Marx e i limiti dei diritti umani nella società capitalista

Dal punto di vista di Marx all’interno della società borghese non sarà mai possibile una compiuta realizzazione dei diritti sociali ed economici dell’uomo


Marx e i limiti dei diritti umani nella società capitalista Credits: https://www.ticinonotizie.it/pensieri-talebani-marx-lidealista-di-beatrice-mantovani/

Segue da “Marx e i diritti umani secondo la borghesia

Dal punto di vista di Marx, se non si è in grado di rivoluzionare la struttura socio-economica, le pur necessarie lotte all’interno del sistema borghese non potranno che realizzare la tendenziale piena emancipazione sul piano politico astratto e una qualche forma di giustizia redistributiva. Per altro anche questi obiettivi sono effettivamente conseguibili, all’interno del modo di produzione capitalistico, solo nella migliore delle ipotesi, ovvero in presenza di una significativa lotta di classe, che metta in discussione il potere costituito, e di una congiuntura economica favorevole. Dunque una parziale restituzione dei profitti dei capitalisti, prodotti dallo sfruttamento della forza lavoro dei salariati, è quanto è possibile ottenere, dal punto di vista dei concreti diritti economici e sociali se non si è in grado di mettere radicalmente in discussione il modo capitalistico di produzione. In tal modo, d’altra parte, si incide unicamente sul piano superficiale della circolazione, senza realmente estendere il pieno godimento dei diritti umani (libertà, eguaglianza, fraternità) sul piano essenziale della produzione, dove i padroni continueranno a disporre, in modo sostanzialmente dispotico, della forza lavoro che hanno acquisito.

Del resto, nella struttura stessa dei diritti umani, dalla prima Dichiarazione ai tempi della prima fase della Rivoluzione francese fino a tutte le successive rielaborazioni in ambito borghese, resta il nodo fondamentale del diritto di proprietà privata che, garantendo il possesso monopolistico dei mezzi di produzione e sussistenza, dà copertura giuridica a tutte le distorsioni sociali, alle crescenti polarizzazioni sociali del sistema capitalistico. In tal modo, la compiuta realizzazione degli stessi diritti di cittadinanza rimarrà un mero dover essere, una pura aspirazione necessariamente destinata a non essere appagata in un sistema di dominio che, come di consueto, si basa sul divide et impera, contrapponendo cittadini e stranieri, maschi e femmine, giovani e vecchi. Tanto più che libertà ed eguaglianza, finché resteranno confinate – come avviene nella società borghese – nella sfera politico-giuridica, sul piano della circolazione, finché saranno definite sulla base antropologica del liberalismo che contrappone l’individuo alla comunità, non possono che rovesciarsi nel loro contrario. Ciò appare evidente dal riprodursi su scala allargata dei privilegi e di rapporti di dominio sul piano sociale nella sfera della produzione. Così se la rivoluzione politica democratica può togliere – mediante la conquista del suffragio universale, dello stato di diritto, della separazione fra chiesa e stato – alla proprietà privata, al privilegio, alla religione la loro esistenza politica, “a questa proclamazione della loro morte politica, corrisponde la loro vita più potente, che ora obbedisce senza ostacoli alle sue proprie leggi e dispiega tutta l’ampiezza della loro esistenza” [1].

Del resto la forma pura di eguaglianza di diritto, dal punto di vista della concezione borghese dei diritti umani, resta – in ultima istanza – funzionale a occultare i privilegi dell’uomo privato della società civile e a spazzare via l’eticità dominante nelle società pre-borghesi e la stessa morale astratta su cui dovrebbe reggersi ideologicamente tali diritti. La loro astrattezza li rende nei fatti estranei alla gran parte degli uomini che non ne godono i benefici dal punto di vista sociale ed economico. Anche la progressiva possibilità di soddisfare i bisogni elementari in chiave sociale ed economica è stato il prodotto diretto di durissimi conflitti sociali o il prodotto indiretto della necessità di attenuarli, affinché non si sviluppassero fino a mettere in discussione il fondamento dei privilegi della classe dominante. Anche la conquista di queste migliori condizioni dal punto di vista sociale ed economico dei subalterni, dai grandi esclusi della società borghese, non potrà che essere realizzata mettendo in discussione il caposaldo del diritto dell’uomo borghese, ossia il diritto di proprietà. Ma anche questa dura lotta capace di mettere in questione il sacro principio della proprietà privata, caposaldo della concezione dei diritti imprescrittibili dell’uomo nella loro classica formulazione borghese, in nome della rivendicazione dei diritti sociali ed economici propri della sola tradizione marxista, consente tutt’al più un miglioramento delle condizioni di vita degli sfruttati dal solo punto di vista quantitativo. Tali conquiste, per quanto importanti, all’interno della società capitalista non si tradurranno mai in un superamento qualitativo della schiavitù e della alienazione del lavoro salariato, in quanto non potranno che cozzare con il dogma indiscutibile alla base delle società borghesi, ovvero il dogma del diritto alla proprietà privata dei mezzi di produzione e riproduzione della forza lavoro. In tal modo anche le più significative lotte per l’emancipazione dei subalterni e degli sfruttati che costituiscono nelle società capitaliste la grande maggioranza della popolazione, sino a che non si sviluppano in senso rivoluzionario, non potranno mettere in questione i rapporti di proprietà e di classe.

