Lenin critico dell’anarco-sindacalismo

Proseguiamo nella nostra disamina delle critiche di Lenin ai vizi capitali del riformismo di destra e dell’opportunismo di sinistra, analizzando la critica al cosiddetto “sindacalismo rivoluzionario” o meglio anarco-sindacalismo.


Lenin critico dell’anarco-sindacalismo Credits: https://umanitanova.org/?tag=anarcosindacalismo

Segue da Lenin e i sette peccati capitali dell’opportunismo di destra e di sinistra

2.1) L’anarco-sindacalismo

Come osserva, a ragione, Lenin, dal punto di vista del materialismo storico: “ci devono essere cause essenziali, insite nel regime economico e nel carattere dello sviluppo di tutti i paesi capitalisti, che generano continuamente queste deviazioni” [1], ovvero l’anarco-sindacalismo e il riformismo. Tanto il primo quanto il secondo tendono a ipostatizzare un momento storico differente della lotta di classe, perdendo di vista la necessità della costruzione di un partito in grado di operare sia in funzione dell’accumulo delle forze – nelle fasi non rivoluzionarie – sia avendo come obiettivo una rottura rivoluzionaria, nel momento opportuno.

Per dirla con Lenin: “l’anarco-sindacalismo e il riformismo, i quali si afferrano a un solo lato del movimento operaio, elevano l’unilateralità a teoria, proclamano che si escludono a vicenda le tendenze o i tratti di questo movimento che costituiscono la particolarità specifica dell’uno o dell’altro periodo, dell’una o dell’altra condizione in cui si svolge l’attività della classe operaia. E la vita reale, la storia reale racchiudono in sé queste diverse tendenze, così come la vita e lo sviluppo nella natura racchiudono in sé sia l’evoluzione lenta che i salti rapidi, le soluzioni di continuità” [2].

Perciò, nella necessaria lotta all’anarco-sindacalismo bisogna fare bene attenzione a non cadere in una critica di tipo riformista, altrimenti si cadrebbe nell’opposto unilateralismo e opportunismo. La critica all’anarco-sindacalismo deve rivolgersi essenzialmente contro il suo velleitarismo, il suo amore per la fraseologia rivoluzionaria a cui non segue mai un’azione adeguatamente pianificata e organizzata che consenta di tradurre le parole in fatti. Così, ad esempio, osserva Lenin a proposito di una corrente specifica del sindacalismo rivoluzionario: “l’herveismo è stato respinto, ma lo è stato non a vantaggio dell’opportunismo, non dal punto di vista del dogmatismo e della passività. La viva aspirazione a metodi di lotta sempre più risoluti è stata in tutto e per tutto riconosciuta dal proletariato internazionale e posta in connessione con tutto l’inasprirsi delle contraddizioni economiche, con tutte le condizioni della crisi generata dal capitalismo. Non vuota minaccia alla Hervé, ma chiara coscienza dell’ineluttabilità della rivoluzione sociale, ferma decisione di lottare sino alla fine, preparazione all’impiego dei più rivoluzionari mezzi di lotta” [3].

Come ricorda Lenin, per un marxista “la politica non può non avere il primato sull’economia”, di cui è “l’espressione concentrata” [4] e, dunque, la lotta sindacale deve essere funzionale alla lotta per il potere. Le questioni economiche, infatti, sono componenti di un sistema politico più vasto e solo mediante la sua trasformazione possono essere realmente risolte. Battersi per un “partito di classe”, ma non per l’egemonia del sistema socialista sul capitalista significa per Lenin sottostare all’ideologia dominante, la quale consente allo schiavo salariato di lottare per migliorare la propria condizione, considerando però “nociva l’idea dell’abbattimento della schiavitù!” [5].

Si tratta, dunque, di combattere senza tregua ogni deriva sindacalista che mette in discussione l’esigenza del ruolo direttivo del partito sul sindacato e di conseguenza delle avanguardie rivoluzionarie sulle masse prive di coscienza di classe o con una coscienza ancora incerta. Perciò la stessa concezione dell’autonomia del sindacato dal Partito, ancora in voga ai nostri giorni, è avversata da Lenin quale concezione “tanto cara ai nostri liberali” [6] Più in generale Lenin sostiene che “la deviazione sindacalista è una deviazione anarchica” [7] e perciò la sua critica si rivolge spesso all’anarco-sindacalismo. Tale convergenza fra la posizione liberale e anarchica non deve stupire, dal momento che queste due tendenze apparentemente contrapposte hanno un comune fondamento nell’individualismo. Per dirla con Lenin: “l’anarchia è individualismo borghese alla rovescia. L’individualismo come base di tutta la concezione del mondo anarchica” [8].

