Lenin vs la frase rivoluzionaria

A cosa conducono i cultori della “frase rivoluzionaria”? Anzitutto a ritenere un tradimento dell’interesse della rivoluziona mondiale lo stabilire qualsiasi accordo con l’imperialismo, anche se indispensabile ad allentare la morsa che gli imperialisti stringono intorno a un paese che, isolato, tenta l’inedito compito storico della transizione al socialismo.


Lenin vs la frase rivoluzionaria

La lotta contro gli opportunisti di destra antiautoritari deve andare, secondo Vladimir I.U. Lenin, di pari passo con la lotta all’opportunismo di sinistra dei cultori della “frase rivoluzionaria”. Vediamo la definizione che Lenin dà di quest’ultima: “parole d’ordine magnifiche, attraenti, inebrianti, che non hanno nessun fondamento sotto di sé: ecco l’essenza della frase vuota rivoluzionaria” [1]. Al di là della sua forma inebriante, qual è il contenuto reale della frase rivoluzionaria? “Sentimenti, desideri, collera, indignazione: ecco l’unico contenuto di questa parola d’ordine nel momento attuale. E una parola d’ordine che ha soltanto questo contenuto si chiama appunto frase rivoluzionaria” [2]. A cosa conduce i suoi cultori? Anzitutto a ritenere un tradimento dell’interesse della rivoluziona mondiale lo stabilire qualsiasi accordo con l’imperialismo, anche se indispensabile ad allentare la morsa che gli imperialisti stringono intorno a un paese che, isolato, tenta l’inedito compito storico della transizione al socialismo. Come osserva Lenin: “la repubblica socialista, attorniata dalle potenze imperialistiche, non potrebbe, se ci si mette dal punto di vista di siffatte idee, concludere nessun trattato economico, non potrebbe esistere senza prendere il volo verso la luna” [3]. Per cui per Lenin è “cosa infinitamente ridicola” rifiutare a priori ogni compromesso con possibili alleati per quanto essi possano essere infidi, o non sfruttare le contraddizioni – per quanto temporanee – che si aprono nel campo avverso.

Allo stesso modo, di fronte al disfattismo di chi non vedeva nel riconoscimento d’una momentanea sconfitta e, dunque, nella necessaria ritirata strategica altro che una resa al nemico, Lenin ricorda che nel momento in cui non si ha la possibilità di affrontare l’avversario in campo aperto è indispensabile stabilire con esso una tregua anche a costi altissimi, pur di avere la possibilità di raccogliere le forze e mettere in campo uno schieramento in grado d’affrontarlo. Come non si stanca di sottolineare Lenin, è assolutamente indispensabile, quando non si dispongono di adeguati rapporti di forza, sapersi ritirare ordinatamente, saper aspettare sopportando la boria dei nemici di classe che cercano di far saltare la momentanea tregua con continue provocazioni per produrre una completa disfatta nelle fila dell’avversario. Nella concreta esperienza della transizione nella Federazione delle repubbliche socialiste sovietiche, i cultori della “frase rivoluzionaria” si opponevano a Lenin che sosteneva la necessità di firmare una pace, per quanto gravosa, con l’imperialismo tedesco [4], per creare le possibilità reali di contrapporre allo sciovinismo imperialista la guerra rivoluzionaria. Del resto, secondo Lenin anche le più dure sconfitte se non producono un atteggiamento disfattista possono tornare utili a temprare “il carattere del popolo, rafforzare l’autodisciplina, spazzar via la millanteria e l’amore della frase, insegnare la fermezza” [5]. Se non si perde il fine ultimo e si opera mirando a questo, anche la più gravosa ritirata strategica non comporta affatto il tradimento del fine ultimo, tanto da credere che sarebbe meglio morire in combattimento piuttosto che svendere i propri alti ideali. In ogni caso, anche nei momenti più ostici, è indispensabile mantenere nei propri ranghi alto il morale, non dare l’impressione alla classe sociale di riferimento che la stessa avanguardia dubiti della vittoria finale. Come ricorda a tal proposito Lenin, criticando i disfattisti all’interno dello stesso governo rivoluzionario, che si richiamavano impropriamente all’esportazione della Rivoluzione francese, “i francesi nel 1793 non avrebbero mai detto che le loro conquiste, la repubblica e la democrazia, stavano diventando puramente formali, che bisognava ammettere l’eventualità di perdere la repubblica. Essi non erano pervasi dalla disperazione, ma dalla fede nella vittoria” [6].