Perciò nelle società capitaliste le lotte per gli obiettivi parziali, in nome dei diritti sociali ed economici dell’uomo, anche nel caso di successo, saranno riconosciuti non come dei veri e propri diritti, in quanto tali intangibili, ma come una sorta di crediti sociali verso la parte più debole della società di cui dovrà farsi carico la collettività politica, mediante la fiscalità generale, e non quei settori della società civile che, arricchendosi sulla base dello sfruttamento della forza lavoro dei proletari, sono la causa strutturale del loro sostanziale mancato riconoscimento. La parziale realizzazione dei diritti sociali ed economici a danno dei rapporti di proprietà esistenti resta episodica, contingente, estendibile solo in uno stato d’eccezione, ovvero in una situazione prerivoluzionaria di dualismo di potere, ma non sarà mai realmente garantita sul piano giuridico. In altri termini nella concezione dominante borghese del diritto l’eguaglianza non è in grado di superare la sua contrapposizione, propria della tradizione liberale, a una libertà pensata come arbitrio individuale. Perciò il momentaneo affermarsi del diritto all’eguaglianza, sull’astratto ed egoista diritto alla libertà e al libero godimento della proprietà privata dell’uomo borghese, può significare unicamente un momentaneo surplus di eguaglianza sul piano della distribuzione, al fine di lasciare rigorosamente intatta la fonte della diseguaglianza sul piano della produzione. Per altro tali parziali e momentanee conquiste dal punto di vista marxista dei diritti sociali ed economici sono realizzabili nella società borghese solo con un intervento dello Stato – nella sua apparente determinazione neutrale politica, che occulta la partigianeria dal punto di vista sociale – grazie a una considerevole pressione dal basso a opera del conflitto sociale.

Tale intervento dello Stato nel suo aspetto fenomenico politico sulle diseguaglianze della società civile, sottintende un diritto all’intervento del pubblico-politico nei confronti del privato-socio-economico, ovvero implica una lesione del primato sancito dalla Dichiarazione borghese dei droits de l’homme su quelli del citoyen e più radicalmente ancora un superamento, per quanto contingente, del dualismo fra Stato politico e società civile su cui tale impianto giuridico si fonda. In ogni caso tale intervento oltre a essere parziale e momentaneo, proprio perché contrario al vigente ordinamento giuridico, non può che essere l’eccezione e non certo la regola. Non si dimentichi, infatti, che nella società borghese ogni lesione del diritto alla proprietà privata – per quanto essa possa essere polarizzata e d’ostacolo allo sviluppo sociale, alla realizzazione dei diritti di cittadinanza – può avvenire solo in uno Stato d’eccezione, in una fase di dualismo di potere, che lo renda un sacrificio indispensabile agli occhi della classe dominante, per meglio tutelare i propri privilegi economici e sociali e non veder ulteriormente posta in discussione la sua funzione dirigente e la propria capacità di egemonia sulla società civile. Quindi il luogo momentaneamente perequativo dello Stato sedicente pubblico, funzione ovviamente dei rapporti di forza fra le classi sociali in lotta fra loro, nella società capitalista non può che essere finalizzato a salvaguardare gli interessi privati, al mantenimento dei loro privilegi sociali fondati sui vigenti rapporti di produzione.

Del resto, senza eliminare i presupposti che rendono necessaria la schiavitù del lavoro salariato una vera giustizia distributiva non è realizzabile, dal momento che una effettiva redistribuzione sulla base di un criterio di giustizia implicherebbe la socializzazione dei grandi mezzi di produzione. In caso contrario, ogni ridistribuzione resta parziale e momentanea, perché il monopolio dei mezzi di produzione non potrà che riprodurre su scala allargata la polarizzazione sociale fra sfruttati e sfruttatori.

Tanto più che solo con la socializzazione dei grandi mezzi di produzione e la trasformazione dello Stato da strumento del dominio degli sfruttatori a mezzo del dominio dei lavoratori i diritti umani non saranno più prerogativa dell’uomo egoista, del proprietario della società civile borghese, ma dei produttori associati postisi alla direzione di una società socialista. Saranno questi ultimi, infatti, nella società socialista a essere liberi, sostanzialmente eguali nei diritti e nelle possibilità, legati da un sentimento di fraternità e sicuri nel godimento della propria proprietà privata frutto del proprio lavoro in funzione dell’utilità sociale. Solo allora sarà possibile togliere progressivamente la potenziale contraddizione, tipica della società borghese, fra diritti dell’uomo egoista della società civile e del cittadino, il primo volto al conseguimento del proprio utile individualista, il secondo proteso, in quanto tale, all’utile collettivo. Solo nella società socialista si potrà realmente superare la potenziale contrapposizione, propria della società borghese, fra Stato politico e società civile economica. Infine, solo con l’affermazione a livello internazionale del modo di produzione socialista sarà possibile non solo la realizzazione dei diritti dell’uomo sul piano formale e astratto dei diritti politici e civili, come avviene solo momentaneamente quando l’equilibrio fra le forze sociali in lotta consente la compiuta realizzazione della “democrazia” borghese, ma sarà possibile assicurare a chiunque non si rifiuti di lavorare l’effettivo godimento di quei diritti economici e sociali che soli rendono effettivo il godimento dei diritti umani.


Note

[1] K. Marx e F. Engels, La sacra famiglia [1845], traduzione italiana di A. Zanardo, Editori riuniti, Roma 1967, p. 153.

21/12/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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