Tornando alla questione del sindacato, Lenin ritiene che senza forzature e fughe in avanti, occorre che i rivoluzionari lavorino nei sindacati per far prevalere la prospettiva del partito della rivoluzione. Allo stesso modo, Lenin fa notare come l’astratto rifiuto di operare nei sindacati di massa, per quanto reazionari e concertativi possano essere, comporti l’abbandono dei lavoratori privi di coscienza di classe o con una conoscenza ancora poco sviluppata all’influenza dei capi reazionari, degli agenti della borghesia, dell’aristocrazia operaia, ossia degli ‘operai imborghesiti’” [9]. I rivoluzionari, pur non nascondendosi il carattere di strumenti del capitale delle aristocrazie operaie alla testa dei sindacati concertativi, hanno per Lenin il dovere “di saper convincere gli elementi arretrati, di saper lavorare tra loro, di non separarsi da loro con parole d’ordine ‘di sinistra’ puerili e cervellotiche” [10].

Tuttavia, il programma del partito rivoluzionario non può rivolgersi unicamente agli operai o più in generale ai salariati, ma deve indicare soluzioni politiche in grado di egemonizzare il popolo-nazione nel suo complesso. La lotta per i diritti “democratici”, sventolati e nella sostanza traditi dalla borghesia, è essenziale poiché “il socialismo è inconcepibile (…) senza la lotta per realizzare questi diritti immediatamente, senza l’educazione delle masse nello spirito di questa lotta” [11]. Come osserva Lenin: “quanto più democratica è la struttura statale, tanto più risulta chiaro per l’operaio che la radice del male è il capitalismo, non la mancanza di diritti” [12] formali borghesi. Perciò Lenin non poteva che giudicare assurde le posizioni che rivendicavano “dalla monarchia zarista la ‘libertà sindacale’ senza spiegare alle masse l’inconciliabilità di tale libertà con lo zarismo e la necessità della repubblica per una tale libertà. La presentazione alla Duma dei progetti di legge sulla libertà sindacale, le interpellanze e i discorsi su simili temi, a noi socialdemocratici devono appunto servire come pretesto e materiale per l’agitazione in favore della repubblica. (…) Esaltare, in contrapposizione alla repubblica, la parola d’ordine della ‘libertà sindacale’ è una frase da intellettuale opportunista, staccato dalle masse” [13].


Note:

[1] V. I. Lenin, I dissensi nel movimento operaio europeo [dicembre 1910], in Id., Contro l’opportunismo di destra e di sinistra e contro il trotskismo, Edizioni progress, Mosca 1978, p. 132.
[2] Ivi, p. 134.
[3] Id., Il congresso internazionale socialista di Stoccarda [settembre 1907], in op. cit., p. 88.
[4] Id., Ancora sui sindacati, la situazione attuale e gli errori di Trotski e di Bukharin [25 gennaio 1921], in op. cit., p. 502.
[5] Id., Il riformismo nella socialdemocrazia russa [settembre 1911], in op. cit., p. 150.
[6] Id., Il congresso internazionale…, in op. cit., p. 84.
[7] Id., Discorso di chiusura del dibattito sul rapporto del CC del PC(b)R al X congresso del PC(b)R [marzo 1921], in op. cit., p. 533.
[8] Id., Anarchia e socialismo [1901], in op. cit., p. 43.
[9] Id., L’estremismo malattia infantile del comunismo [aprile-maggio 1920], in op. cit., pp. 438-39.
[10] Ivi, p. 440.
[11] Id., Intorno a una caricatura del marxismo e all’economismo imperialistico [agosto-ottobre 1916], in op. cit., p. 282.
[12] Id., La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky [novembre 1918], in op. cit., p. 392.
[13] Id., Sulla diplomazia di Trotski e su una piattaforma unitaria dei partitisti [dicembre 1911], in op. cit., p. 162.

20/10/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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