Del resto, come ricorda Lenin, “nell’ardua scalata d’un monte ancora inesplorato e inaccessibile” non si può rinunziare “in partenza a fare qualche zig-zag, a ritornare talvolta sui propri passi, a lasciare la direzione presa all’inizio per tentare altre direzioni” [7]. Anche se in una fase di rapporti di forza estremamente sfavorevoli si fosse costretti a fare pesanti concessioni al nemico, al punto da dover allentare momentaneamente il dovere di sostenere il processo rivoluzionario internazionale, non si dovrebbe ritenere che la transizione al socialismo “«diventerebbe puramente formale»” [8]. Non si tratta certo di abiurare ai doveri dell’internazionalismo proletario, alla necessità d’immolare la propria vita, la propria Rivoluzione, se tale sacrificio fosse realmente indispensabile all’innesco del processo rivoluzionario in un paese più importante e avanzato sullo scacchiere internazionale. Ma in assenza di tale scenario sono gli stessi “interessi della rivoluzione internazionale” a richiedere che un paese in transizione sostenga la Rivoluzione mondiale “scegliendo una forma di aiuto corrispondente alle sue forze” [9]. Dunque, una cosa è contribuire con tutte le forze a disposizione affinché “con il lavoro, l’agitazione, la fraternizzazione, con quello che volete, ma solo con il lavoro” [10] si favorisca l’internazionalizzazione della rivoluzione, altro è sognare di un processo rivoluzionario internazionale già maturo e fuggire con tale scusa dai duri compiti imposti a un paese in transizione al socialismo posto in stato d’assedio dall’imperialismo transnazionale. In altri termini, nel caso specifico, una cosa è secondo Lenin “essere convinti che la rivoluzione tedesca sta maturando e prestare un serio aiuto a questa maturazione, contribuire in modo serio (…) a questa maturazione. In questo consiste l’internazionalismo proletario rivoluzionario.

Altra cosa è affermare direttamente o indirettamente, in modo aperto od occulto, che la rivoluzione tedesca è già maturata (anche se evidentemente non è così), e fondare su ciò la propria tattica. Qui non c’è un briciolo di rivoluzionarismo, ma solo vuota fraseologia” [11]. In tale caso, si cade necessariamente nell’unilateralità, nell’infatuazione, nell’esagerazione, nell’ostinazione tipica dell’estremismo quale malattia infantile del comunismo.

 

Note:

[1] Vladimir I.U. Lenin, Sulla frase rivoluzionaria [febbraio 1918], in Id., Contro l’opportunismo di destra e di sinistra e contro il trotskismo, Edizioni progress, Mosca 1978, p. 361.

[2] Ivi, p. 362.

[3] Id., Strano e mostruoso [16 febbraio 1918], in op. cit., p. 376.

[4] Ecco come Lenin giustificava la sua posizione di firmare il gravoso trattato di Brest-Litovsk: “noi ci orientiamo verso un trattato svantaggioso e una pace separata sapendo che adesso non siamo ancora pronti alla guerra rivoluzionaria, che bisogna sapere aspettare (come abbiamo aspettato, sopportando il giogo di Kerenski, sopportando il giogo della nostra borghesia, dal Luglio all’ottobre), aspettare finché non saremo più forti. Perciò, se è possibile avere una pace separata arcisvantaggiosa, bisogna assolutamente accettarla nell’interesse della rivoluzione socialista, che è ancora debole (poiché non c’è ancora venuta in aiuto, a noi russi, la rivoluzione che sta maturando in Germania)” Ivi, p. 368.

[5] Ivi, p. 379.

[6] Ivi, p. 378.

[7] Id., L’estremismo malattia infantile del comunismo [aprile-maggio 1920], in op. cit. p. 457.

[8] Id., Strano e…, op. cit., p. 377.

[9] Ivi, p. 376.

[10] Id., Sulla frase…, op. cit., p. 365.

[11] Ibidem.

17/12/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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