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 247.
[8] Ivi, p. 233.
[9] Finelli, Roberto, Tra moderno e postmoderno. Saggi di filosofia sociale e di etica del riconoscimento, Pensa Multimedia, Lecce 2005, p. 96.
[10] Bauer, B:, Marx, K., La questione…, op. cit., p. 179.
[11] Marx, K., Engels, Friedrich, La sacra famiglia [1845], traduzione italiana di A. Zanardo, Editori riuniti, Roma 1967, p. 150.
[12] Ibidem.
[13] Bauer, B:, Marx, K., La questione…, op. cit., p. 198.
[14] Ivi, p. 177.
[15] Ivi, pp. 178-79.
[16] Marx, K., Engels, F., Gesamtausgabe (Mega), Band 2, Dietz Verlag, Berlin 1982, p. 170; id., Opere complete, Editori Riuniti, Roma, vol. 3, p. 190.
[17] Bauer, B:, Marx, K., La questione…, op. cit., p. 179.
[18] Kouvélakis, Eustache, Marx e la “Questione ebraica”, tr. it. di Augeri, N., in «Marxismo Oggi» 1, Milano 2005, pp. 45-78, p. 74.
[19] Il concetto di alienazione di Marx si verrà chiarendo in contrapposizione a quello idealista di Hegel: “come essenza posta e quindi da sopprimere dell’estraniazione vale [per Hegel] non già che l’essere umano si oggettivizzi in modo disumano, in opposizione a se stesso, ma il fatto che si oggettivizza differenziandosi e opponendosi al pensiero astratto.” Marx, K., Manoscritti…, op. cit., p. 165.